Attilio Mangano, Ma il federalismo..

MA IL FEDERALISMO E’ UN GUSCIO PIENO O UN GUSCIO VUOTO?

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Ieri in uno scritto intitolato A PROPOSITO DELLE VITTORIE DEL PRODE ANSELMO avevo osservato che era decisivo per la cultura della sinistra dire la verità e non subordinare l’analisi politica al tatticismo quotidiano, problema che era emerso in modo vistoso a proposito delle discussioni e polemiche sul federalismo.( “IL FEDERALISMO OVVERO I CONTENUTI E GLI SCHIERAMENTI” L’errore esemplare riguarda il federalismo, cavallo di battaglia di Bossi e della Lega. Mentre l’amato-temuto-rispettato TREMONTI può parlare, a ragion veduta, di successo storico ed epocale del provvedimento sul federalismo, l’opposizione non è riuscita a spiegare sul serio se si tratta di un provvedimento positivo da appoggiare o di un provvedimento negativo e pericoloso da contrastare.
Discussioni di anni senza sbocco, gli italiani sanno che la Lega ha fatto del federalismo il suo cavallo di battaglia ma non sanno cosa ne pensano davvero gli altri partiti, che infatti ieri in commissione e in parlamento hanno traccheggiato, vedi Fini ma anche il Pd. Siamo disposti ad appoggiare il progetto federalista ma solo dopo, quando Berlusconi si sarà dimesso. Delle due l’una: o si tratta di qualcosa di serio e incisivo che cambia davvero le cose nel nostro paese, e allora andava e andrebbe appoggiato ” a prescindere”, come si suole dire, cercando semmai di concorrere in positivo alla sua realizzazione, o si tratta di demagogia, sciocchezze, contentini che comunque creano più problemi di quanti intendono risolvere, e allora va contrastato o corretto, riformato, rimesso in discussione. Ha prevalso il primato degli schieramenti sui contenuti ( qualcuno ricorda ancora la famosa formula di Pietro Nenni?). In questo modo l’idea di essere più furbi, tattici e accomodanti si è ritorta come un boomerang , di chi è la colpa? Di B. e di Bossi?
A un giorno di distanza mi sembra significativo sottolineare i problemi e le contraddizioni che continuano a emergere, faccio riferimento in questo caso a tre articoli.

Il federalismo è diventato un guscio vuoto, un simbolo, una bandiera da sventolare. Un pretesto, scrive Battista nel suo editoriale sul teatrino della politica sul ” Corriere”

IL FATTO QUOTIDIANO lo spiega ed esorcizza come un danno economico che aumenterà costi e tasse. Sul ” Riformista”invece Piero Sansonetti da un lato concorda ma dall’altro osserva apertamente : Come si fa a pensare che il federalismo fiscale sia una riforma deleteria per il paese e dire a Bossi: «Siamo pronti a dartelo, purché molli Berlusconi»? Per chi poi? Per un cambio di maggioranza?”

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LA RIFORMA E LE PARTI IN COMMEDIA

Il teatrino della politica

Umberto Bossi ha ammesso che il capo dello Stato h a r a g i o n e quando chiede alla maggioranza, per il rispetto dovuto al Parlamento, che il decreto del federalismo debba passare per l’aula di Montecitorio. Il leader della Lega avrebbe potuto pensarci il giorno prima. E il Consiglio dei ministri, convocato d’urgenza in via straordinaria, avrebbe potuto evitare la forzatura di un decreto fatto apposta per neutralizzare un parere parlamentare in contrasto con la linea del governo. Una provvisoria via d’uscita frettolosa, sbrigativa, irrituale che Giorgio Napolitano non avrebbe consentito di imboccare. Giulio Tremonti, pochi minuti prima del comunicato del Quirinale, aveva definito il decreto sul federalismo una «svolta storica». Ecco, una svolta storica di queste proporzioni non può realizzarsi per strade oblique, con espedienti mediocri, con un rapporto tanto spregiudicato nei confronti delle istituzioni rappresentative.

E il federalismo? Il federalismo è diventato un guscio vuoto, un simbolo, una bandiera da sventolare. Un pretesto. L’ennesimo, in questo scorcio di legislatura in cui ogni voto parlamentare diventa il giorno del Giudizio, il momento supremo e definitivo che sancisce il destino di ciascuno. Giovedì tutti i protagonisti non si sono misurati sul federalismo, ma ne hanno fatto strumento per ingaggiare una prova di forza. Bossi ha legato l’esito del voto della commissione parlamentare alla sopravvivenza del governo. Le opposizioni hanno rivisto il miraggio della spallata al governo che avrebbe mandato a casa il premier o addirittura, come Gianfranco Fini, l’oggetto di un mercanteggiamento con il leader della Lega: promessa di un voto favorevole di Futuro e libertà in cambio di un acrobatico sganciamento del Carroccio da Berlusconi. I vertici del Pdl, per ammansire i malumori leghisti, ne hanno fatto il teatro di una spettacolare prova di supremazia, anche a costo di uno strappo istituzionale che Napolitano si è visto costretto a riparare.

