Luciano Gallino, Con i soldi degli altri

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Luciano Gallino
Con i soldi degli altri
Il capitalismo per procura contro l’economia

Il libro scritto da Luciano Gallino all’indomani della crisi finanziaria globale del 2008 rimane attualissimo e prezioso per comprendere le ragioni dello stato perdurante di confusione dell’economia, che a tre anni di distanza non solo non si è ancora ripresa, ma sembra sull’orlo di una nuova e ancor più devastante caduta. La finanza ha preso il comando dell’economia e gli obiettivi di brevissimo periodo, quelli di investitori che gestiscono “i soldi degli altri” e sono stimolati a farli fruttare il più possibile nel minor tempo possibile, hanno schiacciato qualsiasi visione di medio-lungo termine e rischiano ormai di divorare il sistema stesso. I molti luoghi comuni sulle virtù della autoregolamentazione del mercato e sui vantaggi di una deregolamentazione della finanza si sono dimostrati infondati, e il mondo attraversa una stagione di crescente ineguaglianza ed insicurezza socio-economica.
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[scheda antologica a cura di Andrea Spanu]
 
 
Introduzione – I fallimenti dell’economia mondo e i soldi degli altri
 
Per quanto la rete delle cause e concause [dei fallimenti dell’economia mondo] sia complessa, simili fallimenti sono riconducibili principalmente a due sviluppi correlati. Il primo in ordine di tempo è stata la completa de-regolazione dei movimenti di capitale, dei mercati finanziari e dell’ambito di attività delle banche che è partita dagli Stati Uniti nel 1974 per essere poi adottata anche da tutti i paesi europei negli anni Ottanta. La de-regolamentazione dei movimenti di capiale ha consentito alle istituzioni finanziarie ogni sorta di sregolatezza, poiché gran parte delle loro attività diventa invisibile alle autorità di sorveglianza, vuoi per la complessità dei prodotti che le prime inventano, vuoi perché grosse quote di questi ultimi circolano fuori bilancio, essendo considerati contratti privati, tipo i derivati scambiati “al banco” senza alcun intermediario. La crisi finanziaria esplosa tra l’estate e l’autunno 2008, con il dissesto di dozzine di istituzioni di calibro mondiale e del sistema finanziario alternativo che avevano costruito, con ricadute drammatiche su famiglie e collettività, ha mostrato a quali gravissimi pericoli la deregolamentazione espone l’economia mondiale. […] Una massa enorme di risparmio, equivalente all’incirca al Pil del mondo […] viene al presente gestita senza alcun controllo di merito né […] alcuna valutazione di responsabilità nei confronti di qualunque soggetto che non sia compreso tra i loro sottoscrittori, e talora nemmeno nei confronti di questi, da enti finanziari quali fondi pensione, fondi di investimento e compagnie di assicurazione, più vari tipi di fondi speculativi. Enti accanto ai quali e dietro molti dei quali (nel senso che loro stesse li hanno istituiti) operano le banche dei maggiori paesi. Sono enti che di mestiere investono quotidianamente denaro di proprietà altrui, detti investitori istituzionali per distinguerli da altri tipi di investitori che così non fanno, quali singole persone, imprese o enti pubblici. Tranne che negli Stati Uniti, ancora alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il peso degli investitori istituzionali nell’economia mondo era limitato; è diventato formidabile in appena vent’anni. Un paradossale effetto perverso è stato generato dalla combinazione [degli] sviluppi testè richiamati: il sistema finanziario mondiale ha subito una trasformazione da strumento dell’economia reale a suo padrone, e in luogo di sostenere la prima, il risparmio risulta da ultimo impiegato contro di essa” (pagg. 16-18)
 
