Gianni Petrosillo,La tirannia dei valori

La tirannia dei valori
di Gianni Petrosillo – 19/11/2010

Fonte: Conflitti e strategie STALIN782.jpeg

In un’epoca come la nostra, invasa dai cosiddetti valori (supremi o secondari, affini o dirimenti) che sono motivo sempiterno di guerre e scontri di civiltà, credo sia utile rispolverare un vecchio libretto del giurista e filosofo politico tedesco Carl Schmitt, intitolato la Tirannia dei Valori, Riflessioni di un giurista sulla filosofia dei valori. Secondo Schmitt il XIX secolo è stato il periodo storico in cui è nata la filosofia dei valori come risposta antinichilistica al positivismo scientifico.

La scienza contemporanea, infatti, presentandosi come avalutativa ed interamente basata sulla legge di causalità, minacciava “la libertà dell’uomo e la sua responsabilità religiosa, etica e giuridica”. A questa sfida scientistica di determinazione del mondo in maniera esclusivamente causale la filosofia dei valori ha risposto opponendo un regno di valori come regno della validità ideale. Tuttavia, i valori non sono mai oggettivi e neutrali, ed anzi affermandosi impongono una loro tirannia contro i cosiddetti non-valori, ovvero contro quei valori che vengono così definiti solo perchè non assimilabili. Per esempio, consideriamo quello che per le nostre società occidentali è un valore supremo: la libertà. In nome di quest’ultima le nazioni abbracciano inimicizie radicali che sfociano volentieri in battaglie cruente. Schmitt ritiene questo un punto di partenza fondamentale per il suo ragionamento: “Una coerente filosofia dei valori della libertà non può accontentarsi di proclamare la libertà come valore supremo; deve capire soprattutto che per la filosofia dei valori non solo la libertà è il valore supremo, ma anche la libertà dai valori è la libertà suprema”. Con questo riorientamento semantico il filosofo tedesco anticipa un dibattito che ci porta a riflettere sulle storture e sui drammi del tempo presente. Partiamo quindi da una constatazione verosimile, quella secondo cui la validità dei valori si basa su atti di posizione o meglio di posizionamento. Detto altrimenti, poiché sono gli uomini a porre inevitabilmente i valori, attraverso la loro specifica e contingente visione del mondo, è analogamente fatale – trattandosi di posizioni soggettive – che si sviluppi un eterno conflitto tra differenti concezioni. Weber parlerà, a ragione, di un bellum omnium contra omnes ancor più duro e dirompente di quello hobbesiano riferito allo stato di natura in cui gli uomini esprimono i loro istinti bestiali di sopravvivenza e di sopraffazione contro i propri simili. Così, infatti, prosegue la citazione di Weber riportata da Schmitt: “I vecchi dèi risorgono dalla loro tomba e riprendono la loro antica battaglia, ma disincantati e – dobbiamo aggiungere oggi – con nuovi strumenti bellici, che non sono più armi convenzionali, bensì terrificanti mezzi di annientamento e metodi di sterminio, terribili prodotti della scienza avalutativa, nonché dell’industria e della tecnica al cui servizio essa si pone. Qui ciò che per l’uno è il diavolo per l’altro è il dio”. Senza sforare  a tutti i costi nell’orizzonte apocalittico della possibile distruzione totale, resta il dato ineludibile che “sono  sempre i valori a fomentare la battaglia e a tener viva l’ostilità”. Anche se i filosofi hanno tentato di derelativizzare i sistemi assiologici, il dato storico e soggettivo risulta sempre preminente in quanto i valori, pure se alti e sacri, valgono sempre per qualcosa o per qualcuno. Peraltro, dice ancora Schmitt: “non importa che il valore sia soggettivo, formale o materiale: non appena appare, si attiva inevitabilmente uno specifico meccanismo mentale, connaturato ad ogni pensare per valori. Il carattere specifico del valore risiede infatti nell’avere non già un essere, ma soltanto una validità. Ne consegue che la posizione non è nulla se non s’impone; la validità deve essere continuamente attualizzata, cioè fatta valere, se non vuole dissolversi in mera parvenza. Chi dice valore vuol far valere e imporre…chi ne sostiene la validità deve farli valere. Chi dice che valgono senza che vi sia nessuno che li fa valere è un impostore”.  