Paolo Bagnoli, Alberto Benzoni, La questione socialista

Questione socialista 1

1887, Quattro girasoli recisi.jpg
Una Questione
grossa e difficile

di Paolo Bagnoli

Crediamo che sia utile svolgere,ancora una volta,qualche osservazione in merito alla cosiddetta “questione socialista” che, dopo aver tenuto un certo campo di attenzione per un po’ di tempo,sembra essere stata  accantonata nel dibattito politico italiano sempre che di “dibattito” si possa parlare in un’Italia che, non solo mostra grande difficoltà  nel dialogare,ma anche nello starsi  ad ascoltare. Lo stesso dato che emerge dalle recenti elezioni,per quanto segnino novità rilevanti come il risultato di Milano,ci dicono che il sistema delle alleanze,dei rapporti,delle scomposizioni denotano una crisi grave e aspra del sistema politico italiano a dimostrazione del fallimento del conclamato bipolarismo. La crisi della Repubblica sembra,infatti, involversi su se stessa e le ragioni politicistiche del quotidiano finiscono per tenere banco;le prospettive della democrazia italiana  sembrano scarsamente interessare,mentre riteniamo che una seria opera di ricostruzione della politica democratica e di riconferimento di autorevolezza alle istituzioni della Repubblica non possa prescindere dal mettere sul tavolo,quale elemento imprescindibile,il problema del socialismo in Italia.
    La questione è grossa e difficile anche sotto il profilo della sua impostazione;ma certo, chi la sente e la vive ha pure il dovere di fare uno sforzo non politicistico; avere, cioè, l’intenzione ambiziosa di confrontarsi con la storia;quella di oggi per ritenere di contribuire a costruire quella di domani. 
    Un impegno serio e culturalmente forte in tale direzione non lo vediamo e ci pare che si stiano correndo due seri rischi.Ci riferiamo naturalmente ai socialisti. Il primo è quello di individuare,in quanto aspetto prioritario, la ricerca di una collocazione e di una presenza che, attraverso la conquista di qualche posizione in consessi rappresentativi, segni l’avvio della sua soluzione. Non ci sfugge il senso di tutto ciò,ma di fronte alla grandezza del problema, ci pare solo una scorciatoia di residualità cetuale per far vedere che,a dispetto di tanti, i socialisti ci sono ancora. Ciò,tuttavia, non significa che ci sia il socialismo, ossia un soggetto attivo per rappresentatività sociale e  peso democratico;ribadire,cioè, la funzione  che la storia assegna al socialismo:ossia, essere lo strumento per tutelare  socialmente, dando loro piena dignità di cittadinanza, i ceti indifesi,a quel mondo del lavoro oggi sempre più ricattabile da un capitalismo diventato più aggressivo e  portatore di una barbarie che disconosce i diritti del mondo del lavoro e fa passare come presunta modernità il loro abbandono. Gli esempi in tal senso abbondano e basta gettare un’occhiata su taluni comportamenti del mondo industriale – ultimo quello dell’amministratore della Thyssen che ha ricevuto gli applausi dei colleghi confindustriali – per rendersene subito conto. Insomma, si tratta,in primo luogo,di recuperare il significato di una storia che è stata,pur con tante traversie ed errori,la storia del socialismo italiano,delle sue lotte,del suo valore morale e liberatorio nel nome,appunto,della libertà,della giustizia,dell’allargamento dei diritti. Come diceva Pietro Nenni,nello sforzo continuo di tirare avanti quelli nati indietro. Avere,cioè,coscienza che socialismo significa cambiare il meccanismo di sfruttamento del capitalismo con gli strumenti della democrazia.
    Per recuperare il senso di una storia occorre, tuttavia, avere coscienza del proprio ruolo e una cultura che lo supporti:due fattori al momento inesistenti.  Ricreare una cultura politica che abbia l’ambizione di essere tale è questione assai complessa;è un tragitto che richiede,sempre che si afferri la chiave giusta, assai lungo poiché comporta impostazione ideologica,robustezza teorico-valoriale e sforzo organizzativo non mirato alla semplice comunicazione o irretimento nella testimonianza.