La concentrazione del risparmio nel capitale degli investitori istituzionali
 
Se il totale del capitale azionario detenuto dagli investitori istituzionali si avvicina alla metà di quello esistente nel mondo, ne consegue che pur con ampie variazioni al disopra e al disotto di tale media un rapporto analogo si dovrebbe osservare nei diversi paesi. E’ precisamente quello che avviene. Nel 2006 i soli investitori istituzionali americani detenevano oltre il 60%, in valore, di tutte le azioni emesse in Usa. A tlae quota va aggiunta quella degli investitori esteri. Lo stesso anno gli investitori nazionali ed esteri possedevano oltre il 60% del caitale azionario delle prime 40 società francesi, della quale quota quasi la metà (il 46%) era detenuta da investitori esteri, un primato; il 55% delle azioni circolanti nel Regno Unito; il 45% delle azioni circolanti in Germania; il 25-30% di quelle trattate sulla borsa italiana. Anche sotto questo profilo si ritrovano zone di straordinaria concentrazione finanziaria. […] La ristretta frazione di classe dei manager degli investitori istituzionali, che fruisce della piena collaborazione di un’altra frazione, i manager delle imprese quotate, muove liberamente da una parte all’altra del mondo decine di trilioni di dollari e di euro, senza in realtà rispondere in concreto a nessun portatore di interesse; nemmeno agli investitori di prima istanza, i piccoli risparmiatori. Mai tanto potere economico è stato concentrato, per vie legali e istituzionali, nelle mani di così pochi individui, come sono i capitalisti per procura; e mai esso è stato esercitato in modo altrettanto poco visibile e comprensibile per le popolazioni del mondo su cui ricadono le conseguenze delle loro strategie: conseguenze che appaiono positive in una prospettiva ravvicinata e per determinati strati di popolazione, mentre risultano sovente inefficienti o dannose se le si valuta in una prospettiva più ampia e si considerano anche altri strati sociali. Dissociate, in ogni caso, dalle effettive necessità di investimento dell’economia mondo.  (pp.45-47)
 
Le strategie degli investitori istituzionali
 
Fra le strategie adottate negli ultimi decenni da tutti gli investitori istituzionali, ma con particolare evidenza e ampiezza dai fondi pensione sia privati che pubblici, spicca, oltre all’allocazione di ingenti capitali a investimenti alternativi di per sé più rischiosi, il calcolato trasferimento di rischio dal proprio ente ai singoli individui che sottoscrivono le loro quote. Da parte loro banche, fondi comuni e fondi speculativi trasferiscono il rischio ai sottoscrittori per mezzo di strumenti finanziari complessi che essi stessi costruiscono e si scambiano tra loro […] ma che alla fine sono venduti quali titoli o quote di un fondo a singoli risparmiatori. Tra questi strumenti si collocano in primo piano le obbligazioni “sintetiche” aventi come sottostante uno o più contratti anti-insolvenza, i […] Credit Default Swaps. […] Sono titoli inventati soltanto nel 1997. La crisi finanziaria apertasi esattamente dieci anni dopo ha portato alla luce l’altissimo rischio insito in essi sia per gli enti investitori che per i loro sottoscrittori. Né gli uni né gli altri avevano compreso come tali obbligazioni funzionassero, e in quali oscuri meandri della finanza alternativa e oltre essi conducessero. Nel caso dei fondi pensione, il rischio è stato invece trasferito ai futuri pensionati mediante il passaggio su larga scala dai piani pensionistici a beneficio definito (BD) ai piani a contributo definito (CD). Con un piano BD il futuro pensionato sa di poter contare, quando arriverà il momento, su un trattamento commisurato alla durata del periodo lavorativo e alla sua retribuzione; per dire, dopo tot anni di contributi, il 70% dell’ultimo stipendio, o l’80% degli ultimi cinque anni. Viceversa con un piano CD egli sa con certezza quanto deve pagare sotto forma di contributo mensile, ma non è affatto in grado di sapere in anticipo l’ammontare del trattamento che riceverà. Dipende da molteplici fattori interrelati: l’andamento pluriennale delle borse, il tasso di inflazione, l’aumento maggiore o minore del Pil. (pagg. 58-59)
 
