Roberto Moro ,Gheddafi: requiem per un criminale

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Gheddafi: requiem per un criminale
Quanto imbarazzo per un po’ di giustizia.

Indignazione, orrore, richiamo ai diritti dell’uomo, richiesta di un ripristino della legalità, denuncia della barbarie. Persino sondaggi casuali che certificano, nell’opinione pubblica, un sorta di presa di distanze dall’evento, un imbarazzo morale e un ripensamento per l’esecuzione che è divenuta assassinio, omicidio programmato e svela il “ruolo genocida della Nato”. Insomma non doveva finire così. E come allora? Una sommaria analisi della cronologia degli eventi offre ragioni di approfondimento, analisi e modelli interpretativi che, in qualche modo, spiegano l’epilogo tragico di un evento tragico in sé. Ggeddafi, per sua reiterata ammissione, si era impegnato a morire martire nel suo Paese e cioè a non rinunciare in alcun modo al potere. E questo potere era un potere criminale e cioè un uso criminale del potere sull’arco di un lungo corso di tempo che ha trovato puntuale conferma nella gestione del conflitto civile.
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Si è ormai, e definitivamente, conclusa la narrazione mediatica della guerra di Libia, e nel modo più appropriato, il più classico: l’oblio. Nell’arco di soli otto mesi dall’epopea si è passati la tragico, dal tragico al sangue, dal sangue allo stupore e poi alla costernazione per il sangue, il tragico e l’epopea. Ora anche le spoglie di Gheddafi si sono dissolte in luogo remoto del Sahara, parola che significa “il nulla”. Scende il sipario e tutta la vicenda è in via di archiviazione, non ingombra più le pagine dei giornali e gli schermi che hanno colmato il vuoto (almeno in Italia) con altri eventi tragici: la scomparsa di un giovane atleta legato al suo tragico destino, le invitabili calamità naturali di terremoti e inondazioni, e il naturale spettacolo quotidiano della politica che alterna il tragico al comico. Altra storie, altri racconti che si consumeranno nella loro stessa narrazione.
Certo è che la guerra di Libia ha via via messo a profitto tutte le risorse dei paradigmi narrativi della cultura occidentale. La rivolta popolare che diviene rivoluzione, la rivoluzione che si trasforma in guerra civile, la faida familiare che si consuma nel dramma dinastico, lo scontro religioso che si intreccia con quello tribale, infine la rivolta che si trasforma in festa, una festa della libetà e della giustizia. Il repertorio è completo: eroi, martiri, traditori, mercenari, corrotti e sciagurati, barbari e invasori, buoni e cattivi. Vi è stato il crescendo e il grande intrigo internazionale, i servizi segreti, le torture e le carneficine, le rivelazioni dei misfatti e dei crimini del protagonista che ha sempre tenuto la scena: il dittatore sanguinario. L’epilogo appare scontato fin dal proemio: è un giallo, il giallo della sua morte. Chi, in che modo, perché? Sospetti, incredulità, sensi di colpa, denunce.
Ma, per un attimo, davvero si è andati oltre il canone e forse oltre il lecito storiografico.
 

Una sorta di sorpresa per l’epilogo atteso ha aperto una pista narrativa sulla quale, in virtù del mestiere di storico, occorre spendere qualche considerazione.
Cito a caso alcune notazioni che riassumono tutte le altre: “Le autorità libiche del governo di transizione sono sotto pressione per dare un preciso resoconto sul modo in cui l’ex leader Muhammar Gheddafi è morto. Da parte sua la Nato afferma che la morte del rais non era nei suoi piani”. “L’Onu e Amnesty International hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta. Gli Usa sostengono che serve «trasparenza», mentre Russia e Sudafrica – e non sono le sole – hanno criticato la dinamica della sua cattura e quindi l’uccisione”. “Aver giustificato la condanna a morte di Saddam Hussein è stato un errore: sulla feroce esecuzione dell’ex leader libico serve un’inchiesta indipendente”. “La vita di Gheddafi è sacra. Dobbiamo denunciare il barbaro assassinio a freddo e lo scempio del suo cadavere. Chiediamo un’inchiesta internazionale con magistrati originari di Paesi che non hanno partecipato alla guerra per scalzare dal potere Gheddafi, vincolando gli attuali governanti libici a rispettare le decisioni che verranno assunte, compreso l’arresto degli assassini e la condanna dei loro mandanti”.
Per un attimo il coro è divenuto frastuono. Indignazione, orrore, richiamo ai diritti dell’uomo, richiesta di un ripristino della legalità, denuncia della barbarie. Persino sondaggi casuali che certificano, nell’opinione pubblica, un sorta di presa di distanze dall’evento, un imbarazzo morale e un ripensamento per l’esecuzione che è divenuta assassinio, omicidio programmato e svela il “ruolo genocida della Nato”. Insomma non doveva finire così. E come allora?
 