Quindi, ogni qual volta si pongono dei valori, e bisogna essere consapevoli di questo fatto, ci si proietta su un terreno conflittuale (aggiungerei inevitabile) dove i piani prospettici sono necessariamente concorrenti, dove le differenti “valorizzazioni” solo accidentalmente sono ricondotte a sintesi, mentre di norma, sin dalla loro prima apparizione, è l’aggressività a spingerle verso l’autoconferma: “L’aggressività è connaturata alla struttura tetico-ponente del valore, e continua a essere prodotta dalla concreta attuazione del valore…l’ambivalenza dei valori fa sì che diventi sempre più virulenta non appena i valori in quanto tali vengono fatti valere da uomini concreti nei confronti di uomini altrettanto concreti”. Ma il combattimento dei valori non è altro che la lotta tra i soggetti umani e collettivi, portatori di siffatti valori. Di fronte a questo riscontro, non appena la lotta diviene una cosa seria, cade inesorabilmente l’eventuale accondiscendenza o l’equidistanza dei punti di vista, cade la messinscena dell’approccio tra posizioni formalmente dialoganti. Si potrebbe sostenere che un valore si dispone al dialogo (e con esso i soggetti che lo incarnano) solo quando non ha ancora trovato lo spazio per la sua affermazione. Ma “…non appena l’imporre e il far valere diventano davvero una cosa seria, la tolleranza e la neutralità illimitate dei punti di vista e dei punti di osservazione intercambiabili a piacere si ribaltano subito nel loro opposto, cioè in ostilità. L’anelito del valore alla validità è irresistibile, e il conflitto tra valutatori, svalutatori, rivalutatori e valorizzatori è inevitabile”. Con questi ragionamenti rigorosi Schmitt riesce a diradare quella nebbia che avvolge il discorso sui valori, nonché a smascherare coloro che, anche quando propongono nuove relazioni e nuovi punti di vista, si mantengono “sempre nella posizione di chi rimprovera all’avversario di non vedere valori manifesti” per  squalificarlo “come cieco nei confronti dei valori…Secondo la logica del valore deve sempre valere il principio che per il valore supremo il prezzo supremo non è mai troppo alto e va pagato”. Infine, il saggista tedesco ci riporta ad un tema a noi molto vicino, quello della guerra giusta che, in un’era di guerre giuste, spiega perfettamente la logica che accompagna i “vendicatori del valore” (e ne parlo al singolare perché si tratta di una tara soprattutto occidentale): “…la teoria dei valori festeggia i suoi autentici trionfi nel dibattito sulla questione della guerra giusta…ogni riguardo nei confronti del nemico viene a cadere, anzi diventa un non-valore non appena la battaglia contro il nemico diventa una battaglia per i valori supremi. Il non-valore non gode di alcun diritto di fronte al valore, e quando si tratta di imporre il valore supremo nessun prezzo è troppo alto. Sulla scena perciò restano solo l’annientatore e l’annientato”. Forse ho piegato un po’ troppo il bastone di queste riflessioni su ciò che mi interessava mettere in evidenza, vale a dire il conflitto permanente tra portatori di interessi e visioni  diverse del mondo. Ma, nonostante tutto, mi sembra di non essere andato molto al di là delle intenzioni del filosofo di Plettemberg, il quale fa i conti con tale fenomeno storico-filosofico proprio per superare quelle esteriorità tranquillizzanti e fortemente ideologizzate che, coprendo la struttura tirannica dei valori e dei sistemi valoriali, impediscono di comprendere i meccanismi profondi di certe manifestazioni sociali.

Gianni Petrosillo,La tirannia dei valoriultima modifica: 2010-11-21T17:00:53+01:00da mangano1
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