A D,Il ritorno della Morale o la fine del postmoderno: ma la filosofia dov’è?

Il ritorno della Morale o la fine del postmoderno: ma la filosofia dov’è?
Unknown.jpeg
venerdì
mar 2012
Posted by Sonimage in critica sociale, filosofia, lettura, postmoderno, psicanalisi, storia

“La morale è sempre quella, fai merenda con Girella”…Ve la ricordate? Bene, non è di questo che intendo parlare. Dubito che a Roberta De Monticelli o a Enzo Bianchi o all’ottimo Stefano Rodotà interessino le briosche fino al punto di ricordare uno spot pubblicitario. Immorale, s’intende. Ma oggi quello a cui assistiamo da più parti sembrerebbe un massiccio ritorno alla Morale…”M” maiuscola, mi raccomando, è una cosa seria questa volta. Cacciata dall’universo della cultura grazie a Nietzsche e a Freud (Genealogia della morale, Aurora, Crepuscolo degli idoli, etc.) e grazie ai pensatori postmoderni che molti non avrebbero problemi a definire, giusto per gradire la revanche, “nichilisti” (Vattimo, Baudrillard, Deleuze, Foucault…) oggi torna quel bisogno di “valori” e di imperativi categorici – ma non eravamo già tornati a Kant un paio di volte?- che, secondo una certa opinione pubblica oggi egemone e strillona, sarebbero stati cancellati dall’agenda del cittadino onesto da una pletora di sofisti, di mercanti di nuvole e di politici corrotti. Si confonde populismo e ontologia, ma che bella e funesta eresia.

I toni del dibattito li conoscete già se avete letto qualche articolo su Alfabeta, oppure se avete assistito a qualche rissa televisiva o radiofonica dove cambiano i commensali, magari, ma il menu rimane quello di un ritorno – si spera di massa, giusto per aumentare le tirature dei libri e il bla bla delle riviste- ad un’economia delle idee che sia rigorosamente ben pensante. Mai come adesso una certa filosofia politica appare come il semplice riflesso (mimetico, per non dire pedissequo) della coscienza offesa, di quella bella costruzione edificante e consolatoria, progressista e veteroilluminista- sulla quale avevamo imparato, forse, a edificare altri territori, altri modi di raccontare il mondo, evitando le burocrazie e lo storicismo (c’è poi tanta differenza?)- in realtà imperante in questo Paese.

Il “realismo”  che sia nuovo o vecchio almeno risulta scomodo (ma lo è davvero?) e questo è un segno, se vogliamo, un sintomo di una qualche vitalità. Lo era anche quando il realismo “ingenuo” veniva attaccato dai postmoderni, perciò non sembra altro che il rovescio nevrotico di una mancanza reale, forse persino costitutiva del discorso filosofico (la Girella Lacan). Ammettiamolo, prima che la malinconia leopardiana si mangi il piatto: il postmoderno ci ha insegnato che pensare non è filosofare. Questo, tutto sommato, rimane l’essenziale, ovvero la trasfigurazione filosofica di Freud. Ma Freud non viene forse attaccato persino da Michel Onfray, un ex nietzschiano convinto, ormai entrato nel midcult mediatico?

Tutto finito, ci dicono, il postmoderno è finito, anzi morto. Così si ostina a sostenere chi il postmoderno, in realtà, non l’ha mica tanto capito – perché storicizzare non è capire- ma ha contribuito di certo a oscurarlo. Infatti, quando Maurizio Ferraris parla di postmodernità non parla mai delle minoranze sociali e politiche che l’hanno costituito, specialmente all’estero ma anche in Italia- dagli ecologisti agli omosessuali alle femministe al pensiero postcoloniale (ne abbiamo dato un’idea su Finzioni occidentali)- e disserta di postmoderno come se fosse un discorso che riguarda una cricca di professori, magari epistemologi e costruttivisti (assoluti o relativisti, vai a sapere). E’ l’unico postmoderno che conosce davvero, d’altra parte. Un postmoderno adatto a tutte le occasioni, piccolo borghese e pret-à-porter nel quale ha costruito la sua ben ossidata carriera. Da uno che ha affermato che Deleuze avrebbe “maltrattato la Storia ed è stato ripagato con la stessa moneta”, ci si poteva aspettare altro che questa parata in nome del ” nuovo realismo”? Coscienzioso senz’altro, a modo suo, ma quanta noia si annida tra le righe. I suoi allievi ci allieteranno con altri panegirici di questo tipo? Prevedo code nelle librerie, specialmente di teste canute.

Naturalmente, la fine presunta del postmoderno e il ritorno alla morale (non sono l’uno la conseguenza dell’altro, ma stanno coincidendo storicamente) vanno d’amore e d’accordo nel medesimo adieu per il parente defunto che permetterebbe di ricostruire un certo numero di poltrone (accademiche), tra Italia e Stati Uniti, ma che non cambierà un benemerito nulla tra le teste militanti del nostro tempo. Perché chi pensa e s’impegna nel mondo, oggi, proviene spesso dal postmoderno quanto ai valori e alle politiche, spesso di minoranza.

Perciò ho proprio l’impressione che avesse ragione Carlo Sini qualche mese fa: “La fine del postmoderno? Tutte cazzate”. E’ uno slogan anche questo, pero’. La posta in gioco non è stata nemmeno sfiorata, il desiderio di liquidazione è troppo forte. La Storia, caro Fukuyama, eccome se c’è.

Purtroppo, di “cazzate” altisonanti e veteroprogressiste l’umanità mostra spesso di avere bisogno (corsi e ricorsi, caro Vico), mentre al pensiero libero- immagine del desiderio, questo grande assente- rinuncia spesso e volentieri per una comoda…Girella. Buona ma stronza, e con la pubblicistica che si merita. (A.D.)

A D,Il ritorno della Morale o la fine del postmoderno: ma la filosofia dov’è?ultima modifica: 2012-03-19T15:43:23+01:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo