Giuseppe Bailone,CUSANO: l’utopia della pace religiosa

CUSANO: l’utopia della pace religiosa
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Il 29 maggio 1453 Costantinopoli cade in mano turca.

Maometto II, il conquistatore, consegna la città ai suoi soldati per tre giorni con piena libertà d’azione e con effetti apocalittici.

Il mondo cristiano ortodosso ancora oggi vive la ricorrenza di quel disastro con profonda commozione.

Il mondo cristiano occidentale, che non ha risposto agli appelli angosciati d’aiuto del mondo bizantino agonizzante, si sveglia d’assalto e grida vendetta. Da più parti si pensa ad una crociata che faccia strage di turchi islamici. Lo spirito di crociata, che in Spagna sta per trionfare, infiamma anche gli altri paesi. Di crociata si parla alla dieta di Ratisbona. Anche il papa la predica. Nel porto di Ancona sono già pronte le navi.

In questo clima di forte eccitazione degli animi e di frenesia per la risposta armata alla clamorosa avanzata islamica, Niccolò Cusano viene invitato a partecipare all’organizzazione di una coalizione militare. Lui, però, è contrario ad uno scontro armato di civiltà e di religione. E’ un uomo di frontiera, abituato ad attraversare confini territoriali e culturali. Non si lascia chiudere in appartenenze, meno che mai in schieramenti armati.

Anche come filosofo è difficile da classificare.

Nato nel 1401, a Kues presso Treviri, inizia in Germania una formazione che completa in Italia. Studia le lingue classiche, ma non condivide il fervore umanistico per il mondo antico assunto a modello umano. Diventa cardinale, riceve incarichi importanti dal papa e partecipa attivamente alle vicende della vita ecclesiastica, agitate dalle conseguenze delle divisioni successive alla fine della vicenda avignonese. Nel conflitto fra i conciliaristi e i sostenitori del primato  papale cerca di mediare stando prima su posizioni conciliariste e poi su quelle opposte.

Con molto impegno lavora per l’avvicinamento dei cristianesimi orientale ed occidentale, che il pericolo turco sembra rendere possibile. Incaricato dal papa, guida un’ambasceria a Costantinopoli in preparazione del concilio di riunificazione, tenutosi poi a Firenze nel 1439 con successo parziale ed effimero. Torna in Italia con alcuni dei maggiori intellettuali e studiosi bizantini che promuovono la conoscenza diretta dei classici greci.

Nella sua lunga esperienza di mediatore in laceranti conflitti religiosi ha maturato straordinarie capacità di mettere in comunicazione mondi diversi e opposti.

Respinge quindi naturalmente la proposta della crociata e pensa ad un confronto pacifico e razionale.

Scrive in fretta il De pace fidei, uno scritto breve, articolato in diciannove rapidi capitoli, che delinea l’utopia della pace religiosa.

Riprende, dopo tre secoli e più, il sogno di Abelardo[1] e prospetta un dialogico incontro razionale tra le diverse religioni.

Non solo: il sogno di Abelardo di un incontro tra ebraismo, cristianesimo e filosofia islamica, si apre in lui a molte altre religioni e culture e diventa un convegno interreligioso convocato in cielo da Dio stesso, che s’interroga su che cosa debba ancora fare, dopo aver mandato suo figlio a morire in croce, per metter fine alle atrocità compiute in nome della religione.

La soluzione che Cusano prospetta non è il sincretismo: non si tratta di mettere insieme, di fondere, riti e credenze diverse attraverso la mediazione. Non propone accordi e accomodamenti. Non si accontenta della coesistenza non conflittuale di culture religiose diverse, chiuse ciascuna nei propri limiti. Non cerca compromessi attraverso la rimozione delle ragioni profonde dei conflitti. Vuole accendere la passione razionale per la verità. Vuole superare, attraverso l’approfondimento dei problemi che stanno alla base dei conflitti, le divergenze e muovere verso la vera sapienza religiosa.

I personaggi del concilio interreligioso e interculturale celeste, il greco, l’italiano, l’arabo, l’indù, il caldeo, il giudeo, lo scita, il persiano, il siro, lo spagnolo, il turco, il tedesco, il tartaro, l’armeno, il boemo, l’inglese, guidati da Pietro, da Paolo e dal Verbo stesso, concorrono nell’impresa di valorizzare nelle diverse religioni ciò che rinvia all’unità che è alla base di tutte le religioni.