    Le lezioni amministrative hanno ricondotto sullo scenario primario sia Rifondazione comunista che l’Italia dei valori. Ma ciò non basta a reimpostare la questione della sinistra. Qui si gioca la scommessa eventuale dei socialisti poiché la questione socialista e  della sinistra nel suo complesso si intrecciano. Diciamo sinistra un campo cui il partito democratico è estraneo per natura e con il quale, naturalmente, possono essere fatte delle alleanze.
    Il secondo rischio è che tale questione sia ingravidata da quel post-comunismo che, per via pubblicistica o memorialistica,si sta appropriando del problema sostenendo che nel partito comunista vi erano “socialisti”, che l’atteggiamento del Pci verso il Psi è stato quasi sempre sbagliato e tessendo le lodi di un partito,il psi,che i  comunisti hanno prima cercato di egemonizzare,poi contrastare e,infine,addirittura demonizzare. Lungi da noi ritenere che nel comunismo italiano non vi fossero differenziazioni interne anche profonde e tanti autorevoli attestati al psi,se pur postumi,ci confermano nel fatto che la strada giusta fosse quella del psi,naturalmente prima dell’insorgere di quei virus che lo hanno portato alla fine. Ma allora, perché il Pci, chiusi i battenti, non ha voluto farsi socialista? E’ nato il Pds, certo, ma la stessa sigla altro non era che un modo per continuare a perpetuare il senso di una presenza politica in ogni modo non contaminata dal socialismo. Come poi è andata finire è storia  corrente. Ci domandiamo:se invece dell’onore delle armi perché allora non fu data battaglia per affermare,tramite una chiara scelta socialista,una prospettiva che riunisse la sinistra,mantenesse intatto il potenziale di forza del psi quale componente fondamentale della sinistra e non mettere l’abito socialista  oltre le Alpi dismettendolo una volta rientrati in Italia?
    Oggi le ragioni del socialismo ci sono tutte,ma per riaffermarle occorre uno sforzo titanico,allora non era così;la realizzazione,per dirla alla buona, era a portata di mano. La questione è che “natura non facit saltus” e che,perseverando lungo l’unica vera cultura  che aveva permeato il Pci, quella impressa da Togliatti, la legittimazione democratica quale forza di governo,nonostante la caduta dell’Urss e la Bolognina, non doveva derivare dalla scelta socialista,bensì dalla benedizione democristiana;non importa se solo da una parte di essa,bastava fosse democristiana. Da qui è nato il partito democratico verso il quale, anche da parte di quei comunisti che hanno continuato a dichiararsi tali, c’è stata talvolta acquiscenza motivata da ragioni elettoralistico-governiste che si sono poi negativamente riversate su di loro.
    Ciò detto, fermo restando che occorre superare una drammatica contraddizione per cui occorre fronteggiare il presente cercando la convergenza di tutte le forze di opposizione,è proprio il contingente che impone a traguardare il futuro e,quindi, facendo  i conti  sul medio periodo della storia, perché non  innescare un’ iniziativa nel senso della rimessa in pista del problema socialista e, con esso, della sinistra nel suo insieme? I punti di partenza non possono che essere due:un impegno serio e consapevole e la definizione di un campo di idee che lo accompagnino. Facile a dirsi meno a farsi soprattutto se,su di esso ,grava il fattore del reducismo. La fine del psi non ha portato con sé quello della cultura socialista e molti,sparsi un po’ in tutta Italia, sono i centri,le fondazioni,le associazioni che testimoniano una presenza socialista attiva;allora,perché non provare a ripartire da qui,da questo patrimonio di storia,di valori,di cultura,di documentazione;  consegnarci a una sfida ambiziosa con uno spirito di paziente costruzione,senza l’assillo del “fare notizia”, esclusivismi o n ambiguità; questa volta, sì, con spirito di servizio verso un ideale grande e insostituibile per la civiltà ,la libertà,la democrazia e la giustizia quale quello rappresentato dal socialismo. Non sarebbe il caso di tentare?

