Andrea Fiamma ,Kierkegaard e Nietzsche. Il Cristo e l’anticristo

Kierkegaard e Nietzsche. Il Cristo e l’anticristo
di Andrea Fiamma – 13/06/2011

Fonte: Recensioni Filosofiche

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Il libro di Emanuele Mariani, Kierkegaard e Nietzsche. Il Cristo e l’Anticristo, Milano-Udine, Mimesis edizioni, 2009 si presenta sin dalle prime pagine come la virtuosa simulazione di un dialogo “a distanza” tra due autori, appunto S. Kierkegaard e F. Nietzsche, in apparenza del tutto lontani. Sulla scorta di alcuni grandi interpreti, su tutti K. Löwith e K. Jaspers, il tentativo di Mariani si configura anzitutto come un’attenta analisi dei due pensatori, delle problematiche di fondo e delle questioni più scottanti che determinarono il loro personale cammino filosofico. Il libro è particolarmente apprezzabile anzitutto per la lucidità e l’onestà interpretativa nei confronti dei due filosofi tanto discussi, che durante lo svolgimento dell’argomentazione vengono spesso lasciati parlare direttamente grazie alle numerose citazioni in corpo o in nota. Questa “fedeltà” di Mariani alla letteratura primaria dei filosofi offre l’impressione di un testo trasparente e chiaro, ma soprattutto scevro da sovrastrutture interpretative che, seppur lecite, avrebbero al contrario moltiplicato inutilmente le categorie e le riduzioni in gioco. Vogliamo dunque rassicurare i fedeli lettori di Kierkegaard e Nietzsche: il libro di Mariani non offre alcuna interpretazione aggiuntiva dei due, ma si limita a farne emergere le distanze o le affinità attraverso un continuo rimbalzare nei testi dell’uno e dell’altro; per questo procedere, lo stile non appare accademico, essendo, tra l’altro, volontariamente povero di letteratura secondaria. Eppure nella nostra breve introduzione siamo forse ingiusti nei confronti della mole del libro, il cui merito maggiore non è certo nella semplice (seppur non banale) giustapposizione dei concetti e degli spunti di Kierkegaard e Nietzsche; difatti probabilmente l’effetto più stimolante e gradevole che offre la lettura di questo libro è il figurarsi progressivo dello sfondo culturale nel quale scrivono i due autori, ovvero della fine del diciannovesimo secolo. D’altronde se è vero, come scriveva Jaspers, che tra Kierkegaard e Nietzsche «non c’è stato alcun influsso dell’uno sull’altro» (p. 11), è altrettanto vero che i due vissero la stessa temperie culturale e assistettero insieme alla dissoluzione dell’hegelismo, che aveva segnato i cinquant’anni precedenti: i due si troveranno così ad essere i protagonisti del futuro prossimo della filosofia europea, in cui il focus filosofico tornò prepotentemente sul Singolo, sulla sua fragilità interiore e sulle sue angosce, nonché sulla nuova speranza (nietzschiana) di un adveniens finalmente nobile e libero dalle catene del passato – una speranza che si dipanò anche dal punto di vista politico grazie all’avventura marxiana e alla nascente tradizione marxista, che sgorgò anch’essa non a caso dalle ceneri dell’hegelismo. La svolta è precisamente in questa idea: la Verità non è più una questione legata ad un “conoscere puro” del divino in noi, che pensa un “uomo astratto” e metafisicamente stabile, ma è un fatto di tutto l’uomo, che chiama in causa la realtà concreta del Singolo (Kierkegaard), oppure che è appannaggio di uno “spirito libero” (Nietzsche) non più re-legato alle strettoie dell’illusione metafisica e del potere costituito; esse, come i pesi sostenuti dal cammello, non sono altro che le testimonianze più pregnanti della società di fine ottocento, che, dicevamo, deve essere recuperata come il vero teatro delle esperienze di vita dei due filosofi. Il bisogno di una nuova spiritualità e, al contempo, la veemente critica alla società loro contemporanea, portano Kierkegaard e Nietzsche ad un atteggiamento schivo e a volte rancoroso nei confronti di un mondo asservito al potere costituito: «la folla e il pubblico in Kierkegaard, la massa, il gregge in Nietzsche – scrive Mariani – sono l’espressione dell’omologazione che deriva dall’assenza di personalità e di spiritualità, la verità oggettiva negata dal primo negli scritti filosofici, e dal secondo in quelli genealogici diviene, nel suo aspetto soggettivo, qualcosa che deve essere assimilato, che vuole e deve trovare consistenza, essere reduplicato nella prassi concreta. Ecco come hanno affermato direttamente, ma soprattutto indirettamente, il valore del Singolo, del suo isolamento a fronte di una società oramai in declino, dominata dai bisogni e dalle esigenze del momento» (p. 208). Entro questo quadro umano – anzitutto, appunto, umano – di «una umanità in frantumi» (p. 209) si aprono allora gli spazi per le singolari esperienze filosofiche, per i personalissimi “naufragi” (Jaspers) che hanno trovato nei Nostri dei nuovi punti cardinali, a partire proprio dalla creazione di un nuovo registro linguistico, che passa persino per nuovi termini e nuove espressioni nonché nella rielaborazione virtuosa di antiche metafore e citazioni. A questo punto dell’argomentazione, dopo averne presentato lo scenario, possiamo scendere lungo il testo di Mariani: egli si sofferma ad analizzare una serie di temi e questioni che man mano ci mostrano i vari vòlti di Kierkegaard e Nietzsche, vòlti non sempre coerenti anche al loro interno, ma diretti sempre «sul piano di esperienze originarie, profonde, uniche, poiché entrambi nella loro vita seppero tenere in grandissimo conto la virtù dell’onestà» (p. 