duemila ragioni

Gaetanina Sicari Ruffo, Per riscoprire il senso del predominio intellettuale

Il punto

Alla ricerca del sapere e della libertà
ormai dimenticati da una società vuota

di Gaetanina Sicari Ruffo

Un salto nella storia per riscoprire il senso
del predominio intellettuale del Belpaese

Bisogna risalire all’epoca delle corti rinascimentali, nel Cinquecento, per riscontrare al suo più alto livello una cultura italiana autosufficiente e dominatrice, esportatrice di valori perenni dello spirito. Era il momento in cui il potere politico, concentrato nelle mani dei signori, generava all’esterno contrasti e lotte, ma all’interno promuoveva l’arte, la musica, la letteratura, la filosofia, coniugando conoscenza e svago.  Può sembrare un’autentica contraddizione, altrimenti inspiegabile se non per il fatto che s’era riusciti a creare all’interno del Paese isole di autentica ricerca del vero e del bello che avevano conquistato il mondo civile che osservava e giudicava.

Da allora nella società italiana si è verificato un lento declassamento degli intellettuali e degli artisti intesi nel senso di geniali creatori di forme e di strutture nuove.  L’eccellenza di una produzione di pensiero eminente è stato possibile coglierla in singole individualità successive, slegate però da una comune area di concezione condivisa. In poche parole è venuto a mancare quell’afflato di universale corrispondenza che aveva consentito il prodigio di una diffusione di idee libera da condizionamenti e sudditanze, laureata a pieni voti e degna di lode, specchio di una molteplicità di interessi che si sommano e si rifrangono senza urtarsi o osteggiarsi. Ci chiediamo perché oggi questo prodigio non è più possibile. Forse è una questione di una particolare filosofia esistenziale oltre che di acutezza d’ingegno?

Si avverte più che mai, infatti, il vuoto della trascorsa tradizione che aveva fatto inorgoglire i nativi e dato respiro all’immagine nazionale. D’altronde è impossibile ritornare indietro e i tentativi di esprimere la vera italianità sembrano destinati a fallire. Argomento molto delicato quest’ultimo che in vari tempi ha presentato elementi di definizione in senso negativo e positivo passando dalla credulità e vivacità estroversa alla sensibilità analitica e alla critica commistione di essere ed avere.

In politica come nella cultura manca un modello vincente che indichi una via maestra.
Anzi il dibattito negli ultimi anni si è spostato fino a mettere in forse da parte di alcuni gruppuscoli persino l’identità nazionale. Sia come sia, per ripristinarla come merita, non si sa se partire dal rafforzamento della coscienza nazional-popolare di cui parlava Gramsci nei Quaderni del carcere o rinverdire i precetti buoni per le élites culturali, contenuti nelle Lezioni americane di Italo Calvino.

La lezione gramsciana
C’è un passo dei Quaderni del carcere (Einaudi, 1975, a cura di Valentino Gerratana) in cui si dice che la soluzione di questo problema, cioè della responsabilità della classe intellettuale, è stata trovata, nell’Ottocento, nella politica dei moderati che «ha reso possibile il Risorgimento nelle forme e nei limiti in cui esso si è effettuato di rivoluzione senza rivoluzione. […] I moderati esercitavano una potente attrazione, in modo spontaneo su tutta la massa d’intellettuali esistenti nel paese allo stato diffuso». E dopo si ribadisce: «non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma ogni classe ha i suoi intellettuali; però gli intellettuali della classe storicamente progressiva esercitano un forte potere di attrazione». 

Ci sembra che l’analisi storica di Gramsci colga nel segno non solo nel sottolineare l’essenza del Risorgimento quale problema di una comunità non provvisoria o sporadica, come da più parti disinformate oggi si sente dire, ma nel ribadire con quell’aggettivo “spontaneo” l’atteggiamento della classe dirigente che ha favorito e non inasprito il dialogo tra le parti come attualmente purtroppo succede. È una questione di dialogo e non d’imposizione, per cui anche in una situazione di disaccordo può scoccare l’intuizione giusta che prenda le distanze dalle risse e faciliti la comprensione di valori umanistici universali. Si legge ne La Montagna incantata di Thomas Mann che è uno dei saggi più complessi e rappresentativi della cultura novecentesca che, «finché possiamo continuare a parlarci, si potrà sperare nella civiltà e nella ricerca della verità». Secondo Gramsci, quindi perché si realizzi nel popolo una forma d’intesa culturale ed una sua affermazione è opportuno che  la concentrazione di poteri sia tale da non attizzare le ostilità e non creare il fastidioso fenomeno dei fuoriusciti o dei dissidenti, com’è successo in Russia ed in altri Paesi a regime dittatoriale.

