Marco Iacona,Mario Bava 30 anni dopo

 

 

 

bava.jpegMario Bava. A trent’anni dal papà dello “spaghetti” horror
di Marco Iacona – 26/04/2010

Fonte: Arianna Editrice

Trent’anni fa il 25 aprile del 1980 moriva Mario Bava, artigiano del cinema di casa nostra. Lo ricordiamo per la sua vena “pop” e perché fu il regista che negli anni Sessanta inventò i generi dell’horror gotico e del thriller all’italiana e nei Settanta diede vita a uno dei primi «slasher movie» della storia del cinema: Reazione a catena. Un genere quest’ultimo che diverrà di pubblico dominio grazie alle saghe di “Nightmare” e “Venerdì 13”, nelle quali per dirla in sintesi, c’è sempre un tizio – un maniaco o su di lì – che si accanisce sulle vittime – spesso giovani – con terribili armi da taglio; e dove sovente sangue, cioè morte, e sesso procedono di pari passo alimentando quei sensi di colpa di cui la nostra civiltà si è “nutrita” per secoli. Il male si manifesta quando cerchiamo di sfuggirgli, lo dimentichiamo o viviamo gioie e soddisfazioni materiali: ha questa consistenza la filosofia che alimenta il genere horror.
Mario Bava, figlio di Eugenio storico direttore della fotografia (“Quo Vadis?” e “Camicia Nera”) e papà di Lamberto regista anch’esso di film-horror, ha avuto pochi riconoscimenti dal cinema italiano, per ragioni che sarebbe superfluo elencare e, manco a dirlo, riconducibili a certa ideologia di casa nostra. Ai tempi in cui Bava cominciava ad avere successo, i Sessanta, i cosiddetti film di “genere” erano poco amati dalla critica impegnata, che ovviamente prediligeva quelli “politici” e di esplicita critica sociale. I film di Bava (certamente molto forti e particolarmente “creativi”, e dei quali lui stesso non era sovente soddisfatto), venivano considerati di serie B e apprezzati solo per gli effetti speciali e i “trucchi” dei quali il regista era un assoluto fuoriclasse (effetti straordinari con piccolissimi budget). Soltanto dopo la morte sarebbe avvenuta la (solita) tardiva “riabilitazione” del re dello «splatter» all’italiana… All’estero invece, Francia e Stati Uniti, ancora in vita, Bava veniva considerato un maestro, e l’idea che gli oltre venti film da lui diretti fossero di ottima fattura (ma non tutti ovviamente!) sarebbe circolata fino ai giorni nostri rafforzandosi sempre di più. Le pellicole del regista nato a Sanremo nel 1914 erano “coloratissime”, emozionanti, tutt’altro che banali, tanto da essere ammirate da registi del calibro di Martin Scorsese, Tim Burton (che rimase sorpreso durante una conferenza stampa perché molti giornalisti italiani dimostravano di non conoscere Bava), John Landis e Quentin Tarantino (che ha recentemente dichiarato di ispirarsi a lui in continuazione). David Lynch invece, maestro quantomeno inquietante avrebbe esplicitamente “citato” Bava alla fine del serial televisivo “I segreti di Twin Peaks”.
Ripercorriamo in breve la carriera di questo regista “sconosciuto”. Già talentuoso operatore per i più grandi maestri del nostro cinema: da Rossellini a Risi da De Sica a Monicelli e all’estero anche di Pabst, Mario Bava iniziò a girare una serie di cortometraggi e documentari già dal ’46; dopo aver concluso alcune regie di film horror subentrando ai colleghi (a Riccardo Freda, per esempio, nei “Vampiri” posto alle origini dell’horror italiano), nel ‘60 firmerà la sua prima regia e con esso il capolavoro dell’horror di casa nostra (“La maschera del demonio” con Barbara Steele). In seguitò si adatterà a lavorare a più generi: dalla fantascienza (pare che “Alien” il megasuccesso Usa derivi proprio dal suo “Terrore nello spazio”) all’erotismo, dal western (“La strada per Fort Alamo” – 1965) al comico (“Le spie vengono dal semifreddo” con Franchi e Ingrassia) fino al giallo-thriller (“La ragazza che sapeva troppo” – 1963). Da ricordare (e rivedere) infine alcuni intramontabili: il peplum/horror del ’61 “Ercole al centro della terra”, l’episodio del ’63 “I tre volti della paura” con Boris Karloff, il thriller “Sei donne per l’assassino”, l’horror “Operazione paura” del 1966 e “Cani arrabbiati” datato 1974 ma uscito solo in dvd molti anni dopo. Bava collaborerà anche con Dario Argento (“Inferno” – 1980), che può essere considerato il suo “allievo” di maggior successo.
Del 1968 invece è “Diabolik”, prodotto da Dino De Laurentiis con la colonna sonora di Ennio Morricone, probabilmente il film più noto di Bava. Com’è noto Diabolik è l’antieroe dei fumetti creato dalle sorelle Giussani, nel ruolo del titolo John Phillip Law (poi protagonista anche in “Barbarella”), non destinato successivamente a una grande carriera. “Diabolik” considerato oggi un film dalle atmosfere avanguardiste (pop-futuriste), è stato anche definito il manifesto della “pop generation” da Gabriele Acerbo che ha curato, insieme a Roberto Pisoni, un volume su Bava (Kill, baby kill! – Un mondo a parte, 2007): «… per i colori sgargianti, il look fumettistico e hi-tech, gli abiti glamour di una supersexy Marisa Mell-Eva Kant. Insomma: Bava è stato l’Andy Warhol de’ noantri». Ma “Diabolik” dev’essere ricordato anche per i trucchi geniali di Bava (una finta scenografia disegnata o appiccicata direttamente sulla lente della macchina da presa) e per i litigi fra regista e produttore. Quest’ultimo temendo infatti che la censura si abbattesse sulla pellicola cercò in tutti i modi di frenare la vena “criminale” di Bava (peraltro, come sapranno gli amanti del fumetto nato nel ’62 del tutto originale), riuscendoci perfettamente… “Diabolik” è oggi un film culto, specchio di un periodo (il Sessantotto appunto), di folle creatività, al tempo invece (alle solite), fu poco amato da buona parte della critica italiana e poco visto dal pubblico. Peccato. Lamberto Bava in anni recenti (2004), ha girato una videoclip per la canzone “Amore impossibile” dei Tiromancino, con Claudia Gerini nel ruolo di Eva Kant e Daniel McVicar (attore della soap “Beautiful”) nel ruolo del “re del terrore”. Si tratta naturalmente di un simpatico omaggio al suo bravissimo papà.     

Marco Iacona,Mario Bava 30 anni dopoultima modifica: 2010-04-27T15:30:47+02:00da mangano1
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