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Questione socialista 2

La difficoltà di
essere ‘praticabili’

Forse (dico forse) i socialisti dovrebbero dire o proporre qualcosa sulla questione sollevata da Napolitano, ricordando Giolitti, intorno alla “alternativa praticabile”

di Alberto Benzoni

Ricordando Antonio Giolitti, il Capo dello Stato ha riproposto la versione che lo stesso Giolitti dava dell’alternativa, come proposta “credibile, affidabile e praticabile”; questo per sottolineare, neanche troppo implicitamente, che il discorso politico, in particolare del Pd, da molti anni a questa parte non soddisfaceva per nulla a questi requisiti.
    Il rilievo è incontrovertibile; e basti ripercorrere gli eventi più recenti. Questi dimostrano, al di là di ogni possibile dubbio, che, quando il Pd si deve scontrare con il “berlusconismo allo stato brado”, dà il meglio di sé; mentre quando si misura con i problemi – che riguardino la Fiat, la riforma della giustizia o la Libia – annaspa e si contraddice, spesso in modo plateale. In questo senso l’“antiberlusconismo primario” costituisce non già la causa delle sue debolezze, ma un possibile rimedio alle medesime; rimedio che potrebbe funzionare solo nel caso che il Cavaliere determinasse una crisi istituzionale grave e tale da provocare elezioni anticipate. Uno scenario che chi scrive ritiene tuttora probabile; ma non fino al punto di farci totale affidamento. Perché, se lo stesso Cavaliere riuscisse ad arrivare senza strappi al 2013, in una elezione normale, la sinistra dovrebbe esibire le sue carte; e, in mancanza di carte credibili sarebbe condannata ad un’ulteriore sconfitta.
    Ciò, doverosamente, premesso, perché mai la sinistra Pd non riesce ad essere un’alternativa credibile?
    La spiegazione più accreditata (anche perché, attenzione, costantemente proposta e dal centro-destra e dal terzo polo) contesta ai “comunisti” il fatto di essere, in qualche modo, prigionieri del proprio passato; e, quindi, di essere tuttora condizionati da estremismi, ideologismi, conservatorismi di ogni tipo.
    Ora questo condizionamento esiste, ma riguarda il cosiddetto “popolo di sinistra” assai più che la sua classe dirigente. Nel suo caso, anzi, il difetto d’origine è opposto; perché non sta nell’essere prigionieri del passato ma piuttosto nell’averlo frettolosamente liquidato; gettando via il bambino assieme alla (magari tanta) acqua sporca. Per dirla in parole povere, il Pci di fine anni novanta poteva, anzi doveva, diventare un partito socialdemocratico, ma non l’ha fatto, anzi si è mosso in una direzione esattamente opposta.
    Tutto nasce dalla lettura de “combinato disposto” della caduta del muro di Berlino e della immediatamente successiva crisi di Tangentopoli. L’allora Pds interpreta la prima in termini di caduta di ogni prospettiva di tipo socialista e vede la seconda come legittima rivolta della cosiddetta “società civile” contro il “troppo Stato, troppa politica, troppi partiti” che avrebbero caratterizzato la prima repubblica. Il meno che si possa dire è che le cose potevano essere viste in tutt’altro modo: la fine del “socialismo reale” come spazio per il socialismo possibile e la rivoluzione di Tangentopoli come sdoganamento di una cultura di destra condannata all’emarginazione nei decenni precedenti.
     “Ma c’era Craxi che ci annebbiava la vista”, ripetono ancor oggi gli amici del Pd; meglio non replicare per non farsi altro cattivo sangue…
    Il punto che qui c’interessa è poi un altro; il fatto che la quèrelle tra i “nuovisti” (impersonati, tanto per capirci, da Veltroni) e gli “aspiranti socialdemocratici” (vedi Bersani) non si è affatto sciolta nel corso del tempo; anzi non è mai venuta alla luce in un vero confronto politico.
    Il risultato è un partito che oscilla penosamente tra la Cgil e Marchionne ( oggetto, tra l’altro, di un appoggio senza se e senza ma); tra quanti vogliono un partito e quanti sognano una nebulosa indistinta amministrata dalle primarie; tra nostalgici della proporzionale e cultori dell’uninominale secco; tra quanti ritengono necessario un ritorno del ruolo dello Stato e quanti vogliono scavalcare Berlusconi all’insegna di una “rivoluzione liberale” da completare e potremmo continuare all’infinito.
    Il risultato di tutto questo è l’assenza di ogni politica o, peggio ancora, l’immagine di un partito in cui il povero Bersani tenta di proporre qualcosa per essere oggetto di un immediato dileggio da parte della “Rottamatori s.p.a.”.
    Inutile sottolineare, a questo punto, che senza scelta politica non esiste alternativa. Mentre, magari, si potrebbe sommessamente aggiungere che, se questa possibile alternativa ha a che fare con l’attualità della questione socialista, forse (dico forse) i socialisti (dico noi del Psi) dovrebbero dire o proporre qualcosa a questo riguardo. O no?
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Paolo Bagnoli, Alberto Benzoni, La questione socialistaultima modifica: 2011-05-22T16:20:04+02:00da mangano1
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3 pensieri su “Paolo Bagnoli, Alberto Benzoni, La questione socialista