Il movimento verso la verità e la pace, consapevole dei limiti umani, si nutre di un comune sentimento religioso, che si esprime in riti diversi. Fa i conti con le diverse tradizioni e cerca il significato profondo di ogni religione. Dio, infatti, ha inviato, in tempi e in luoghi diversi, diverse guide e veggenti che hanno istituito a suo nome culti e leggi. Gli uomini, però, credendo di udire, non la voce dei profeti, ma quella stessa di Dio attraverso di loro, hanno accettato queste leggi come se Dio stesso le avesse rivelate di persona.

Inoltre, “l’uomo ha la caratteristica di difendere come verità una lunga consuetudine che si ritiene diventata parte della natura stessa. Così sorgono non pochi dissensi quando una comunità antepone la sua religione a quella di un’altra”. Ma tutte le religioni si rivolgono all’unico Dio “che resta ignoto e ineffabile per tutti”.

“Infatti – spiega l’arcangelo che apre il convegno celeste rivolgendosi a Dio – tu che sei infinita potenza non corrispondi a nessuna delle cose che hai creato, né può alcuna creatura comprendere l’idea della tua infinitezza, non essendovi nessuna proporzione tra il finito e l’infinito”.[2]

Agisce qui l’idea di fondo di Cusano, quella della dotta ignoranza, teorizzata nel 1440: la trascendenza di Dio e la sua realtà infinita rendono vane le pretese di conoscerlo con la determinazione che caratterizza le conoscenze limitate delle realtà limitate.

Abituato a muoversi con sicurezza nel mondo finito, dove i confini e le opposizioni sono netti, l’uomo si trova inadeguato di fronte all’infinità di Dio. Quando mira lo sguardo sulla divinità, il suo potere conoscitivo perde rigore e determinatezza, diventa approssimativo ed incerto: l’avvicinamento al suo oggetto diventa simile al processo di assimilazione del poligono al cerchio in cui sia inscritto o circoscritto: i suoi lati possono moltiplicarsi all’infinto ma diventano una circonferenza solo facendo perdere al poligono la sua natura di poligono. L’infinità colloca Dio al di là di ogni di ogni limitazione, di ogni definizione, quindi anche al di là di ogni opposizione concettuale. In Dio gli opposti coincidono.

La logica umana, prigioniera del finito, separa i contrari e li oppone, ma tentando di capire Dio, salta, viene come fulminata.

Cusano aggiorna la teologia negativa di origine neoplatonica.

L’infinità rende Dio incommensurabile per la mente dell’uomo.

Occorrono sforzi incessanti per acquisire e conservare la consapevolezza dei limiti umani, comprendere che l’infinito non è proporzionale al finito e tentare di approdare ad una concezione non conflittuale degli opposti.

Si tratta di relativizzare le tradizioni, i riti, le manifestazioni umane della verità, senza affondare nel relativo la verità stessa; di trovare nelle diverse religioni la strada verso la vera e unitaria sapienza.

Molte pagine del libro sono dedicate, non a caso, all’illustrazione della Trinità e dell’Incarnazione che oppongono il cristianesimo alle altre religioni monoteiste. Cusano cerca di mettere in luce gli aspetti non conflittuali delle opposizioni e di valorizzare ciò che unisce: “Nel modo in cui i Giudei e gli Arabi negano la trinità essa deve essere negata da tutti, ma nel modo in cui la sua verità è stata da noi spiegata, essa deve essere accettata da tutti”. Giudei ed Arabi, infatti, intendono la trinità come pluralità ed hanno quindi ragione a respingerla, ma nelle loro religioni è in realtà ammessa, “anche se la maggior parte di loro non se ne rende ancora conto”.[3] Queste parole Cusano le mette in bocca al Verbo stesso.

E’, infatti, il Verbo che spiega ai convenuti in cielo la verità trinitaria, mentre Pietro spiega l’Incarnazione, consapevole delle quasi insuperabili difficoltà su questo punto con gli Ebrei. La conclusione di Pietro è sorprendente: “Tutte le verità su Cristo sono contenute nei libri sacri degli Ebrei, ma essi, accontentandosi del senso letterale, non vogliono capirle. Tuttavia la resistenza dei Giudei non renderà impossibile la concordia; essi infatti sono poco numerosi e non potranno turbare con le loro armi il mondo intero”.[4]

La fiducia di Cusano nella possibilità di avvicinare in senso unitario alla vera saggezza religiosa tutta l’umanità incontra nella ostinazione ebraica un limite, che porta Cusano a ripiegare su calcoli pragmatici: gli Ebrei sono forse impossibili da convertire ma non hanno una forza pericolosa per la pace.

