g.ru,ROSARNO, LA RETATA DEI CAPORALI

 

 

 

 

Rosarno.jpgROSARNO, LA RETATA DEI CAPORALI

• da La stampa del 27 aprile 2010

di g. ru.

Scrive il gip di Palmi: «In virtù di dettagliati racconti resi da costoro (una quindicina di extracomunitari, ndr) sulla loro triste esperienza di lavoratori sfruttati e sottopagati, è stato possibile accertare modalità e condizioni dei loro lavoro, e dei protagonisti del loro sfruttamento». Il risultato di questa rivolta civile: una decina di caporali – «veri e propri padroni senza legge» marocchini, algerini, bulgari e sudanesi, sono finiti in carcere; una ventina di proprietari terrieri, di titolari di aziende agricole di Rosarno, della Piana di Gioia Tauro, agli arresti domiciliari. E poi la Finanza ha sequestrato una ventina di aziende e duecento terreni (valore 10 milioni). «Migrantes», l’hanno chiamata l’inchiesta della Procura di Palmi della Mobile di Renato Cortese e dei Carabinieri del comandante provinciale Pasquale Angelosanto. Colpisce un dato: ricordate la rivolta di Rosarno del 7, 8 e 9 gennaio?
La cacciata dei neri, la protesta e la collera degli extracomunitari contro tutto e tutti? L’inchiesta del procuratore Giuseppe Creazzo muove i suoi passi all’indomani della rivolta e documenta uno spaccato di vita reale, di sfruttamento bestiale di lavoratori extracomunitari, come se nulla fosse accaduto. Un mese dopo la rivolta, l’8 febbraio, ore 7.13. Telefoni intercettati: Mohamed: «Che dio ti salvi». Rafiq: «Sto aspettando alla stazione». Mohamed: «Domani se dio vuole, l’automobile è piena oggi. Ci vediamo domani». Rafiq: «Va bene, non c’è problema, come è la situa- zione, io aspetto dalle sei e mezza…». Mohamed: «Giuro non c’è posto, volevamo prenderti con noi». «Ora vado a dormire adesso».
Uno dei testimoni eccellenti dell’inchiesta è un marocchino, Ramli Abedelaziz: «Dal mio arrivo a Rosarno ho sempre lavorato nelle campagne a raccogliere prima olive e poi agrumi. Prima della rivolta riuscivo a lavorare circa quattro giorni su sette alla settimana, mentre dopo la rivolta non sono più riuscito a trovare una giornata di lavoro. Io riuscivo a lavorare perché altre persone di varie etnie ovvero algerini, tunisini e marocchini mi portavano a lavorare con loro nei vari fondi agricoli di persone di nazionalità italiana che io non conosco e che a volte ho visto girare per i terreni ma che non sono in grado di riconoscere. Era l’intermediario straniero che mi pagava: ciò avveniva alla fine della giornata ovvero delle giornate per le quali lavoravo. L’orario di lavoro era il seguente: dalle prime luce dell’alba al tramonto, praticamente si smetteva di lavorare quando non si vedeva più. L’intermediario che la mattina passava a prendere sia a me che ad altri extracomunitari la sera ci riaccompagnava in Rosarno».
Ancora Ramli: «La paga era varia in base agli accordi che si raggiungevano con l’intermediario, ovvero 25 oppure 1 euro a cassetta. Dalla cifra complessiva di 25 euro bisognava detrarre 3 euro per l’intermediario, così anche se si lavorava a cassetta, bisognava dare tre euro sempre all’intermediario sulla cifra complessiva. Debbo comunque precisare che mi è capitato dì lavorare anche direttamente per qualche italiano».

g.ru,ROSARNO, LA RETATA DEI CAPORALIultima modifica: 2010-04-28T17:34:06+02:00da mangano1
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