Stefano Del Giudice,Bye Bye Blair

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[Bye Bye Blair] Il socialismo europeo tra il Gambero Rosso e un futuro da scrivere
giovedì 14 aprile 2011
Scritto da Stefano Del Giudice – 49 letture
4 commenti
L’uscita di scena di Zapatero, che ha deciso di non ricandidarsi alle prossime elezioni e passare la mano, segna probabilmente il tramonto della stagione “glamour” del socialismo europeo, ingentilitosi di pragmatismo liberal-labourista per sopravvivere all’era thatcheriana. Sono stati anni a fasi alterne, ora ricchi di vittorie e grandi illusioni, ora amari per le cocenti sconfitte ed i continui sforzi di far coincidere riformismo ed edonismo raeganiano. Non è un caso, infatti, se l’epilogo della parabola del premier spagnolo coincide con l’impennata di consensi che il nuovo leader laburista Milliband, partito a fari spenti fra lo scetticismo generale, ha saputo calamitare su di sé , ponendo l’accento sui problemi di una  recessione non ancora superata, ma soprattutto sul tema schiettamente “sinistrorso” delle troppe diseguaglianze sociali ancora da rimuovere.

Il segnale è politicamente interessante , soprattutto perché può segnare una svolta epocale e chiudere finalmente  il lungo periodo iniziato verso la fine degli anni 70, con le riforme del mercato del lavoro volute in Inghilterra dal governo Thatcher: fu allora, con l’Europa ancora  stordita fra le ansie della guerra fredda e dello shock petrolifero, che le democrazie occidentali decisero che era arrivato il momento di raccogliere la sfida e  liberalizzare, uscendo dalla logica di relazioni industriali che ingessavano i rapporti economici e frenavano la crescita del prodotto interno lordo; fu allora che le destre ad ovest e ad est dell’Atlantico decisero di cogliere il desiderio del ceto medio di uscire dal peso esistenziale di una coscienza collettiva troppo opprimente e di recuperare il tempo perduto a colpi di gioia di vivere ed affermazioni personali. La sociologia del tempo (Alberoni docet) si prodiga a spiegare questo nuovo bisogno di privato, mentre l’economia spiega efficacemente che l’uomo, per essere felice, ha bisogno di gratificazioni economiche e di carriera, ma anche di dare sfogo a quell’insostenibile leggerezza dell’essere  che, secondo Milan Kundera (il guru per eccellenza dei nuovi tempi) rappresenta il suo lato emotivo più rilevante. E’ la ricetta degli anni ’80, gli anni che qualcuno ha definito “stupidoni” ma che la storia, prima o poi, dovrà studiare attentamente, sia per la svolta liberista più che liberale inaugurata dalla Thatcher, sia per la forte impostazione mediatica che il grande comunicatore Ronald Raegan seppe dare alla sua politica decisionista, capace di bombardare di santa ragione un certo Gheddafi e di fare la pace in nome degli affari con l’orso sovietico dalle unghie ormai spuntate.

Piaccia o non piaccia, gli anni ottanta sono gli anni in cui proprio Raegan cambia la politica e dimostra efficacemente come un ex attore hollywoodiano possa parlare a milioni di elettori guardando fisso una telecamera e riuscendo a catturare molti più consensi di un politico consumato: un uomo solo, con le idee chiare ed un modo incisivo di esprimerle, rappresenta un modello, un esempio di affermazione personale da seguire e possibilmente imitare magari non solo in politica.

Tradotto in termini elettorali, tutto questo spiega l’avanzata generalizzata del centro destra in Europa ed in America, mentre la caduta del muro di Berlino non distrugge soltanto l’impalcatura del vecchio socialismo reale, ma innesca una forte involuzione in termini di consenso anche in quei partiti comunisti che, come in Italia, si erano decisi a tagliare il cordone ombelicale con Mosca per costruire qualcosa di nuovo. Ecco perché, alla fine, ho esordito scrivendo che  la vocazione  liberal-labourista del socialismo europeo è stata innanzi tutto una questione di sopravvivenza: se la spinta alla modernizzazione del Paese è il motore del programma del Psoe e del suo leader Gonzales, in Italia Bettino Craxi prende il timone di un partito uscito elettoralmente a pezzi da una politica subalterna al PCI di Berlinguer e fa propria la lezione di Pietro Nenni, che ritiene possibile la sopravvivenza del PSI solo in una condizione di assoluta autonomia sia dalla DC che dal PCI.