224); ed è proprio questa virtù, questa radicale vita filosofica che spinge entrambi contro il pensiero violento e totalizzante della metafisica: «Kierkegaard e Nietzsche dunque, rompendo gli argini di tale [idealistico] orientamento sistematico della filosofia, seppure secondo modalità assai differenti, hanno tentato la rottura totale con la speculazione e col sistema stesso: il primo contrapponendo ad esso la categoria del “Singolo”, ed il rapporto intimo di questo con l’etica e la fede cristiana, il secondo proponendo un nuovo ideale di “spirito libero”, un ideale non più astratto ma concreto nel continuo divenire del tempo» (p. 27). Queste due opzioni anti- (o post-) hegeliane si riflettono anzitutto sulla scelta dei loro modelli e sullo sguardo al passato greco della civiltà occidentale, letto da Nietzsche (come noto) grazie alle due polarità di apollineo e dionisiaco; allora a nostro avviso fa bene Mariani ad isolare la figura enigmatica di Socrate: colui che per Kierkegaard è stato «l’unico riformatore che io conosca» (cit. da Kierkegaard, p. 51), per Nietzsche fu continuo motivo di confronto e oggetto di un giudizio non sempre coerente. Il filosofo “di” Nietzsche fu difatti Eraclito, «che con il suo stile oscuro, profetico, misterico e colmo di contraddizioni tra loro irriducibili sembra in parte anticipare il carattere dello Zarathustra. Riguardo l’ammirazione di Nietzsche per Eraclito è per molti versi interessante notare come questi lo scelga come punto di riferimento attribuendogli, seppur con linguaggio a volte differente, alcune delle caratteristiche esistenziali che Kierkegaard ritrovava in Socrate» (p. 55). Insomma, quelle due opzioni, attraverso lo specchio dei loro modelli, si rivelano in fondo non troppo distanti; ma, ancora, l’affinità profonda appare meno sfumata nel paradossale e discusso rapporto tra i due con il Cristianesimo e la Chiesa del loro tempo. Il celebre adagio nietzschiano secondo il quale alle spalle del Dio cristiano si celi soltanto la logica oppressiva del rapporto colpa-debito viene facilmente posta in dialettico pòlemos con le riflessioni kierkegaardiane sul peccato inteso come una «chiusura esistenziale» (p. 76) alla libertà e alla vita. Dunque poco importa se Nietzsche intenda l’accesso all’autentica libertà come essenzialmente a-teo, come questione di uno spirito libero capace di creare valori, mentre per Kierkegaard essa si riveli come la possibilità più propria del Cristianesimo autentico; ciò che importa è che per entrambi la libertà sia una possibilità da attraversare radicalmente nella propria esistenza concreta, lontana da morali teologiche di rinuncia alla vita – per Nietzsche, «Kant, l’inventore della cosa in sé, non è altro che uno scaltro teologo che ha articolato in modo ingannevole la propria riflessione». Si apre così il capitolo forse più denso del volume di Mariani: lo specchio in cui riluce l’aenigma della vita concreta con cui è necessario fare i conti è, per entrambi, il Cristo, colui che sa appellare l’uomo all’autentica libertà. Kierkegaard vive il Cristo alla maniera di Agostino, ovvero come l’esperienza dell’eterno che irrompe nel tempo, ma anche per Nietzsche Egli è «il termine di paragone, per certi versi “il modello” e un costante riferimento esistenziale» (p. 153). Allora se da un lato la figura del Cristo costituisce la frattura più ampia tra il cristianesimo di Kierkegaard e la polemica nietzschiana, per un altro verso è proprio lì che i due trovano una inaspettata concordia: Gesù non è un elemento teologico, da inserire e armonizzare in una costruzione idealistica o in una qualche teologia, ma è una testimonianza viva di Verità (Kierkegaard), uno spirito libero e forse, di più, “l’unico cristiano” mai esistito, come sentenzia Nietzsche nelle pagine de L’Anticristo. La polemica di Gesù contro i “farisei” è richiamata totalmente, anche dal punto di vista linguistico, nei continui attacchi di Nietzsche contro «atteggiamento arrogante e violento» (p. 159) dei “buoni e giusti del suo tempo”, contro quella morale che «in realtà uccide la vita e immola a sé, al proprio potere, alla propria bassezza interiore, ogni avvenire dell’uomo» (p. 159). Ebbene, letto in questo senso allora si intende la vicinanza di Nietzsche con Kierkegaard, quando scrive che «essere cristiani nel senso della speculazione significa non esserlo affatto» (p. 30). Gesù è dunque per entrambi l’immagine del pòlemos dell’esistenza: la Fede è allora rischio, timore e tremore, e – ancora Kierkegaard – è quel “concreto” che richiama alla Verità interiore, una Verità da “testimoniare” e non da inserire in un sistema; per Nietzsche, Gesù è il radicale materializzarsi del paradosso del Cristianesimo, che per un verso è il peggiore nemico della vita, mentre per un altro – appunto, per il Cristo – è quel movimento nato da un “proprio precursore”, da un uomo che seppe appellare l’umanità alla lotta e alla vita, che la chiamò ad esistere dinanzi a lui, ante-Christum. Ecco perché «il doppio movimento contraddittorio Cristo – cristianesimo, anticristianesimo – Cristo sembra rivelare inaspettatamente in Nietzsche la rivendicazione di un rapporto assolutamente personale e interiore con Dio» (p. 176), sembra figurare un ligamen sul quale, a nostro avviso, tanta teologia del nostro secolo deve ancora meditare.

Andrea Fiamma ,Kierkegaard e Nietzsche. Il Cristo e l’anticristoultima modifica: 2011-06-25T15:06:48+02:00da mangano1
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