Creazione di denaro per mezzo del debito. La finanza ombra
 
Per quanto sia necessario al buon funzionamento dell’economia, il processo di creazione del denaro è fisiologicamente incline alla degenerazione. In primo luogo ciò avviene perché “credito” è semplicemente un altro nome per “debito”. Se si eccede con la creazione di denaro in forma di credito, in misura speculare si sviluppa il debito di individui, famiglie, imprese, comuni, regioni, Stati. Si afferma un’economia fondata sul debito, che risulta estremamente vulnerabile perché nel caso aumenti di molto, rispetto alla norma, il numero di coloro che non ripagano il proprio debito, l’intera economia rischia il tracollo. E’ precisamente quanto è avvenuto con straordinaria ampiezza e rapidità nel sistema finanziario mondiale durante gli ultimi venti-venticinque anni, da cui le cosiddette ricadute sull’economia reale, verificatesi già prima della crisi del 2007-2008 e non soltanto in seguito a essa. Un indice di tale squilibrio lo offre il confronto tra andamento del Pil e tasso di creazione del denaro: per oltre due decenni, mentre l’economia Usa crescere del 3-4% l’anno […] e l’economia Ue (eurozona) del 2-3%, il tasso annuo di creazione di denaro si è aggirato mediamente in Usa sul 14%, e nella zona euro su oltre il 10%. Una simile eccedenza è stata sistematicamente pordotta dalle grandi banche private dei maggiori paesi, talora con la benevola disattenzione, ma soventa con la esplicita sollecitazione, delle autorità di sorveglianza delle banche centrali e dei loro rispettivi governi. […] Lo strumento principe utilizzato dalle istituzioni finanziarie negli ultimi decenni per creare denaro è consistito nel perfezionare un tipo di titoli che esiste da almeno un paio di secoli, i derivati, in specie nella forma di futuri – termine criptico che designa una particolare specie di contratti a termine. In origine simili contratti erano semplicemente una forma assicurativa e circoscritta di protezione del reddito a fronte di eventi futuri incerti. Prototipi di futuri furono i contratti che un tempo gli agricoltori stipulavano con i mercanti di granaglie, mesi prima del raccolto, per assicurarsi di spuntare a suo tempo un determinato prezzo, quale che fosse l’andamento del mercato. Il mercante si impegnava a pagare il prezzo convenuto. Se al momento del raccolto il prezzo di mercato del grano o del mais era più basso di quello indicato nel contratto ci guadagnava l’agricoltore. Se era più alto, ci guadagnava il mercante. A partire dagli anni Settanta del Novecento, il Sistema Bancocentrico ha moltiplicato in misura inverosimile le entità materiali e immateriali che possono fungere da riferimento “sottostante” a un contratto derivato. Qualunque titolo azionario, con il suo valore che sale e scende, può fungere da sottostante. Ma esistono derivati che hanno per sottostante materie prime e prodotti alimentari, noli marittimi e beni d’investimento, tassi d’interesse e corso delle monete, corse di cavalli ed eventi sportivi, e perfino fenomeni meteorologici. Come si è già ricordato, i derivati in vigore che al 2008 circolavano nei e tra i maggiori paesi, avevano un valore nominale di quasi 700 trilioni di dollari – circa dodici volte il Pil del mondo. Una volta creati, sono stati oggetto di turbinosi processi di compravendita tra investitori, che successivamente li hanno pure immessi nei prodotti finanziari che offrono al pubblico (pagg. 90-93)
 
L’impresa finanziarizzata
 
A partire dagli anni Ottanta, […] un gran numero di corporation industriali ha scoperto che produrre denaro per mezzo di denaro rende di più che produrlo per mezzo di merci e di investimenti materiali. Di conseguenza si son messe a fare le banche d’affari. Le divisioni finanziarie di queste corporation proseguono beninteso a finanziare l’acquisto o il leasing dei beni che producono. Nondimento, accanto a questa linea primaria di attività offrono ogni sorta di servizi finanziari simili a quelli di una banca, rivolti sia alle famiglie, sia alle imprese di ogni comparto. L’elenco di tali servizi comprende prestiti per ammodernare case o uffici; mutui immobiliari; anticipazioni per l’acquisto o l’affitto di impianti industriali; assicurazioni; noleggio di aerei executivo o di flotte auto aziendali; carte di credito; prestiti agli studenti […]. Se constata che offrire carte di credito o stabilimenti in leasing rende più che non produrre auto, il costruttore di auto, sospinto e incentivato in tal senso dai suoi investitori, effettuerà maggiori investimenti nelle sue divisioni finanziarie che non nella progettazione di motori a basso impatto ecologico. E’ precisamente quanto è avvenuto. Le case automobilistiche Usa fanno registrare un enorme ritardo sia nel campo delle tecnologie per produrre veicoli sostenibili, sia nei sistemi di produzione che consentono di passare in breve tempo da un modello all’altro. Grazie a tali carenze, dall’inizio del 2000 hanno provedduto a tagliare decine di migliaia di posti di lavoro. D’altro lato nel 2004 la divisione finanziaria della General Motors (denominata GMAC, per General Motors Acceptance Corporation) ha generato da sola l’80% del reddito totale della GM, realizzando utili per 2,9 miliardi di dollari – mentre quasi tutti i marchi auto della GM segnavano forti perdite. (pagg. 118-120)
 