La speranza nella conversione e la convinzione della verità del cristianesimo sono il cuore del pensiero di Cusano e lo preservano da ogni tentazione sincretistica. Egli impegna tutta la sua esistenza a combattere la corruzione interna alla Chiesa e ad avvicinare religioni diverse, convinto che i due movimenti si giovino a vicenda: un cristianesimo rinnovato può aiutare le altre religioni a scoprire ciò che di profondamente unitario e vero c’è nelle loro dottrine e la pace della fede migliora il cristianesimo.

L’ultima parte del libro è dominata dalla figura di Paolo: “Bisogna dimostrare che la salvezza dell’anima non proviene dalle opere, ma dalla fede. Infatti, Abramo, padre nella fede di tutti i credenti, sia Cristiani sia Arabi e Giudei, credette in Dio e questo gli fu imputato a giustizia: l’anima del giusto erediterà la vita eterna. Ammesso questo, la varietà dei riti non sarà più un ostacolo; essi furono istituiti e accettati come segni tangibili della verità della fede. I segni possono subire dei cambiamenti, non però ciò che essi indicano”.[5]

Paolo spiega il vero significato dei sacramenti del battesimo e dell’eucaristia. E sui riti conclude: “Dove non si può raggiungere la conformità … si lasci ai popoli le loro devozioni e i loro cerimoniali, salvaguardando però la fede e la pace. Forse, lasciando una certa diversità, crescerà anche la devozione, in quanto ogni popolo si sforzerà con passione e cura di rendere più splendidi i propri riti, per superare gli altri e conseguire così un maggior merito agli occhi di Dio  e la gloria di fronte al mondo”.[6]

Riti diversi e culto dell’unico Dio.

Trascurando le differenze marginali, sulle quali pesano le tradizioni, ci si può concentrare su ciò che è essenziale ed unisce. 

Non crociata, dunque, che rende insuperabili le distanze, accende l’odio e rende feroci e cattivi, ma dialogo razionale.[7]

Dialogo teso alla ricerca della verità, senza cedimenti al relativismo e all’indifferentismo, nutrito della speranza di convertire l’interlocutore, fosse anche Maometto II.

Un aggiornamento del sogno di Francesco d’Assisi.

Cusano mette a disposizione di questo sogno una buona filosofia, affascinata dall’infinito e dall’assoluto, rigorosamente razionale, ma consapevole dei limiti della ragione.

Limiti che si manifestano anche nella conoscenza del mondo naturale. L’uomo può, infatti, conoscere adeguatamente quei contenuti razionali, come gli enti matematici, da lui stesso forgiati ad imitazione della creatività divina, ma dell’universo naturale può realizzare solo una conoscenza per “congetture”, per approssimazione, senza arrivare al cuore delle cose create da Dio. La conoscenza è un viaggio verso la verità.

Il congresso celeste si chiude con la rassegna di molti libri, “i migliori di ogni lingua”, “sugli usi religiosi degli antichi”. Dalla rassegna risulta “che tutte le divergenze riguardano i riti piuttosto che il culto dell’unico Dio … che l’unico Dio era stato presupposto da sempre e venerato in tutte le forme religiose, benché il popolo semplice spesso non se ne accorgesse, ostacolato dall’avverso potere del principe delle tenebre”.

Conclusa in cielo “la discussione riguardante la concordia ragionevole tra le religioni”, i saggi tornano nelle loro terre per “ricondurre i popoli all’unità del vero culto”. A tal fine devono riunirsi, “con pieni poteri, a Gerusalemme, centro universale, per accogliere a nome di tutti i popoli l’unica fede e fondare su di essa una pace perpetua”.

A Gerusalemme, però, quei saggi non sono ancora arrivati.

Torino 16 gennaio 2011                              

Giuseppe Bailon

[1] A pag. 101 del n° 3 dei “Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino”, Viaggio nella filosofia: Da Plotino a Tommaso d’Aquino.
[2] Le citazioni sono tratte dal cap. I di La pace della fede.
[3] Cap. IX.
[4] Cap. XII.
[5] Cap. XVI.
[6] Cap. XIX.
[7] In una lettera al suo amico spagnolo Juan de Segovia, arcivescovo di Cesarea, si felicita con lui per l’avvio dell’impresa di tradurre il Corano con lo scopo di avviare un dialogo, “di placare la follia dell’ira e di aiutare la verità a manifestarsi”. A pag. 15 dell’introduzione di Julien Ries a La pace della fede, ed. Jaca Book 1991.

Giuseppe Bailone,CUSANO: l’utopia della pace religiosaultima modifica: 2011-01-22T13:24:42+01:00da mangano1
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