L’onda lunga del craxismo, arrivato alle soglie degli anni novanta, è sostenuta da una politica di espansione economica, ma anche da tappe di segno decisamente neo-thatcheriano quali
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l’abolizione della scala mobile e l’ossessivo slogan “meno Stato, più mercato”. Dal punto di vista sociologico, poi, un’orda  di partite IVA con i vestiti griffati ed un desiderio inconfessato di discoteche alla moda e macchine fatte col “leasings” (immortale espressione del grande Jannacci)  ha rappresentato lo zoccolo duro di questo popolo “ di sinistra ma non troppo”, capace poi di superare la fine politica del craxismo approdando indifferentemente nel calderone berlusconiano o nelle periferie del soggetto sorto dalle ceneri del PCI, ondeggiante fra i sarcasmi dalemiani ed il buonismo glamour- veltronico.

Sembrerà una bestemmia, ma la sinistra che ha scoperto il Gambero Rosso ed il trading in borsa, un po’ tecnocrate, un po’ radical chic, è figlia di Craxi esattamente come Tony Blair ed il suo New Labour sono stati il volto carismatico e ben educato con cui il socialismo inglese si è presentato per tenersi al passo con i tempi ed esistere politicamente, sforzandosi di mantenere un certo  appeal presso una società civile ormai permeata di individualismo, anche nelle sue implicazioni peggiori.

Così, mentre il social –pragmatico Zapatero conquista  la cattolica Spagna proponendo liberalizzazioni e matrimoni gay, l’unico dinosauro del socialismo di base sembra essere rimasto l’eroico Schultz ,abbarbicato ai banchi dell’Europarlamento per sfanculare  il magnate Berlusconi in conflitto d’interessi anche con se stesso: insomma, fra sconfitte elettorali  e messaggi politici deludenti,le sinistre possono dire di aver vissuto la conclamazione della propria crisi, dovendo persino sorbirsi i de profundis di pensatori in trasformazione del calibro di Rutelli e Massimo Cacciari  ,pronti ad intonare il requiem per l’idea stessa di socialdemocrazia e ad inneggiare ad una “nuova politica” talmente nuova da non recare neppure traccia di contenuti intelligibili.

Non si può trascurare ,d’altra parte, che il taglio schiettamente individualista dell’età raeganiana ha portato fatalmente ad una alterazione del rapporto fra i partiti politici ed i propri leaders ,che sono divenuti spesso talmente opprimenti e totalizzanti da uccidere ogni tentativo di dibattito interno  .Questo fenomeno ha sicuramente privilegiato le formazioni di centro- destra ,per molte ragioni assai più portate ad accettare e sostenere il ruolo di personaggi capaci di calamitare consenso con l’immagine della propria affermazione. Il caso dell’Italia ,anzi,ha addirittura dimostrato come la destra abbia potuto sostituire i partiti tradizionali con le  formazioni create in provetta dall’edonista Berlusconi ,mentre questo percorso sia molto più sofferto e tribolato se intrapreso da una formazione di impostazione riformista come il PD.

Ma ecco Milliband. Già,Milliband, il leader che non ti aspetti e che al di là delle formule e delle targhette ideologiche ,torna a parlare di storture del mercato e di disuguaglianze da rimuovere. Forse,ora che ci sono meno  soldi per fare la bella vita  e gli abiti griffati costano troppo anche per un direttore di banca,il lato serio del socialismo torna ad avere una attualità ed una prospettiva , magari incarnata nella promessa di un modello di sviluppo realmente sostenibile e più equilibrato, in cui il concetto di società solidale non è un condensato di banalità e di buonismo,ma è il concreto operare di un sistema complesso di distretti produttivi, di comunità desiderose di ritrovare dignità ed equilibrio, e di una società generalmente bisognosa di ridarsi un futuro e di ritrovare un’etica civile degna di questo nome. C’è insomma da tenere insieme PIL e valori etici, tenendo a mente che gli anni 80 hanno prodotto i libri di Alberoni ,ma anche l’efferato delitto di Pietro Maso e le bolle speculative della finanza trafficona .

E’ chiaro comunque  che l’ideologia non può più essere interpretata secondo i vecchi modelli e che una nuova possibile primavera della socialdemocrazia europea deve passare necessariamente per una leale osmosi con le forze contigue ,che siano di ispirazione “liberal” o cattolica, ma certamente uscire dall’ambiguità di un “nuovo senza identità” può addirittura giovare ad un sano e costruttivo dibattito che abbia la forza di partire da un punto fermo: l’era del thatcherismo e del mito dell’affermazione personale sta finendo ,come sta finendo l’utopia dei grandi condottieri di partito e d’impresa ,degli “uomini soli al comando” arroganti e ben pagati a suon di stock option. C’è bisogno di un sistema che sappia creare valore, non solo economico, e distribuirlo nella società, cercando di restringere progressivamente le sacche di emarginazione ed esclusione con politiche mirate nel breve e nel lungo periodo. C’è bisogno di una nuova tutela sociale e di un nuovo codice etico da condividere per salvare l’ambiente in cui viviamo ed il nostro futuro,che torna a coincidere se considerato dal punto di vista del singolo o da quello della collettività. Chi non ci crede, pensi a Fukushima.