  1. Entrambe le analisi esposte meritano accoglimento, nonostante siano rivolte ad un passato che non può nè deve essere letto in modo omogeneo, stante alla base della vexata quaestio una differenza culturale, sociale e politica che da sempre ha distinto il nostro territorio nazionale. La questione socialista, nell’agenda politica, ha certamente i connotati descritti dagli autori, ma , nel sud ha avuto un significato del tutto diverso. Qui si sono scontrate, negli anni del bum economico, le placche tettoniche del conservatorismo radicale nazionale e la questione socialista si è risolta e sciolta nella questione meridionale, nei suoi succedanei, dell’affare, degli interessi connessi. Le istituzioni repubblicane, da una parte, la scuola e la chiesa,dall’altra, hanno chiuso, in una morsa fatale le confuse, contraddittorie -aspirazioni di un popolo, segnato da un cultura contadina, liquidata sbrigativamente inutile, sull’onda di un famelico, vuoto e dissacrante progresso. Ad emergere restava l’affare comunque esso fosse conseguito. In questa chiave si sono sacrificati territori salubri e ricchi di potenzialità economiche, uomini e valori in attesa di una definizione sociale e culturale. La industrializzazione selvaggia e dissacrante di un parte del territorio meridionale, la spoliazione della legalità nelle istituzioni, la selvaggia aggressione della camorra, della mafia e della ndrangheta nelle loro articolate realtà, hanno inferto al sud il colpo mortale. La domanda resta: ma dove erano i socialisti ? Che pure mietevano messe di consensi e i livelli di rappresentanza ingolfati dalle loro casacche. Ancora: era possibile introdurre allora, come oggi, un costume, un sentire solidaristico, legalitario, promozionale, in un corpo sociale,antropologicamente afflitto da una sudditanza atavica e genuflessa? La storia ha insegnato e dimostrato che il sud è stato ampiamente depauperato di immense risorse, economiche e territoriali, sebbene abbia dato, alle sue Istituzioni, uomini di cultura e di valore, incapaci però di trasmettere un sentire collettivo e fondante. L’economia ha avuto tale capacità piegando, però, al suo passaggio tutto quello che incontrava e lasciando alle spalle cadaveri insecchiti e coscienze obnubilate, putrefatte in misura maggiore dei residui alimentari che affogano, oggi, le sue città . Da quì bisognerebbe partire per introdurre con la coerenza dei comportamenti l’ecologia dei sentimenti e la questione socialista. Che deve essere questione di onestà e di obiettivi, di promozione sociale e territoriale. Ma nel III millennio tale questione deve raccordarsi necessariamente con le genti del ” sudd” in un virtuoso processo di contaminazioni, alla presenza di necessità mutate e di bisogni e urgenze in continua evoluzione. Le piazze del “sudd ” non sono più quelle di eri. Una povertà di spirito e di comportamenti le hanno rese uguali a tutte le altre città del mondo e le differenze di ieri, profumate, disperate, dignitose, speranzose, sono diventate le identità confuse, asettiche, abbandonate, disperate di oggi. Una babele immane e le contraddizioni divengono sistema. In tale scenario è impensabile che una questione socialista possa squarciare la coltre di ignoranza, miseria e rassegnazione. Ma tant’e e la chiesa, maestra di vita, di costume, di valore, sta pur essa a guardare. Forse entrambe con un pizzico di umiltà e ponendosi al servizio dell’uomo potrebbero servire ancora alla causa dell’umanità.

