Giuseppe CULICCHIA, Generazione Erasmus dicci “che fare”

28/05/2011 – OLTRE L’INDIGNAZIONE
Generazione Erasmus dicci “che fare”

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La protesta giovanile in Spagna

Proposte per una “Italia dalle nuove idee” perché “non basta l’anagrafe” o un appello ai “valori sani” per affrontare la globalizzazione, la crisi del lavoro, i ritardi della politica
GIUSEPPE CULICCHIA

«I giovani sono in via di estinzione», ha detto di recente Giuseppe Roma, direttore del Censis, rilevando come tra il 2000 e il 2010 l’Italia abbia perso più di due milioni di cittadini tra i quindici e i trentaquattro anni. Intanto, in Spagna e altrove i giovani più o meno «Indignados» si mobilitano denunciando la collusione dei partiti politici con i banchieri e la corruzione della classe dirigente, mostrandosi un filo refrattari ad accettare l’idea di non avere diritto a un futuro per il semplice fatto che quel futuro se lo sono divorato le generazioni precedenti, a cominciare da quella che nell’ormai lontano Sessantotto rivendicava «la fantasia al potere» (e oggi è possibile constatare di quali fantasie si trattasse). E se la nostra quota di over-sessantacinquenni è aumentata di quasi due milioni di unità, la percentuale di giovani che in Italia non mostra interesse né nello studio né nel lavoro raggiunge ormai l’11,2%.

Un dato, questo, molto più alto della media europea, che si attesta al 3,4%. Ma dovuto a che cosa? A un’ormai cronica mancanza di fiducia nelle sorti già magnifiche e progressive? Alla mancata ricezione di precetti educativi da parte di istituzioni quali la famiglia e la scuola che in non pochi casi hanno letteralmente abdicato al loro ruolo? Al rifiuto di accettare non solo i famosi lavori umili ma anche quella che un tempo veniva definita la «gavetta»? A una carenza di motivazioni dettata anche dal prevalere di un modello culturale imposto dagli adulti che poi è quello dei vari format farciti di tronisti e corteggiatrici e «mignottone tivù» (Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombi) e partecipanti a vario titolo al Grande Fratello? O alla semplice presa d’atto che se da un lato precariato e lavoro nero sono diventati i soli «sbocchi» per chi (giovane o meno) è in cerca di occupazione, dall’altro la gerontocrazia imperante nel nostro Paese, a livello istituzionale e non, è determinata a continuare a occupare quasi tutte le poltrone della politica e dei consigli d’amministrazione e a non lasciare spazio alle nuove generazioni?

Non a caso è da noi, in Italia, che nascono i «rottamatori» (peraltro, con gli esiti che sappiamo) e le generazioni TQ, trenta-quarantenni (di cui altrove non si avverte grande necessità). E se a fare notizia al di qua delle Alpi è ancora e sempre il candidato sindaco sotto i quarant’anni, spesso comunque «trombato», ecco che Franco Angeli manda in libreria Generazione Erasmus: l’Italia dalle nuove idee, volume curato da Francesco Cappè con la prefazione di Hywel Ceri Jones, ovvero di colui che ha inventato il famoso programma capace di coinvolgere ormai oltre trenta Paesi e più di duemila atenei, e per la verità denominato «Orgasmus» da non pochi partecipanti.

Cappè e i co-autori si sforzano di guardare avanti in un Paese come il nostro, dove com’è noto questa pratica non usa più da tempo immemorabile, visto che ci si limita a «navigare a vista» gestendo (gestendo?) una perenne «emergenza». E dunque, di fronte alle sfide della contemporaneità, dichiarano l’ambizione di valorizzare questo percorso di formazione europea, «internazionalista e interculturale», compiuto da altri due milioni di italiani nel corso della loro esperienza di formazione universitaria. Certo, «non basta l’anagrafe per essere in grado di rispondere meglio alle sfide di oggi». E, preso atto della necessità di «una nuova visione su cui confrontarsi», l’individuano nella contrapposizione diretta «tra una politica internazionalista, quindi per suo Dna inclusiva ed eterogenea, e una localista che invece tende a essere culturalmente omogenea ed esclusiva». Contrapposizione che a loro modo di vedere sostituisce quella «sempre più artificiale» tra destra e sinistra, «capace di demonizzare ma non più di costruire».

Seguono dunque le proposte degli ex-Erasmus coinvolti nella stesura di questa sorta di ambizioso manifesto. Secondo Cappè, l’accelerazione economica all’indomani della caduta del muro di Berlino, e dunque la globalizzazione, si sono scontrate con una sostanziale stagnazione da parte della politica (anche se a sinistra in verità qualcosa si è mosso: nel senso che ci si è dati alla modernizzazione sposando di fatto il mercato). E se la distanza della politica dalla realtà aumenta il sentimento dell’antipolitica, ecco che «i Giovani devono, senza ritardi, non scendere a compromessi tra generazioni» (ma non è facile, quando si tira a campare anche grazie alla pensione del nonno). Tra gli altri, Filippo Taddei rileva come la Generazione Erasmus non possa attendersi un miglioramento nell’arco della vita che sia «anche lontanamente comparabile con quello esperito dai propri genitori». Si prenda per esempio proprio la questione contributiva: chi andrà in pensione dal 2030 in poi percepirà almeno il 25% in meno rispetto a chi va in pensione oggi, con punte che sfioreranno il 70% in meno a partire dal 2040 (e, a proposito, un conto è fare spallucce quando si è per l’appunto ancora giovani, un altro è scoprire che cosa significhi sulla propria pelle, nell’eventualità che si sia diventati anziani e ci si debba magari curare).

Che fare? Federico Mancon, critico con chi mette in discussione una globalizzazione fatta di «nuove sfide come opportunità da aggredire» (ma sarebbe interessante farsi raccontare in merito l’esperienza di molti lavoratori, non solo addetti alla catena di montaggio e non solo cinesi, oltre che di tanti cinquantenni licenziati e respinti dal mondo del lavoro) individua nella formazione il nostro tallone d’Achille, e in questo non si può certo dargli torto: anche Manuela Brunero affronta il tema dei tagli alla ricerca e della «drammatica incapacità di visione della nostra classe politica». Marcello Di Filippo, che guarda all’Unione Europea e prova a smontare gli stereotipi negativi che la investono auspicando comunque che la società civile faccia sentire la propria voce in quel di Bruxelles, propone «una rivoluzione pacifica del sistema Italia», facendo appello ai valori sani che soli possono dare il «diritto di protestare», per «rovesciare con la forza della nostra legittima indignazione un sistema di potere politico ed economico che fa dell’opportunismo, delle convenienze e del corto respiro i paradigmi quasi irrinunciabili del proprio agire»: cosa che tuttavia presuppone sia la possibilità di una rivoluzione per l’appunto pacifica, sia l’esistenza di un sistema Italia. Per tacere del fatto che da noi, dove da sempre bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è, e dove fino all’8 settembre si è tutti (o quasi) fascisti e dopo il 25 aprile tutti (o quasi) antifascisti, le rivoluzioni storicamente «non tirano». Ma questo è un altro discorso, e andrebbe fatto dagli antropologi, più che dai giovani della Generazione Erasmus.

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 28 maggio)

Giuseppe CULICCHIA, Generazione Erasmus dicci “che fare”ultima modifica: 2011-05-31T15:10:59+02:00da mangano1
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