Una sommaria analisi della cronologia degli eventi offre ragioni di approfondimento, analisi e modelli interpretativi che, in qualche modo, spiegano l’epilogo tragico di un evento tragico in sé.
Ggeddafi, per sua reiterata ammissione, si era impegnato a morire martire nel suo Paese e cioè a non rinunciare in alcun modo al potere. E questo potere era un potere criminale e cioè un uso criminale del potere sull’arco di un lungo corso di tempo che ha trovato puntuale conferma nella gestione del conflitto civile: repressione violenta della popolazione inerme, esecuzione di prigionieri di guerra, uso di scudi umani, torture dei dissidenti, minacce alla Croce Rossa, e così via.
La Nato lo voleva morto e ha compiuto ogni azione possibile per eliminarlo fisicamente. I rivoltosi lo volevano morto per garantirsi la loro stessa sopravvivenza. Il sangue, si sa, chiama sangue.
Dire che il colonnello era già condannato dal “tribunale della storia” può forse sembrare enfatico, ma affermare che Gheddafi è stato condannato dal suo stesso passato è forse meno semplicistico e più veritiero. La sua morte violenta era iscritta nel ruolo che si era scelto.
 
Le organizzazioni umane sono sistemi complessi e coesi, hanno grandi capacità di tenuta e tendono a rigenerarsi dal loro interno per effetto ditutte le reti che le compongono. Durano, ma sono lavorate dal tempo e, come tali, sono soggette ad usura. Più la di relazioni che le sostiengono sono strutturali (divengono regime), più sfuggono al mutamento e lo dissimulano. Per questo i regimi autoritari hanno maggiore possibilità di sopravvivere, dissimulare, ingannare il tempo e quel racconto che ne facciamo e chiamiamo Storia. Così è delle dittature (parola e concetto assai complicati da formalizzare) nella quali i potere riadatta con continue semplificazioni le regole del sistema, le detta e le ridetta violandole sistematicamente fino a raggiungere i confini del caos. Per questo le dittature commettono crimini e i crimini più atroci che sono quelli perpetrati dal potere.
Così ne è stato del regime dittatoriale di Gheddafi emblematico perché coerente fino alla fine, fino all’ultimo atto della storia che si era imposto di raccontare.
Alla fine ecco dunque la scomposizione del vecchio e l’affermarsi di nuove regole che, forse ingenuamente, chiamiamo “giustizia”, risveglio, ritorno alla realtà e festa di liberazione.
Quante perplessità e sorprese per un po’ di giustizia!
 
Roberto Moro
Ottobre 2011
 
 
Cronologia sommaria della guerra di Libia – gli 8 mesi del 2011
 
Inizio del conflitto
I primi segnali dell’insurrezione contro Gheddafi risalgono allo scorso 17 febbraio, quando alcuni partiti di opposizione organizzano a Bengasi la «giornata della collera» contro il regime a seguito dell’arresto dell’attivista per i diritti umani, Fethi Tarbel. La protesta viene repressa nel sangue dalle forze di sicurezza provocando tra i 10 e 20 morti.
febberio
-15-19: manifestazione contro il regime, violenti repressioni a Bengasi e Al Baida (est). La rivolta si estende.
– 21-22: i ministri della Giustizia, Mustapha Abdel Jalil, e dell’Interno, Abdel Fatah Younes, si uniscono alla rivolta. Decine di rappresentanti politici e militari faranno lo stesso.
– Il 24 febbraio le milizie antigovernative prendono il controllo della città costiera di Misurata.
– 23-25: la zona dalla frontiera egiziana fino a Ajdabiya, che include Tobruk e Bengasi, passa nelle mani degli insorti.
 
Marzo
ll 5 marzo il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) dichiara di essere l’unico rappresentante legittimo della Libia. Il 19 marzo si registra il primo raid della Nato contro le brigate fedeli al colonnello su Bengasi.
– 10: la Francia è il primo Paese a riconoscere il consiglio nazionale di transizione (CNT), creato a fine febbraio dall’opposizione a Bengasi.
– 17: l’Onu autorizza un ricorso alla forza contro le forze fedeli al colonnello per proteggere i civili.
– 18-19: si registra il primo raid della Nato contro le brigate fedeli al colonnello su Bengasi.
– 22: violenti scontri tra l’esercito fedele al colonnello e le forze di opposizione si registrano a Misurata, nell’ovest del Paese.
– 30: defezione del ministro degli Affari esteri Moussa Koussa.
– 31: la Nato prende il comando delle operazioni.
 
Aprile
– 20: Si intensificano i raid sulla Libia. Dopo Londra, Parigi e Roma inviano consiglieri militari presso il CNT seguiti da Egitto e Stati Uniti.
-30: Il governo di Tripoli denuncia che in un attacco sarebbe rimasto ucciso il figlio più giovane di Gheddafi e tre suoi nipoti.
 