Altra cosa, a ben considerare, è stato il fenomeno dell’Illuminismo settecentesco che, nato per sovvertire il potere corrotto e riformare tutti i piani dello scibile umano, ha rappresentato, diffondendosi per largo raggio, una vera rivoluzione con drastiche conseguenze. E Gramsci lo sa bene quando definisce il Risorgimento «rivoluzione culturale senza rivoluzione», che può sembrare un bisticcio di parole, ma che è a fondamento di un processo di rinnovamento pacifico .
Attualmente ritorna con insistenza l’istanza di una cultura che sia responsabile. La politica si è rivelata inadatta a concepire un piano di rivitalizzazione delle energie esistenti, mentre privilegia il discorso del particulare non inteso nel senso nobile guicciardiniano, ma di separazione e di individuale rivalsa.
Una nazione è viva ed integra se nel suo interno, anche se ha un variegato sistema di relazioni, riesce poi a ritrovare un superiore punto d’incontro, mirante al benessere salvifico delle sue componenti ed al loro sviluppo. La dissociazione in atto tutte le scontenta e le disintegra.

Secondo Italo Calvino
Lo scrittore delle Lezioni americane (Garzanti, 1985) non ama la politica fine a sé, predilige piuttosto il discorso culturale che supera le frontiere nazionali per ricondurre l’italianità ad una simbiosi proficua di popoli diversi. Dal Cinquecento al Novecento il primato delle lettere, delle arti, del pensiero, delle scienze e delle invenzioni è passato, secondo la sua analisi, con cui concordiamo, dalla configurazione di una identità nazionale a quella universale, pur differenziata, secondo i principi illuministici del cosmopolitismo, dell’uguaglianza e della libertà, più raramente della fraternità, vasto e meritevole intendimento che fa onore a chiunque lo professi, salvando quella solidarietà che cementa ed innalza l’universalismo!

Rispetto al passato siamo dunque in un diverso contesto e la ricerca iniziale della egemonia culturale di un Paese sugli altri può apparire pretestuosa e fuori tempo. E tale è in effetti se tendiamo al superamento del nazionalismo. Non si cerca neppure una verticalità che sconfini nella metafisica. Per meglio intendersi l’autonomia culturale è ben altra cosa dall’egemonia, slancio creativo che si nutre dei mille rivoli di un’esistenza non solo unilaterale, ma molteplice, sintesi ed analisi insieme, miscuglio eterogeneo di un pensiero originale che rinasce sotto mille forme e valenze.
E di questa è più opportuno parlare.

Rivolgendosi dunque Italo Calvino agli intellettuali contemporanei del nuovo millennio, auspica che essi siano ormai liberi ed affrancati da ogni potere che miri a ridurli in schiavitù, perché questo è il traguardo più alto che il futuro possa loro riservare.
Apparentemente la sua sembra una transvolata audace al di fuori dalla reale geografia terrena in uno spazio ideale, comune, che accolga e ospiti con indulgenza i cittadini del mondo nel quale non esistono più conflitti, ma solo lieti ed amabili conversari. D’accordo: non riflette la realtà del tempo presente, ma potrebbe alludere a quella futura.
In una novella rinascenza, come dovette essere quella passata, in un macrocosmo che ha attinenza con il mondo futuro, è pensabile che si possa realizzare quell’armonia di concetti e quell’equilibrio di forme e quell’oculatezza d’intendimenti che facevano un tempo definire aureo un secolo.

Quello appena trascorso è stato della pesantezza del piombo. In primo luogo la virtù somma è la leggerezza, quella che “vola con i sandali alati di Perseo” e non si fa pietrificare da Medusa, cioè “dalla pesantezza delle costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti”, quella che è scatto della volontà e dell’intelligenza e ricerca d’una aria più respirabile.

Se non si vuole il dissenso
In una sorta poi di codice comportamentale valido per il secondo millennio lo stesso scrittore individua come fattore di successo la rapidità, nel senso della velocità mentale, raccordo tra  pensiero ed azione, sfida alla dimensione del tempo, considerato secondo la sua interezza, non solo attraverso i suoi lenti ed annosi passaggi. Anche nella letteratura ariostesca del Cinquecento l’incrociarsi rapido di azioni e personaggi dà l’idea del dinamismo della vita che s’evolve. Per sostenerlo occorre dunque concentrazione e dilatazione della sua struttura portante un po’ come fa Sheheradaze della favolistica orientale che inganna la morte, raccontando una storia dentro l’altra.

