Elena Loewenthal,Intervista ad A. B. Yehoshua “Anch’io sul cammino di Santiago”

LA SCENA PERDUTA: IMMAGINARIO CATTOLICO IN UNA STORIA ISRAELIANA. Una raffigurazione della “caritas romana”, evocata nel mito di Pero e Cimone e ricordata per allusione nel titolo del mio romanzo: un padre condannato a morire di fame in prigione e salvato dalla pietà della figlia che gli offre il suo latte.
LA CARITA’ SPAGNOLA, LA “CARITAS ROMANA” E LA VECCHIA ALLEANZA DELLA MADRE CON IL FIGLIO (“SPOSO” E “PADRE”). Abraham B. Yehoshua sul cammino di Santiago. Un’intervista di Elena Loewenthal – a c. di Federico La Sala
Carità spagnola è il titolo del nuovo romanzo di Abraham B. Yehoshua, uscito in Israele. (…) nell’edizione Einaudi … La scena perduta, per evocare il mistero di un’assenza, di una lontananza nel tempo e nella mente
lunedì 30 gennaio 2012.
 
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Intervista ad A. B. Yehoshua

“Anch’io sul cammino di Santiago”

di Elena Loewenthal (La Stampa, 10/06/2011)

Carità spagnola è il titolo del nuovo romanzo di Abraham B. Yehoshua, appena uscito in Israele. I lettori italiani dovranno aspettare l’autunno per leggerlo: nell’edizione Einaudi si chiamerà La scena perduta, per evocare il mistero di un’assenza, di una lontananza nel tempo e nella mente. È un libro complesso, insolito per questo grande narratore. Forse un bilancio personale, di vita e letteratura. Anche e soprattutto una storia scabrosa nel suo affondo psicologico, nel non detto che tiene insieme – ma soprattutto separa – le intriganti personalità dei protagonisti.

«È un romanzo che ha al centro la questione della creatività. Il suo mistero. Che parla dell’arte, nelle sue forme più diverse. Questo tema lo affronto attraverso la storia di un vecchio regista per il quale viene allestita una vasta retrospettiva, a Santiago de Compostela, in Spagna. Qui il cinema “incontra” la teologia, perché la sede di questo evento è uno spazio cattolico. Il regista si chiama Moses ed è un tipico esponente del fior fiore (in ebraico si direbbe “il cuore del cuore”) della società israeliana: gerosolimitano di origine tedesca, di famiglia colta e illuminata. Assieme a lui arriva alla restrospettiva la compagna con cui ha un rapporto fuori degli schemi, indefinibile. Lei è la “sua” attrice, ma prima era la donna dello sceneggiatore che ha organizzato la manifestazione, e che è una vecchia conoscenza del regista. Hanno lavorato insieme sino a una drastica rottura, originata da un litigio insolubile. Anche lo sceneggiatore è un uomo speciale, speculare rispetto al regista: è arrivato in Israele bambino, dal Nord Africa. Insieme hanno fatto film surrealistici, simbolici, grotteschi. D’avanguardia. Poi è sceso il ghiaccio, fra loro».

  L’edizione in ebraico ha una copertina molto eloquente. Vi si trova la fotografia di un celebre quadro, dove è raffigurato un vecchio curvo, di spalle, che succhia al seno di una giovane donna dall’aria molto triste. Qual è il nesso tra questa immagine e il romanzo?

«Non voglio svelare troppo al lettore… ma questa scena è cruciale. È una raffigurazione della “caritas romana”, evocata nel mito di Pero e Cimone e ricordata per allusione nel titolo del mio romanzo: un padre condannato a morire di fame in prigione e salvato dalla pietà della figlia che gli offre il suo latte. I protagonisti del libro si ritrovano come per caso di fronte a questo quadro, a Santiago, in occasione della retrospettiva. E tornano immediatamente con la memoria a quel litigio di tanti anni prima, quando l’attrice – all’epoca compagna di Trigano, lo sceneggiatore – si rifiutò di girare una scena, per la sua scabrosità, trovando l’appoggio del regista… e tutto cominciò, anzi finì, fra loro tre. In sostanza, attraverso il quadro si scopre il fondamento mitologico e dunque culturale di quel loro vicolo cieco sentimentale di tanto tempo prima – che non era un capriccio ma qualcosa di molto profondo. Per quanto mi riguarda, ho voluto in questo libro esplorare il mistero della creazione artistica – letteraria, figurativa, cinematografica – e in particolare l’interazione tra il genio della fantasia, dell’invenzione provocatoria, che “sfonda” la realtà, e l’imprescindibile fondamento costruttivo, il metodo e la costanza che sono elementi necessari all’artista».

  La critica israeliana ha accolto con il consueto entusiasmo, e in qualche caso un po’ di sconcerto, questo libro insolito – particolarmente ricco di divagazioni e spunti dotti. Molti hanno rilevato che il romanzo porta un’impronta personale come nessun altro dei suoi libri. In parole povere, è vero che in Moses c’è molto di Yehoshua, e che questa è anche una retrospettiva dei suoi libri, oltre che dei film del protagonista?