  2. Entrambe le analisi esposte meritano accoglimento, nonostante siano rivolte ad un passato che non può nè deve essere letto in modo omogeneo, stante alla base della vexata quaestio una differenza culturale, sociale e politica che da sempre ha distinto il nostro territorio nazionale. La questione socialista, nell’agenda politica, ha certamente i connotati descritti dagli autori, ma , nel sud ha avuto un significato del tutto diverso. Qui si sono scontrate, negli anni del bum economico, le placche tettoniche del conservatorismo radicale nazionale e la questione socialista si è risolta e sciolta nella questione meridionale, nei suoi succedanei, dell’affare, degli interessi connessi. Le istituzioni repubblicane, da una parte, la scuola e la chiesa,dall’altra, hanno chiuso, in una morsa fatale le confuse, contraddittorie -aspirazioni di un popolo, segnato da un cultura contadina, liquidata sbrigativamente inutile, sull’onda di un famelico, vuoto e dissacrante progresso. Ad emergere restava l’affare comunque esso fosse conseguito. In questa chiave si sono sacrificati territori salubri e ricchi di potenzialità economiche, uomini e valori in attesa di una definizione sociale e culturale. La industrializzazione selvaggia e dissacrante di un parte del territorio meridionale, la spoliazione della legalità nelle istituzioni, la selvaggia aggressione della camorra, della mafia e della ndrangheta nelle loro articolate realtà, hanno inferto al sud il colpo mortale. La domanda resta: ma dove erano i socialisti ? Che pure mietevano messe di consensi e i livelli di rappresentanza ingolfati dalle loro casacche. Ancora: era possibile introdurre allora, come oggi, un costume, un sentire solidaristico, legalitario, promozionale, in un corpo sociale,antropologicamente afflitto da una sudditanza atavica e genuflessa? La storia ha insegnato e dimostrato che il sud è stato ampiamente depauperato di immense risorse, economiche e territoriali, sebbene abbia dato, alle sue Istituzioni, uomini di cultura e di valore, incapaci però di trasmettere un sentire collettivo e fondante. L’economia ha avuto tale capacità piegando, però, al suo passaggio tutto quello che incontrava e lasciando alle spalle cadaveri insecchiti e coscienze obnubilate, putrefatte in misura maggiore dei residui alimentari che affogano, oggi, le sue città . Da quì bisognerebbe partire per introdurre con la coerenza dei comportamenti l’ecologia dei sentimenti e la questione socialista. Che deve essere questione di onestà e di obiettivi, di promozione sociale e territoriale. Ma nel III millennio tale questione deve raccordarsi necessariamente con le genti del ” sudd” in un virtuoso processo di contaminazioni, alla presenza di necessità mutate e di bisogni e urgenze in continua evoluzione. Le piazze del “sudd ” non sono più quelle di eri. Una povertà di spirito e di comportamenti le hanno rese uguali a tutte le altre città del mondo e le differenze di ieri, profumate, disperate, dignitose, speranzose, sono diventate le identità confuse, asettiche, abbandonate, disperate di oggi. Una babele immane e le contraddizioni divengono sistema. In tale scenario è impensabile che una questione socialista possa squarciare la coltre di ignoranza, miseria e rassegnazione. Ma tant’e e la chiesa, maestra di vita, di costume, di valore, sta pur essa a guardare. Forse entrambe con un pizzico di umiltà e ponendosi al servizio dell’uomo potrebbero servire ancora alla causa dell’umanità.

  3. 1. IL PD: IL MISTERO ITALIANO.