Il percorso non può essere solo unilaterale, ma a diramazioni multiple per accogliere il più possibile le variazioni della contemporaneità. Anche l’ippogrifo di Rinaldo è il simbolo della capacità mentale di vivere in diversi luoghi come cittadini del mondo. Oggi forse l’ippogrifo che ci porterà in aree più respirabili non è solo il Logos con la maiuscola, ma val la pena scommettere su tutti gli altri ritrovati della scienza e della tecnica che forniscono gli strumenti utili per una divulgazione fuori dal tracciato consueto.

Troviamo che l’esattezza, elencata tra gli elementi di grande rilevanza, sia utile infatti come capacità di accordare le disparità e di giungere all’essenziale, evitando esteriori superficialità. Per realizzarla ci vorrà un linguaggio rispondente ed incisivo, tutto l’opposto insomma di quello mediatico contemporaneo, casuale e provvisorio, artificioso, ingannevole e falso che diseduca, anziché creare sollecitazioni di grande valenza.

Della visibilità c’è poco da dire, perché categoria già universalmente acquisita. Il potere delle immagini insidia da tempo il regno delle parole, sembra precorrerle e da sovrana quasi soppiantarle. Tuttavia se si riesce a dare il giusto raccordo tra le une e le altre viene salvaguardato il potere di dare corpo alle idee in maniera tangibile ed efficace.

Quanto poi alla molteplicità senz’altro essa deve essere intesa come multiculturalità, cioè pluralismo che consente di garantire condivisione e libertà di opinioni e parola.
«Oggi – si legge nelle Lezioni di cui stiamo trattando – non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima». Verrebbe infatti meno il dialogo che è il presupposto essenziale del nuovo corso di civiltà, sempre se si vuole che esso sia all’insegna d’una verità non parziale.

Prospettive
In Inghilterra già si parla di “Big Society” e si creano tutte le premesse perché essa si sviluppi ponendo un limite innanzi tutto al potere dello stato sulla sfera sociale, necessariamente creando organizzazioni che risolvano i problemi collettivi e che facciano da mediatori, intervenendo poi ad incrementare la cultura non solo delle élites, ma pure di massa.
Un programma ambizioso, già in atto, ma che pochi altri Stati riescono ad adottare. La sfida del prossimo futuro sta proprio nella possibilità non di primeggiare, ma di creare uno status quo armonico nel quale ci siano le radici di un intendimento non soltanto individuale, ma collettivo e sovranazionale. In un suo recente saggio La nobiltà dello spirito ( Rizzoli) il filosofo olandese, che si occupa d’identità culturale europea, Rob Riemen, fa l’elogio delle virtù perdute dall’Occidente passando in rassegna i significativi contributi da Socrate a Spinoza, a Goethe, a Mann a Leone Ginzburg.

Il punctum dolens di tutta la questione attuale è di scommettere su di una pacificazione che consenta di progredire effettivamente verso un ecumenismo fuori da guerre, vendette, offese e ritorsioni. Il diritto di libertà e d’identità soggettivo dovrebbe divenire universale e non essere negoziabile ed intercambiabile. Quando Pico della Mirandola nel Quattrocento parlava della “dignità dell’uomo”, poneva già una radice della grande lezione del Rinascimento, così oggi, in un nuovo ipotetico corso di rinascita umana, non dovrebbero mancare le idee guida lungo cui costruire una nuova economia, una politica, una cultura, una giustizia degne di questo nome, ma ad esse va assicurata un’autentica vocazione alla distensione ed al rispetto.

Se si vuole veramente dar vigore a questo disegno di rilancio, bisogna dar spazio ad una nuova ecologia della mente, nella quale spazio e tempo si tocchino e si armonizzino. Spesso l’eccesso di regolamentazione pubblica soffoca lo spirito d’iniziativa, trasforma il cittadino in suddito e la società in clientelare e parassitaria. Affinché questo sia chiaro e ben inteso giovano ancora le lezioni di Calvino sul bene prezioso d’una cultura libera e responsabile.

Gaetanina Sicari Ruffo

(www.excursus.org, anno II, n. 15, ottobre 2010)

Gaetanina Sicari Ruffo, Per riscoprire il senso del predominio intellettualeultima modifica: 2010-10-01T15:54:22+02:00da
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