«Non ho mai scritto di uno scrittore… Ma questa volta desideravo esplorare, come dicevo, le forze della creazione artistica, le forze che agiscono al momento di produrre, e che valgono per ogni manifestazione artistica. È vero, dunque, che in Moses c’è qualcosa di me e di ciò che agisce in me quando creo. È anche vero che due o tre dei film evocati nel romanzo e presentati nella retrospettiva sono echi di miei libri. Ma nulla di più. Diciamo allora che m’interessava esplorare quella tensione simbolica, surrealistica, grottesca, così presente in tutta l’arte europea del secondo dopoguerra, da Beckett a Camus e Fellini e tanti altri. Una tensione così forte e potente, in Europa ma anche in Israele».

  A proposito di Israele, pare di individuare in questo romanzo una specie di «superamento» della dimensione locale, anzi qualcosa di più. Azzardando, viene da pensare quasi a una fascinazione esercitata in lei dall’«altro» per eccellenza nell’identità ebraica (e israeliana): l’universo religioso e umano del cattolicesimo. Santiago, la scena, la carità: luoghi e simboli di una fede «altra».

«Il libro è cattolico solo nella sua cornice, nell’ambientazione – e non nella sostanza. È indubbio che però per me il rapporto tra questa religione e l’arte sia carico di fascino, attrazione – anche e soprattutto perché, all’opposto, l’ebraismo è una fede “avara”, anzi ostile, nei confronti dell’arte. Ho dunque attinto all’immaginario cattolico, innestandolo in una storia secondo me profondamente israeliana».

> LA CARITA’ SPAGNOLA —- La Caritas romana è un’allegoria delle tensioni tra ebrei ashkenaziti e sefarditi. Ma lascia anche trapelare il desiderio di Yehoshua di riconciliarsi con la sua eredità familiare, e quello di un anziano autore che vuole riavvicinarsi alla prima sorgente del suo lavoro creativo (di Avraham Balaban, Ha’aretz).
30 gennaio 2012, di Federico La Sala
Abraham Yehoshua, La scena perduta Einaudi, 372 pagine, 21 euro
di Avraham Balaban, Ha’aretz *
La scena perduta è una specie di carrellata rivolta al passato, un libro in cui Yehoshua guarda indietro alla sua carriera e ripercorre le trasformazioni e le tensioni stilistiche che l’hanno caratterizzata. È la lenta meditazione di un autore maturo, che torna ai suoi esordi letterari e riflette sulla sua eredità artistica. Yehoshua ha incentrato la storia intorno a un anziano regista israeliano di nome Yair Moses. Il regista va in Spagna dove gli hanno dedicato una retrospettiva: viaggia per tre giorni insieme a Ruth, attrice protagonista della maggior parte dei suoi film. Quando torna in Israele, Moses visita i luoghi in cui ha girato i suoi primi film.
Nel corso di questa retrospettiva interiore, Moses ricorda una grande discussione che ha avuto con il suo sceneggiatore Shaul Trigano. L’ultimo film a cui hanno lavorato insieme sarebbe dovuto finire con una scena in cui la protagonista, dopo aver lasciato suo figlio in adozione, incontra un mendicante e lo allatta al seno. Ruth, che interpretava la donna, si rifiutò di girare la scena, e Moses difese la sua scelta.
In Spagna Moses vede Caritas romana, un quadro in cui una giovane ragazza allatta l’anziano padre. Scopre così che si tratta di un motivo artistico con una lunga tradizione, e che la sceneggiatura di Trigano toccava un’antica verità umana. Decide allora di trasformare la retrospettiva in un atto di espiazione e riconciliazione. Incontra lo sceneggiatore, che chiede però un prezzo per la riconciliazione: vuole girare la scena con Moses stesso nei panni del padre affamato allattato dalla figlia.
Come nelle più raffinate opere di Yehoshua, abbiamo qui una scena carica di significati, in cui le suggestioni psicologiche, sociali ed estetiche si intrecciano indissolubilmente. L’eroe di Yehoshua, la cui paura delle donne si rivela nel suo desiderio di baciare i loro piedi, al cospetto del seno femminile diventa allo stesso tempo un uomo e un lattante. La Caritas romana è un’allegoria delle tensioni tra ebrei ashkenaziti e sefarditi. Ma lascia anche trapelare il desiderio di Yehoshua di riconciliarsi con la sua eredità familiare, e quello di un anziano autore che vuole riavvicinarsi alla prima sorgente del suo lavoro creativo.-