I contenuti del federalismo, la «svolta storica» evocata dal ministro dell’Economia, inevitabilmente svaniscono. Si perdono nel nevrotico conteggio quotidiano che dovrebbe dimostrare alla maggioranza di esistere, forte dell’apporto dei singoli parlamentari via via strappati all’opposizione, e a quest’ultima di contare ancora qualcosa, pur nello sgocciolio di defezioni e ritirate. I voti parlamentari diventano così tappe di una gara giocata allo spasimo, tanto da suggerire a Berlusconi l’immagine di un trionfale punteggio sportivo: «sette a zero». L’invito del capo dello Stato a evitare la guerra permanente viene disatteso. Il conflitto tra politica e magistratura raggiunge l’apice, e si minaccia da parte del governo di reinserire nel calendario parlamentare materie esplosive come la legge sulle intercettazioni e quella sul processo breve. Una nevrosi del «tirare avanti» che logora e dissolve la discussione politica in un perenne incontro di pugilato senza costrutto. Questo è il cruccio del capo dello Stato. E una ragione in più per prendere atto, con rammarico, che una stagione è finita e che il ricorso al voto anticipato, anche con una pessima legge elettorale, forse è diventata una scelta obbligata.

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Federalismo municipale: più tasse per tutti

Ecco che cosa accadrà quando sarà legge, tra buchi nei bilanci e sconti ai più ricchi

Adesso potrebbe essere questione di un mese. Se tutto andasse nel modo più favorevole al governo, cioè se non ci fossero ulteriori intoppi, il decreto legislativo sul federalismo municipale potrebbe anche essere approvato in via definitiva dall’esecutivo in poco più di trenta giorni. È questo il tempo previsto dalla legge delega 42 del 2009 per un dibattito parlamentare necessario nel caso in cui il governo voglia comunque approvare un decreto su cui gli organi parlamentari abbiano dato un parere negativo. Che è quello che è successo due giorni fa nella Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale (composta da 15 deputati e 15 senatori).

Anche nell’ipotesi che questo pezzo di federalismo, che riguarda le imposte gestite dai Comuni, diventi operativo, non ci sarà alcuna rivoluzione autonomista, non sarà la svolta promessa dalla Lega Nord ai suoi elettori, o lo strumento per raddrizzare “l’albero storto della finanza pubblica” annunciato dal ministro Giulio Tremonti. Semplicemente un altro po’ del carico fiscale si sposterà dai titolari di rendite (immobiliari) al lavoro dipendente, con grandi incertezze per i conti dello Stato e dei Comuni stessi. Abbiamo chiesto al professor Alberto Zanardi, ordinario di Scienza delle finanze all’Università di Bologna, di spiegare cosa cambierà in concreto per i contribuenti e per i Comuni con le principali novità del federalismo municipale. Qui sotto le sue risposte.

Cedolare secca: risparmi per privilegiati

Riguarda la tassazione del reddito derivante da un immobile affittato. Per il contribuente il passaggio dall’Irpef alla cedolare secca con aliquota del 19 o 21 è opzionale, si può scegliere la soluzione. Lo sconto potenziale sulle imposte dovute è più rilevante per i contribuenti con un più alto reddito complessivo ed è indifferente per i redditi più bassi, che continueranno a scegliere l’Irpef. I comuni oggi ricevono circa 11 miliardi di trasferimenti. Ora al posto dei trasferimenti ci sono tributi devoluti e compartecipazioni. Tra questi la cedolare. Ma nella valutazione della ragioneria questa garantisce parità di gettito soltanto se emerge molto reddito ora sommerso. C’è quindi un problema di incertezza.

Addizionali Irpef: colpiti sempre i dipendenti

Per i Comuni si ritorna alla normalità: si passa dal blocco della possibilità di variazione delle aliquote Irpef a restituire le leve fiscali ai sindaci per aumentare, se ne hanno bisogno, il gettito. Ma se c’è una riduzione delle dotazioni dello Stato ai Comuni ci sarà una tendenza a usare questa leva, massimo per lo 0,4 per cento (con aumenti massimi dello 0,2 per cento annuo). Per i cittadini c’è il rischio di un aumento del peso di un tributo come l’Irpef che di fatto colpisce quasi solo dipendenti e pensionati. Sarebbe stato meglio riattivare l’Ici, per ripartire il peso tra lavoratori e percettori di rendite.

