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Esssere insegnante…
Ho sempre avuto l’impressione, nel mio lavoro, di vivere una situazione schizofrenica. Di mestiere faccio l’insegnante in un’università; quindi dovrei partecipare al compito di nutrire giovani menti, ciascuna secondo il percorso e al passo che le sono più appropriati, dell’inesausta ricchezza di una tradizione culturale e delle invenzioni che continuano a rinnovarla sottolineando in particolare, in quanto insegnante di filosofia, le domande, le obiezioni, i dubbi da cui nascono quelle invenzioni e che sono naturalmente in sintonia con la curiosità e l’impertinenza di una giovane mente. Sono anche, però, un funzionario che ha l’incarico di valutare gli studenti e mediante tali valutazioni aprire o chiudere loro l’accesso alle professioni più stimate e meglio retribuite. Le due mansioni mi creano regolarmente conflitti: la generosità, l’indulgenza e il coinvolgimento emotivo che caratterizzano un buon insegnante si scontrano con la ritrosia, la severità e la freddezza richieste a un giudice; la tendenza a dire e dare di più “inquina” i responsi oggettivi che ci si aspetta da un diligente esaminatore. A lungo andare, mi sono convinto che questi conflitti non sono nocivi, anzi forse sono provvidenziali, purché sostenuti con l’atteggiamento giusto. Quel poco o tanto di libertà che l’educazione e la filosofia possono offrire lo dispenseranno sempre in modo obliquo, indiretto, facendo (anche) dell’altro. Ma questa è l’unica vera forma di liberazione: le rivoluzioni cosmiche lasciano il tempo che trovano; l’affrancamento dai pregiudizi, dalla falsità, dall’oppressione intellettuale (come preludio a quella fisica) non può essere che uno sforzo certosino e interminabile di smussamenti di piccoli angoli, di evocazione di piccole radure di speranza. Anche i miei studenti saranno funzionari, un giorno; quindi l’insegnamento, cioè l’esempio, più utile che posso dare loro è come amministrare un ufficio senza esserne amministrati, come mantenersi svegli ai comandi, come affrontare le trite occupazioni quotidiane con umanità, con creatività, con un pizzico d’ironia. Come non essere inghiottiti e digeriti dall’istituzione: non trasformarsi in “insegnanti” totalmente identificati con il loro ruolo di giudice o “studenti” preoccupati solo di tenere alta la media dei voti.
Ermanno Bencivenga- La filosofia come strumento di liberazione