Politica, leggi & mercati
 
Le cause delle crisi dell’anno 2008 e – c’è da temere – successivi, sono insite nelle leggi che sono state introdotte allo scopo di attuare la maggior de-regolazione possibile dei movimenti di capitale, compresa la produzione e diffusione in sempre nuovi ambiti di strumenti finanziari sempre più sofisticati. Codeste leggi hanno favorito, incentivato, premiato il comportamento di decine di migliaia di dirigenti di istituzioni finanziarie, i quali a loro volta si sono adoperati intensamente per applicarle oltre che, è dato supporre, per sfruttarne ogni remota piega; sino al punto di commettere, in numerosi casi, clamorose irregolarità quando non vere e proprie frodi. La bancarotta per 50 miliardi di dollari dei fondi di investimento di Bernard Madoff, ex presidente della borsa tecnologica Nasdaq […] difficilmente avrebbe potuto verificarsi in presenza di un tessuto legislativo meno condiscendente verso il genere di attività finanziarie che codesti fondi praticavano pubblicamente da almeno un decennio. […] (pag.144)
 
Accumulazione del risparmio e insicurezza socio-economica
 
Ove si voglia guardare a esse in una prospettiva unitaria, le conseguenze umane dei fallimenti dell’economia mondo richiamati nell’introduzione si possono compendiare in un paio di proposizioni. Gran parte dei cinque miliardi e mezzo di individui che da generazioni patiscono un alto grado di insicurezza socio-economica, e in tempi più recenti intravvedevano la possibilità di ridurlo, sta invece sperimento un ulteriore aumento di essa. Mentre gran parte del miliardo circa di individui che aveva raggiunto nei decenni trascorsi un grado di sicurezza relativamente elevato s’accorge che esso sta ora marcatamente riducendosi. Alle speranze deluse dei primi si accompagnano così le frustrazioni preoccupate dei secondi. […] Per centinaia di milioni di individui, compresi nell’1,4 miliardi di essi che sopravvivono con 1 dollaro  al giorno […] gli aumenti del 30-40% dei prezzi di riso, grano e altri cereali, registratisi tra il 2004 e il 2008, con la previsione che i livelli raggiunti scendano di poco nei prossimi anni, hanno comportato una ulteriore riduzione della quantità di cibo e della sua qualità nutritiva per ciascun pasto. Il numero di persone affette da “insicurezza alimentare” – sinonimo di affamate senza speranza — era di 850 milioni nel 2006 e di quasi un miliardo nel 2007. Le proiezioni indicano che potrebbero salire a 1,2 miliardi nel 2017. Al presente l’80% della popolazione del mondo – 5,2 miliardi di individui – non gode d’una protezione sufficiente per consentirle di affrontare i rischi concernenti il reddito, la salute e l’invalidità causata dall’invecchiamento. Già adesso oltre 340 milioni di individui over 60, la maggior parte nei paesi in sviluppo, non possono contare su alcun reddito stabile. Senza un mutamento radicale delle politiche previdenziali attuali, il loro numero salirà a 600 milioni verso il 2025. […] In Italia, le assunzioni con contratti lavorativi di breve durata – prototipo dell’occupazione flessibile o temporanea – quale che sia la loro denominazione formale, hanno raggiunto nei primi mesi del 2008 il 70% del totale, contro il 50% dei primi anni 2000. Ciò vuol dire che nel 2000 un giovane aveva un proabilità su due di vedersi offrire tale tipo di contratto; nel 2008 essa è salita a tre su quattro. A fine 2008 circa 400.000 lavoratori e lavoratrici che erano occupati con simili contratti non ne hanno ottenuto il rinnovo (pagg. 158-163)
 
 
INDICE DEL VOLUME
Introduzione. I fallimenti dell’economia mondo e i soldi degli altri – La concentrazione del risparmio nel capitale degli investitori istituzionali – Le strategie degli investitori istituzionali – Creazione di denaro per mezzo del debito. La finanza ombra. – L’impresa finanziarizzata – La classe capitalistica transnazionale. Gruppi principali – Politica, leggi & mercato: come governa la classe transnsazionale – Accumulazione del risparmio e insicurezza socio-economica – Uno spiraglio per impiegare meglio il risparmio globale
 
 
Luciano Gallino
Con i soldi degli altri
Il capitalismo per procura contro l’economia
Einaudi, Torino 2009-2010

Luciano Gallino, Con i soldi degli altriultima modifica: 2011-10-27T11:53:43+02:00da mangano1
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