Stefano Del Giudice_nato a Montevarchi 45 anni fa, nonostante l’età e  studi classici conserva il gusto per il “politicamente scorretto” ed i punti di vista rigorosamente impopolari.

4 Responses to [Bye Bye Blair] Il socialismo europeo tra il Gambero Rosso e un futuro da scrivere

Demi Romeo14 aprile 2011 alle 21:48
Apprezzo l’impegno di chiunque per il bene e la qualità di Labouratorio, ma molte affermazioni che vengono ribadite contrastano con l’intervento di Papandreou (riportato in questo stesso numero). Il premier greco, che da sempre ha rappresentato (vuoi la crisi, vuoi una vocazione pragmatica ereditata dalla tradizione governista della sua famiglia)una certa visione di “terza via” in stile ‘lib-lab’, conserva tuttora quei nobili principi e quella visione del futuro incentrati sulla questione sociale e sulla lotta alle diseguaglianze. In fondo lo stesso Milliband (Il Rosso) ha più volte ribadito il suo interesse per tutelare la ‘middle class’ da un generale impoverimento dovuto al facile accesso al credito. Le stesse preoccupazioni sono presenti nella Spagna di Zapatero e, anzi, espresse in forma concreta e giudicabile nel tempo.

Enrico Antonioni15 aprile 2011 alle 11:28
Un articolo condivisibile ma ha il difetto di portare a sostegno delle tesi del’autore delle vere e proprie falsità. Specie su Craxi (il perenne dente che duole della sinistra italiana). Craxi non ha abolito la scala mobile. Basta leggere ciò che ha scritto Craxi, o ascoltare i moltissimi suoi discorsi disponibili sul sito di radio radicale, per capire che considerarlo il “padre” di Blair è una cretinata. Persino nella sua relazione all seconda conferenza di Rimini (1990) Craxi rilancia la necessità dell’intervento pubblico in economia e i pericoli del mercato lasciato a se stesso. Lo slogan più mercato meno stato non ha origine nel partito socialista. Semmai il socialismo postulato da Craxi somiglia molto proprio a quello di Millband. Così come la preoccupazione per l’impoverimento dei ceti medi. Meglio parlare dell’oggi quindi, evitando di parlare del passato quando lo si conoce poco e male.

Nicolò Cavalli15 aprile 2011 alle 13:08
E’ vero che Craxi era lontano da Blair. Si prenda questa dichiarazione: “Non c’è dubbio che io non sono uno statalista – uno statalista nel senso collettivista burocratico – ma non credo neanche che l’industria di Stato meritasse la sorte che sta meritando, tenuta in scacco per anni e poi praticamente privatizzata obbligatoriamente a condizioni molto spesso discutibili.” Allo stesso tempo è vero che la “svolta” culturale del Psi di quegli anni è stata fondamentalmente innovativa anche nel rapporto tra la sinistra e l’economia di mercato. Iniziata su questa strada, però, la “terza via” si è dimostrata qualcosa di sostanzialmente differente da un’articolazione “socialista” del rapporto tra sinistra e capitalismo, prima di naufragare nel pantano iracheno. In ogni caso ci sono alcune distinzioni da fare. Primo, Miliband rappresenta veramente un’alternativa? Io credo e spero di sì, almeno lo è a parole. Ma, per scomodare uno che qui c’entra poco o niente, anche Vendola lo è a parole. Anche Obama (forse più pertinente al confronto) lo era e lo è stato solo in minima parte. Il punto è allora che, di fatto, non si scappa: vai al governo e sii l’alternativa. Alcuni dei personaggi citati nell’articolo e negli altri commenti lo sono stati, manca, dopo la depressione zapaterista, qualcuno capace di esserla oggi. Seconda distinzione: Miliband ha una realtà sociale del tutto diversa da quella del resto d’Europa. Spagna e Grecia hanno punti in comune ma sono realtà molto diverse da quella francese e tedesca, per esempio, e anche da quella italiana. Siccome però c’è un fondo che coinvolge tutti, allora l’unica via sarebbe quella di costruire su questo e dare una risposta europea se non globale. Questa secondo me è l’unica via per la rinascita di un vero e proprio movimento progressista. Se le risposte rimarranno nazionali,non ne usciamo.

Stefano Del Giudice,Bye Bye Blairultima modifica: 2011-04-15T16:42:42+02:00da mangano1
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