Maggio
1: uno dei figlio di Gheddafi e tre nipoti del rais vengono uccisi durante un bombardamento della Nato a Tripoli.
– 11: i ribelli conquistano l’aeroporto di Misurata.
– 27: Mosca richiede la partenza di Muammar Gheddafi.
 
Giugno
– 1: la Nato decide il prolungamento della sua missione fino al termine di settembre.
– 7: numerosi raid dell’Alleanza su Tripoli. Un inviato russo si reca a Bengasi.
– 13: Berlino riconosce ufficialmente il Cnt come unico interlocutore legittimo in rappresentanza del popolo libico.
– 16: l’inviato russo riferisce di «contatti diretti» fra Tripoli e Bengasi.
– 27: la Corte Penale Internazionale spicca un mandato di cattura per Gheddafi, suo figlio Saif al-Islam e il capo dell’intelligence del regime, Abdullah al-Senussi, per crimini contro l’umanità.
-29: la Francia riconosce di aver paracadutato armi da fuoco ai ribelli nelle montagne di Nefoussa (a sud-est di Tripoli).
 
Luglio
– 6: offensiva dei ribelli nell’ovest del paese: i combattenti dell’opposizione prendono possesso di Gualich.
– 13: i ribelli negano di avere commesso violazioni dei diritti umani come denunciato da Human Rights Watch.
– 15: il Gruppo di contatto riunito a Istanbul riconosce il Cnt come “autorità di governo legittima”.
– 16: Gheddafi giura che non lascerà «mai» la terra dei suoi «antenati».
– 18: la Russia si rifiuta di riconoscere i ribelli come autorità di governo. I ribelli affermano di avere preso possesso del porto petrolifero di Brega, nell’est del paese: negli scontri 15 insorti perdono la vita.
– 28: il Cnt nomina Mahmud Nacua nuovo ambasciatore a Londra. Ucciso a Bengasi il generale Abdel Fatah Younis, ex funzionario del regime del colonnello
Agosto
– 9: il regime accusa la Nato di aver ucciso 85 civili in raid nell’ovest.
– 20: scoppio della ribellione su Tripoli con l’appoggio aereo della Nato.
-21: i ribelli entrano a Tripoli senza incontrare forti resistenze. I pretoriani di Gheddafi si arrendono. Il colonnello asserragliato nel bunker. Molte le incognite, il dittatore: «Temo che la capitale brucerà»
– 23: viene conquistato il bunker del colonnello, Bab al-Aziziya, mentre da più parti lo danno in fuga, chiede alla popolazione di combattere i ribelli, definendoli «ratti». Due giorni dopo le truppe del Cnt espugnano Bab al-Aziziya, la residenza bunker del colonnello, uno dei simboli del potere.
-29: la moglie di Gheddafi, sua figlia Aisha e altri due suoi figli fuggono in Algeria. Aisha, poco dopo aver varcato la frontiera, partorisce in un ospedale.
 
Settembre
– 1: l’Onu e le grandi potenze sbloccano 15 miliardi di dollari di beni libici che erano stati congelati. I massimi rappresentanti leader del governo libico ad interim incontrano i leader mondiali in una conferenza a Parigi in cui si discute il futuro del paese post-Gheddafi.
– 15: Nicolas Sarkozy e David Cameron vanno in Libia.
– 16: l’Onu riconosce il CNT («autorità governativa legittima»)
– 20: la rivoluzione ha provocato 25mila morti (secondo il presidente del CNT, Mustapha Abdel Jalil).
– 21: le forze del nuovo regime conquistano Saba e Waddan, nel sud desertico.
 
Ottobre
– 9 e 11: i ribelli avanzano a Sirte con la conquista dell’università e del centro di conferenze Ouagadougou, poi il quartier generale della polizia.
– 13: riapertura parziale dello spazio aereo. Riparte il gasdotto Greenstream tra la Libia e l’Italia.
– Il 17 ottobre cade Bani Walid, uno delle ultime roccaforti dei lealisti.
18: visita a sorpresa a Tripoli del segretario di stato Usa Hillary Clinton.
– 19: il numero due del CNT, Mahmoud Jibril, esprime preoccupazione per la battaglia politica futura che potrebbe gettare il Paese nel caos.
– 20: è il turno di Sirte, la città dove il colonnello Gheddafi era nato. Nello stesso giorno avviene l’annuncio di Abdel Hakim Belhaj, capo militare del Cnt a Tripoli: «il colonnello Muammar Gheddafi è stato ucciso, la sua era è finita».

Roberto Moro ,Gheddafi: requiem per un criminaleultima modifica: 2011-10-27T12:27:36+02:00da mangano1
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