Scopo e turismo: 5 euro a notte e più infrastrutture

L’imposta di soggiorno e quella di scopo sono un’altra leva data ai Comuni, ma ancora non sono specificati i dettagli sul loro funzionamento. L’imposta di soggiorno attribuita ai Comuni capoluogo e a quelli turistici viene caricata sul prezzo di ogni notte di soggiorno, fino a un massimo di cinque euro. Il gettito che deriva dall’imposta deve essere utilizzato per finanziare spese collegate ai Beni culturali e questo è utile, perché i turisti producono reddito ma comportano costi. La tassa di scopo esisteva già, ma viene ampliata. Si tassano i cittadini spiegando che l’imposta serve per costruire un ponte, un’infrastruttura. Si allarga la tipologia di opere pubbliche finanziabili ma mancano ancora i dettagli.

Imposta municipale: più tasse per i commercianti

L’Imu (Imposta municipale unica) scatta dal 2014. Per i Comuni c’è l’incertezza che la nuova imposta garantisca lo stesso gettito delle imposte che accorpa. Cioè, all’85 per cento, l’Ici sulle seconde case e gli immobili commerciali. Cambia l’aliquota, stabilita allo 0,76 per cento, al di sopra del livello attuale che in media è lo 0,5 per cento. La ragione per cui aumenta è che su una parte dei redditi immobiliari gravano delle imposte dirette come l’Irpef. Si trasforma un’imposta sui redditi in una patrimoniale. Questa aliquota, secondo la relazione tecnica, dovrebbe generare parità di gettito. Per i Comuni comporta un limite all’intervento sulle aliquote, quindi minore autonomia. Per le imprese non si realizza la cancellazione dell’Irpef: continuano a pagarlo per gli immobili che usano per il loro lavoro. C’è quindi uno spostamento del carico fiscale a sfavore dei lavoratori autonomi, delle imprese e delle società di capitale che percepiscono redditi fondiari.

Fondo perequazione: chi ha avuto, ha avuto

È il vero elemento mancante del sistema. Dovrebbe sopperire alla diversa distribuzione delle imposte tra i diversi comuni, in modo da garantire ai Comuni di finanziare i fabbisogni standard delle loro funzioni. Cioè per i servizi fondamentali come gli asili nido, i trasporti pubblici locali, l’assistenza agli anziani. Ci saranno Comuni molto dotati perché hanno molte seconde case immobili commerciali, altri che non hanno questa fortuna. I Comuni dove ci sono tante prime case, sulle quali non si paga alcuna imposta, avranno relativamente poche entrate. Ci si aspettava un decreto legislativo che specificasse le fonti di finanziamento e le modalità di riparto di questo fondo a cominciare dalle direttive della legge delega. Invece non è specificato come si finanzia e come usa le risorse. Il problema è stato semplicemente rimandato, pericolosamente, visto che siamo vicini alla scadenza della delega (a maggio). Quindi non si sa quali saranno le risorse complessive a disposizione dei Comuni.

da Il Fatto quotidiano del 5 febbraio 2011

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Al federalismo si dica sì o no

senza ricattare e barattare

di Piero Sansonetti

Come si fa a pensare che il federalismo fiscale sia una riforma deleteria per il paese e dire a Bossi: «Siamo pronti a dartelo, purché molli Berlusconi»? Per chi poi? Per un cambio di maggioranza? No, per Tremonti premier, per un governo ancora più di destra