  Avraham Balaban, Ha’aretz
* 3 dicembre 2011 – http://www.internazionale.it/news/libri/2011/12/03/i-libri-della-settimana-52/
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> LA CARITA’ SPAGNOLA, LA “CARITAS ROMANA” —- La scena perduta di Abraham B. Yehoshua
30 gennaio 2012, di Federico La Sala
La scena perduta di Abraham B. Yehoshua
di Sandra Bardotti *
Latte tiepido. latte di neonati dal sapore sconosciuto, dolciastro, che conserva forse il retrogusto di una pietanza mangiata alla contadina. Allora è questa la fantasia. «Il desiderio di immaginare che torna a me, – pensa Moses con gioia. – Lo succhio direttamente nei ventricoli del mio cuore, contrapposto alla realtà che ci soffoca. E il mio cuore è sano, mia figlia di recente lo ha sottoposto a un controllo. Allora è questa la mia vera retrospettiva. Una retrospettiva destinata fin dall’inizio solo a me».
Yair Moses è un regista quasi settantenne, esponente del fior fiore della società israeliana, cresciuto in una colta famiglia gerosolimitana di origini tedesche. Arriva a Santiago de Compostela, dove è stata organizzata una retrospettiva in suo onore, con Ruth, l’attrice protagonista di molti suoi film e ora sua “compagna”, un tempo fidanzata di Shaul Trigano, lo sceneggiatore suo ex allievo con il quale entrambi avevano rotto drasticamente alcuni anni prima.
Nella camera d’albergo che condivide con Ruth c’è un quadro perturbante, sconvolgente nella sua sensualità: una riproduzione della Caritas romana nella versione di un pittore quasi sconosciuto del Seicento, Matthias Meyvogel (è questa l’immagine di copertina dell’edizione in ebraico), dove è raffigurata la giovane Pero nell’atto di allattare il padre Cimone, condannato a morire di fame, in un gesto di devozione e pietà estrema. È questa tela a far riaffiorare immediatamente il ricordo della scena che Trigano aveva proposto a Moses come finale di un film. Ruth si era rifiutata di girarla e Moses aveva giustificato e sostenuto la sua opposizione. E da allora tutto era cambiato. Era finita un’amicizia, un fertile e apprezzato sodalizio artistico e la relazione sentimentale tra Ruth e Trigano, mentre il regista aveva accolto l’attrice nella sua vita e aveva dato inizio a una nuova fase della sua carriera cinematografica. È questa la scena perduta, la sequenza mai girata, lo strappo che ha deciso le sorti del loro futuro.
Altre sorprese attendono Moses durante il suo soggiorno. Fin dall’inizio della retrospettiva, si rende conto che sono stati presi in considerazione solo i suoi primi film, realizzati in un passato così lontano che lui stesso fatica a ricordarli, nei quali Trigano era coinvolto in ogni dettaglio. Sono film surreali, visionari e fortemente simbolici, molto diversi dall’impronta realista che ha caratterizzato il suo lavoro dopo il divorzio da Trigano. Non servono altri indizi per rendersi conto che dietro la manifestazione c’è proprio il suo ex collaboratore.
La retrospettiva diventerà così un viaggio nella memoria, un percorso a ritroso nel tempo e nello spazio che costringerà Moses a fare i conti con le proprie scelte passate.
Ne La scena perduta Yehoshua esplora il mistero della creazione artistica, del rapporto tra il genio dell’invenzione e dell’immaginazione, che buca la realtà, mina un sistema di valori, scompagina le carte e va oltre, e la costruzione, il metodo e la costanza, elementi necessari e imprescindibili all’artista. Il percorso di confessione, espiazione e riconciliazione con Trigano diventa così anche un percorso di analisi e recupero di una potenza creativa da tempo sacrificata in favore del realismo, di una più didascalica e accomodante comprensione. E possiamo riconoscere dietro Moses un evidente richiamo all’opera dell’autore stesso: quando Moses ripercorre le pellicole dimenticate non è difficile individuare echi, atmosfere, personaggi delle prime opere di Yehoshua, quei racconti scritti tra gli anni Cinquanta e Sessanta che risentivano dell’influenza di Ionesco, Beckett, Fellini, Kafka.
“Penso di aver perso qualcosa”, ha confessato Yehoshua a Susanna Nirenstein, guardando complessivamente all’evoluzione della sua opera. E con La scena perduta Yehoshua ci guida in una specie di bilancio simbolico della sua carriera attraverso una scrittura attenta, meditata, ritmica, tornando a ribadire quanto la letteratura contemporanea abbia bisogno di tratti simbolici, metaforici, e di uno sguardo meno superficiale per decifrare la realtà. Lo fa attingendo anche al grande serbatoio dell’immaginario cattolico – religione molto figurativa rispetto a quella ebraica – innestandolo su una storia profondamente ebraica.
La scena perduta è forse il romanzo più riflessivo e simbolico di Yehoshua, colmo di una visionarietà alla quale dovremmo ricorrere più sistematicamente per farci schermo dalla realtà che soffoca.

  Abraham B. Yehoshua – La scena perduta

  Titolo originale: Hessed sfaradí

  Traduzione di Alessandra Shomroni

  367 pagg., 21 € – Edizioni Einaudi 2011 (Supercoralli)

  ISBN 978-88-06-20331-3
* 29 novembre 2011 – http://www.wuz.it/recensione-libro/6508/scena-perduta-abraham-yehoshua.html

Elena Loewenthal,Intervista ad A. B. Yehoshua “Anch’io sul cammino di Santiago”ultima modifica: 2012-01-30T15:29:13+01:00da mangano1
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