Cari amici di Milania
Mi permetto di accludervi una nota sul ruolo – non sempre percepito – dei media nei nostri vissuti. Poi, in omaggio all’inutilità dello scrivere, vi ricordo che domani uscirà un nuovo capitolo della nostra analisi dell’economia italiana che trovate su http://nuovocontrattoitalia.blogspot.com/
Alessandro Aleotti
INUTILITÀ E DANNO DEI MEDIA PER LA NOSTRA VITA
Nella mia vita mi sono occupato molto di media, soprattutto come analista, ma anche come soggetto “attivo” (ho diretto un piccolo quotidiano d’opinione e un paio di televisioni areali). Dopo anni passati a fare zapping compulsivo, oggi in tv guardo solo i film e le partite di calcio. Anche sul fronte della carta stampata ho da tempo smesso di comprare la “mazzetta” dei giornali e leggo solo il Corriere della Sera che mi arriva a casa la mattina davanti alla porta, come una volta arrivava il latte.
Naturalmente, anche giudicando da quella poca informazione in cui mi imbatto, la certezza che i media “parlino d’altro” viene sempre più a confermarsi. Sono convinto che, più o meno velocemente, stia crescendo la consapevolezza collettiva, non solo della profonda inutilità dei media d’informazione (soprattutto giornali e tv), ma anche del danno che questi provocano ai vissuti delle persone.
I media si considerano ancora totalmente dentro l’obiettivo retorico che prescrive loro di “analizzare il mondo”, mentre invece non fanno altro che rappresentare “mondi inesistenti” che sono funzionali esclusivamente ai disegni economici, politici e culturali (cioè, di “potere”) dei media stessi. Quale insider , in cuor suo, può realmente affermare il contrario? Gli operai sul tetto nella trasmissione di Santoro sono un dato di realtà o un tassello di una strategia politica? E le fobie “politicamente corrette” dei due grandi quotidiani del Paese, corrispondono alle fisiologie sociali o a una strategia di stabilizzazione funzionale a non modificare gli assetti del potere reale? Per non parlare, poi, dei media della propaganda berlusconiana che sono talmente sfacciati da non obbligarci nemmeno alle sopracitate domande retoriche.
Questa dissociazione percettiva tra mondo “reale” (quello che ognuno di noi vive) e mondo “rappresentato” (quello che ci appare nel racconto mediatico), costruisce pericolosi meccanismo di schizofrenia sociale e induce paura e depressioni. La dominanza del “percepito” sul “vissuto” diviene il più pericoloso “spossessamento” della realtà individuale. I media, attraverso una miscela di inconsapevolezze e interessi, sono i produttori di questo fenomeno che si autoalimenta in maniera virale determinando una inarrestabile patologia degenerativa.
C’è un rimedio a questo catastrofico problema sociale che si pone all’origine sia della frustrazione sociale, sia della dissoluzione democratica, sia della letale disconnessione tra capire e fare? Quello che, a prima vista, potrebbe apparire il rimedio più razionale, cioè mettere in circolo idee e chiavi di lettura più adeguate al tempo dei vissuti, è anche il rimedio più fallimentare. Io lo pratico e lasciatemi dire, con un pizzico di presunzione, che questo rimedio ha l’esclusivo senso di sfamare i maiali buttando perle nel porcile.
Probabilmente, risulterebbe più efficace affidarsi a nuovi linguaggi che bypassino i media: abbandonare le culture alfabetiche e dedicarsi a quelle superfici che sono già metabolizzate nelle identità profonde come il calcio, le nuove tecnologie, il cinema, il glocalismo (parola difficile che, però, rappresenta la fisiologia della condizione esistenziale contemporanea) e, forse, anche il recupero di differenti metafisiche della spiritualità.
Le nuove generazioni, nel loro progressivo avvicinarsi all’età adulta, già si fondano sul passaggio che vede soccombere le culture alfabetiche in favore delle culture visive e di esperienza. Ed è questo inevitabile passaggio che modificherà le egemonie e renderà giustizia a chi, nel tempo di oggi , ha saputo conservare i “codici del pensiero” traducendoli in altri linguaggi e sottraendoli alla barbara e brutale ultima invasione dei mass media. Ogni diluvio finisce e poi la vita ricomincia.