    Nobile Giancarlo

    comitatogobetti@libero.it

    Il PD è figlio di un enorme fraintendimento, sono tantissimi anni che seguo il lavoro a sinistra della non-destra che si è coagulata in Italia, non destra perché è legata solo ad interessi privatistici ma manca totalmente della cultura non di destra ma di cultura liberaldemocratica ed anche intrisa di prepolitica cioè di buono/cattivo, amico/nemico che è propria di una società tribale
    Dopo tangentopoli si pose la questione della sinistra e l´idea fu quella di unire tutte le anime della sinistra dai reduci del PCI sino al repubblicani, dal 1993 al 1996 si svolsero centinaia di incontri, in merito – il più importante fu quello al Ciocco in Garfagnana ‘Seminario dell’Area Laica e Socialista’ del febbraio 1996, in questo percorso si sono scritti migliaia di documenti, molti sono nell’archivio del Comitato Piero Gobetti.
    Ma per far questo occorreva riconoscere il valore del mondo Liberal Socialista e Socialista – anche se il socialismo era stato assassinato dal craxismo, comunque vi erano in quest’area politica ideali ed uomini di valore – realtà che nei vecchi PCI era totalmente estranea se non vista come nemica.
    Prevalse alla fine la vecchia idea di alta strategia (?) togliattiana, portata avanti fortemente da Massimo D´Alema, che ha sempre visto il primato del PARTITO sulla società e sul cittadino come era nella prassi esegetica del vecchio PCI ed insegnata nella scuola quadri delle Frattocchie, dell´incontro delle masse socialiste/comuniste con le masse cattoliche idee che condusse Berlinguer a formulare il Compromesso Storico.
    Nel marasma post tangentopoli e l’avvento dell’avventuriero Berlusconi essa divenne una fusione dei reduci del vecchio PCI e della corrente di Base della DC, man mano tutti gli elementi estranei a questo schema furono costretti ad allontanarsi, ancor oggi il buon Bogi della sinistra repubblicana o Valdo Spini o Gino Giugni o Giuseppe Ayala si stanno ancora chiedendo cosa sia accaduto, unico reduce è Enzo Bianco ma sta su uno strapuntino.
    E´ accaduto che vi è stata la fusione fredda tra due corporazioni politiche chiuse in se stesse, una fusione piena di contraddizioni tra cui quella originaria dell´incontro tra le masse come se nella Democrazia Liberale – quale noi siamo anche se qui sembra che nessuno lo capisca – vi fossero masse e non cittadini e società. Questo problema la dice lunga sulle difficoltà dei vertici del PD di potersi muovere.
    Ma il PD è un partito? Cioè è una parte della società che ha idee condivise e da queste idee fa scaturire progetti che propone ai cittadini/corpo elettorale per giungere al governo della Nazione. Nella realtà dei fatti l´antistorica e contraddittoria fusione fredda tra ex PCI e Base Dc ha portato ad un vuoto, ad uno scollamento che è stato riempito dell´anchismo veltroniano tutti dentro e vogliamoci bene.
    Il PD sinora si è proposto come il collante di tante cose, molte volte esse entrano in conflitto tra loro, l´anchismo veltroniamo ha portato ad un disastro Identitario, perché la questione delle questioni del PD è proprio l´Identità, un partito che non ha un orizzonte di senso; identità e orizzonte di senso formano un io identificabile perché ha una sua struttura iconica riconoscibile.