l federalismo fiscale, secondo me, è una vera schifezza. È un provvedimento che – ove, Diononvoglia, dovesse passare – si abbatterà come una mazzata sull’economia italiana, aumenterà spaventosamente il debito pubblico e creerà un gigantesco divario tra il Nord e il Sud, spingendo il Mezzogiorno verso la bancarotta e un peggioramento drammatico delle condizioni di vita delle persone.
Naturalmente c’è chi pensa il contrario. Pensa che il federalismo fiscale sarà il “motore” di una svolta virtuosa, che porterà le Regioni e i Comuni, e l’amministrazione dello Stato, a un grado più alto di responsabilità, a scelte sagge, a risparmi della spesa pubblica. 
Chi è convinto di questo, però, finora non è riuscito a spiegarci il perché tutto ciò dovrebbe avvenire. Mentre la gran parte degli esperti – non solo di sinistra – è convinta del contrario, e cioè del fatto che le spese aumenteranno, aumenterà la pressione fiscale, e il Sud del paese subirà una solenne punizione.
Ora però, c’è una cosa sulla quale la discussione non è possibile: che il federalismo fiscale vada giudicato per quello che è. Siccome è un provvedimento che cambierà in modo profondo il metodo di distribuzione delle risorse tra Stato centrale e territorio, è chiaro che è un provvedimento, a suo modo, rivoluzionario. Non si può pensare che il federalismo fiscale sia una misura “indifferente”, o di poco valore, come la riforma universitaria di Mariastella Gelmini o la patente a punti.
E allora io resto sgomento quando leggo che l’opposizione è disposta a dire a Umberto Bossi: «Ti diamo quello che vuoi sul federalismo, purché molli Silvio Berlusconi». Cioè, in sostanza: «Siamo pronti ad appoggiare il federalismo fiscale, anche se i nostri esperti ci dicono che sarà la rovina del Sud, ma in cambio vogliamo molto: vogliamo lo scalpo del Caimano».
Perché resto sgomento? Non solo perché in questi mesi – da quando dirigo Calabria Ora – mi sono sempre di più appassionato alla questione meridionale; ma anche perché mi sembra che il concetto di politica che domina nel centrosinistra sia ormai sceso a livelli molto molto bassi. Come si può pensare di commerciare il destino del Mezzogiorno con la poltrona di Palazzo Chigi? Svendere il Sud come prezzo di un ricambio nel ceto dirigente?
Francamente ritengo che la politica fatta in questo modo non sia più politica. Penso che sia diventata solo congiura, gioco di potere, piccolo cabotaggio. E oltretutto, il “patto” di cui si parla non prevede nemmeno il cambio del governo con un passaggio da destra a sinistra. Che comunque sarebbe un modo assai vecchio di concepire il riformismo, sarebbe il riproporsi del riformismo stalinista, obsoleto, basato sulla manovra, sulla tattica, e mai sul disegno politico di trasformazione. In questo caso il ricambio di ceto dirigente dovrebbe essere il passaggio dello scettro da Berlusconi a Giulio Tremonti. Non so se mi spiego. Non Nichi Vendola: Tremonti!
Quale sarebbe la conseguenza di questo passaggio di scettro? Evidentemente uno spostamento un po’ a destra dell’asse politico italiano. Tremonti è l’uomo che, alleato con la Lega e con i settori più “aggressivi” di Confindustria, immagina un liberismo lacrime e sangue che ponga fine a ogni residuo di interclassismo e di democristianesimo che ancora albergano nel berlusconismo. E dunque la proposta del centrosinistra alla Lega è: se cacci Berlusconi e instauri un governo di destra pura e vera, siamo con te. Cioè l’offerta è quella di sostenere la svolta a destra.
Come può spiegarsi tanta cecità? Io penso che la sinistra italiana stia pagando un prezzo troppo grande alla fine delle ideologie. L’ideologia è stata, durante mezzo secolo, una specie di Gps per la sinistra italiana. Cioè uno strumento che permetteva l’orientamento immediato e automatico, dinanzi a ogni problema, e quindi che non pretendeva l’uso della bussola e del sestante per disegnare le rotte: non pretendeva l’elaborazione di pensiero politico nuovo, originale, moderno. La fine delle ideologie, anziché portare alla rinascita del pensiero politico di sinistra, ha spinto verso l’abolizione delle idee. La sinistra si è convinta che in politica l’unica cosa che conta è il potere, e non servono progetti di società. Federalismo fiscale o politica meridionalista sono intercambiabili. Si scelgono sulla base esclusivamente di un calcolo di convenienza e cioè di una operazione tattica. La sinistra della settimana prossima potrebbe, indifferentemente – per via di improvvise contingenze mutate – diventare superlaica e libertina e meridionalista, oppure sanfedista e papalina e leghista, senza che questo provochi nessun dibattito e nessuna battaglia politica;Quando è successo che questa abitudine (questa ideologia della non ideologia) si è consolidata? Con la nascita del Partito democratico e più precisamente con la svolta veltroniana del Lingotto.;Non credo che ci sia una via d’uscita, se prima non si seppellisce il Lingotto e, probabilmente, se non si conclude, anche formalmente, la disastrosa esperienza del Pd.

Attilio Mangano, Ma il federalismo..ultima modifica: 2011-02-05T17:41:01+01:00da mangano1
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