    Il PD sembra Zelig il personaggio di Woody Allen che si identifica con ogni luogo o persona che si trova a dover frequentare diventa negro davanti ai negri, diventa schiavista davanti agli schiavisti, diventa integerrimo poliziotto davanti ai poliziotti diviene un efferato bandito con i banditi. Così il PD diviene di centro con l´UDC, familistico con i Dipietristi, diviene cattocomunista con SEL, diviene Confindustriale con Confindustria, diviene ultravaticanista con i Cardinali e via elencando.
    Manca l´Identità e se non c´è identità non esisti.
    Il PD diviene un gruppo ecumenico cioè un gruppo del tutto e non di una parte e se sei del tutto non sei di niente dunque non esisti. Almeno che hai una forte ideologia totalizzante antidemocratica come la chiesa allora puoi aspirare all´Ecumenismo ma l’Ecumenismo è per se tendente alla negazione della Democrazia perché non è dialogico e ciò comporta grandi problemi tra i tanti al PD che difatti dice di essere Democratico in sè, senza altre aggettivazioni.
    Tra le questioni che più danno la percezione del vuoto è la mancanza di cultura, di riflessione, l´incontro della sinistra con i cattolici ha provocato un corto circuito orribile, tutto nasce da incultura e non lettura, per esempio della Rerum Novarum di Leone XII che è l´enciclica messa alla base della politica sociale della chiesa e delle sue organizzazioni collaterali. La Rerum Novarum riprende in pieno il Sillabo di Pio IX lo rivernicia di parole nuove, moderne, sociali e promuove una società gerarchizzata in cui le corporazione, gestite in modo paternalistico, portano avanti le questioni della società con molta carità di fondo. Sinora i documenti dei gruppi e persone che si rifanno alla politica sociale cattolica non si discostano per nulla da questa impostazione, ho letto recenti documenti della CISL e delle Acli che dovrebbero essere i punti avanzati di questo pensiero.
    Per capire possiamo analizziamo due parole: carità che è di destra e pietà che è di sinistra. I cattolici che usano la dottrina sociale della chiesa come fatto politico sono ideologicamente portati alla carità che è un modello utilitaristico del rapporto sociale, un rapporto caritatevole ( basta ricordare l´economia caritatevole di Bush) do qualcosa per te per il mio bene, per non vivere il senso di colpa, per guadagnarmi il paradiso. La sinistra invece usa la pietà, la pietas latina, che è un modello sociale umanistico, ti aiuto perché ti sento parte di me, il tuo dolore, il tuo disagio sono il mio disagio, il mio dolore, tutti siamo legati agli altri è la base della sinistra.
    Nelle Democrazie Liberali dell´Occidente questa distinzione è molto netta nel mondo politico, è la madre della divisione tra destra e sinistra. In Italia vi è un´immensa confusione e ciò forma un vuoto di Democrazia facilmente accaparrabile dall´immondizia che è sempre stata sotto la scorza della nostra Repubblica e che ha comportato il blocco Democratico e ciò l´ha imposto anche con stragi efferate da Portella delle Ginestre sino all´Italicus passando per Piazza Fontana agli assassini di Falcone e Borsellino.
    La Democrazia bloccata della prima Repubblica era il prodotto di un altra alzata di ingegno di Togliatti la condivisione del potere tra PCI e Vaticano tramite la DC, dopo l’estromissione dal Governo nel 1948 l’impostazione è rimasta di governo apparente della DC e sotterraneo consociativismo col PCI, questa struttura e transitata anche nella seconda Repubblica come idea di fondo sino a quella fusione fredda descritta sopra, ma l’anima consociativista emerge anche nei confronti del mondo berlusconiano e ciò impedisce una netta opposizione.
    Il PD diviene così un partito bloccato da un oligarchia con concezioni vecchie che ha costruito attorno a se una miriade di nuove anime che non riescono ad accordarsi tra loro formando l’effetto Babele che tutti conosciamo uno dei tanti è Renzi, un eterno giovanotto che sembra più un Alberto Sordi quando recitava il ragazzo della parrocchietta, che indica come tanti giovani del PD un nuovo eroe Steve Jobs, ma questo è un uomo di destra, la destra tecnocratica americana, il primato del singolo sulla società, Jobs era un genio nella sua materia, ma era un genio di destra nell´amministrare la sua azienda i suoi dipendenti erano come schiavizzati, milioni di persone lavorano per la Mela in forma di schiavitù nei paesi che viaggiano al 10% del PIL, questo Jobs lo sapeva bene ma lui si era `auto-mitizzato. Il famoso discorso agli studenti parte da una premessa sbagliata, lui fu allontanato dalla Mela non licenziato con una montagna di dollari come buonuscita, quello che non succede ai milioni di giovani espulsi dal mondo del lavoro e che oggi formano le schiere dei disperati e degli indignati.
    Essere licenziati con un montagna di dollari è una fortuna senza un soldo è una tragedia.
    Renzi è uomo di destra ma gli altri giovani se si ascoltano le loro belle parole, la loro rabbia si resta sorpresi dell’eccitazione attorno a categorie di prepolitica un noi e loro, cattivi e buoni. Questo è il prodotto del partito che non c’è ma che ha un nome e un simbolo, che ha uomini ma non ha una ideologia che non è in se qualcosa di negativo ma sono idee sorrette da passioni, la passione senza idee produce populismo e qualunquismo o prepolitica come nel caso dei movimenti di Berlusconi o di Grillo.
    Occorrerebbe tornare all’idea originaria di unire la sinistra in un solo contenitore e questo contenitore non può che essere Liberal Socialista, ormai i paradigmi che dividevano la sinistra nel ’900 , dal PCI ai Repubblicani passando dai Liberal Socialisti ai Socialisti, sono stati superati dalla storia, rimangono le radici comuni Eguaglianza e Libertà e su di esse occorre costruire un nuovo percorso.

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