Ugo Fracassa, Steve McCurry: esotismo al Macro

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Steve McCurry: esotismo al Macro
19 aprile 2012 Pubblicato da Gianluigi Simonetti
di Ugo Fracassa
Sta per chiudere al Macro, negli spazi espositivi della Pelanda a Testaccio (Roma), un’imponente personale di Steve McCurry (inaugurata nel dicembre del 2011), il fotografo statunitense reso celebre dal ritratto di Sharbat Gula. È questo il nome della Afghan Girl – appellativo che per una coetanea occidentale meglio si tradurrebbe nel diminutivo  “ragazzina”- dodicenne all’epoca dello scatto, già protagonista nel 2009 della retrospettiva milanese Sud-Est nuovamente allestita, l’anno successivo, a Perugia. Il comunicato stampa del museo prometteva: “ci sarà tutta la storia della ragazza afgana” che, dopo essere comparsa sulla copertina del National Geographic nel giugno 1984, ha campeggiato su numerose altre – tra cataloghi di mostre e volumi fotografici – fino ad assurgere ad icona planetaria nel nuovo millennio (una ricerca in Rete per immagini fornisce 754.000 risultati per Afghan Girl, 485.000 per la Gioconda). Nel 2002 infatti la profuga ha posato nuovamente per la rivista statunitense, stavolta velata dal burqa, in occasione del reportage che svelava l’annoso mistero della sua identità.
L’interrogativo principale intorno alla fanciulla pashtun tuttavia rimane quello, apparentemente insolubile, perpetrato da uno sguardo che non manca di richiamare alla memoria collettiva proprio il precedente di Monna Lisa. Se Federico Zeri affermava che l’enigma della tavola leonardesca si sarebbe facilmente dissolto ripulendo il quadro dalle incrostazioni, va detto che Sharbat al momento della foto aveva da poco superato il confine, attraversando a piedi il Khyber Pass dopo aver perso i genitori sotto i bombardamenti sovietici. Come se non bastasse, si era appena procurata ai fornelli lo strappo nello scialle dal quale occhieggia la veste verde che magnifica il colore dei suoi occhi. Quello di McCurry era probabilmente il primo scatto cui si sottoponeva, e forse anche per questo, l’espressione nella foto somiglia più a quella di chi fronteggia il plotone d’esecuzione che non al sorriso professionale della modella docile all’ennesimo shot.
Ma non si tratta solo di questo: l’aura che alona il primo piano della fanciulla agli occhi di uno spettatore occidentale potrebbe derivare principalmente dai fumi che offuscano tuttora uno sguardo coloniale. Le tecniche utilizzate per individuare Sharbat a partire dall’immagine lo dimostrano a quanti, prima di accedere all’installazione realizzata da Fabio Novembre, abbiano sostato davanti al video Search for the Afghan Girl. Vi si racconta di come un tecnico dell’FBI abbia proceduto a sofisticate analisi dell’iride mentre il team del fotografo di Philadelphia, dalle parti di Tora Bora, confrontava insieme agli anziani del villaggio i minimi particolari della foto con l’aspetto attuale della donna, ora moglie e madre, seduta e muta lì davanti. Verrebbe da chiedersi, con la Spivak, “la subalterna può parlare?” .
Evidentemente, nel tentativo di dimostrare che Sharbat Gula è The Afghan Girl (e non viceversa), il ritratto fotografico riveste il ruolo dell’originale mentre il soggetto in carne ed ossa non sarebbe che la copia. Ciò spiegherebbe tra l’altro, con l’expertise morelliano – la tecnica ottocentesca che permetteva di attribuire un’opera a partire da minimi dettagli – l’insistito paragone artistico col capolavoro di Leonardo. D’altra parte il recente volume The Iconic Photographs, edito da  Phaidon in 3.300 copie firmate, è stato concepito affinché il lettore potesse incrociare “dal vero” lo sguardo con la celebre modella: «the striking Afghan Girl [is] reproduced life-size so that the viewer can meet them eye-to-eye». Colei che è stata definita «the First World’s Third World Monna Lisa», non diversamente da Lisa Gherardini, ha devoluto una quota di identità al proprio simulacro visuale. Ciò fa sì che i suoi estremi anagrafici, ad esempio, pesino meno di marca e modello dei supporti tecnologici che, nel primo mondo, ne consentono la riproduzione  (la pellicola Kodachrome e la lente Nikkor da 105mm montata su fotocamera Nikon FM2, come elencati nella scheda di Wikipedia riferita a Sharbat ma intitolata alla Afghan Girl) e la stampa (Epson, ci informa il comunicato del Macro ed uno dei video in mostra). È ancora il comunicato del Macro ad attribuire alla citata tecnologia il merito della resa cromatica delle opere in mostra, vera cifra stilistica di McCurry. A fronte della strabiliante policromia delle oltre 250 tavole esposte, perciò, qualche volta verrebbe voglia di appellarsi a quel “diritto all’opacità” cui lo scrittore martinicano édouard Glissant affidava il compito di difendere la diversità nel mondo globalizzato.
La mostra, che si annuncia al pubblico potenziale dei passanti dalle parti dell’ex mattatoio con la gigantografia della ragazzina mediorientale, si apre su un primo ambiente dove lo spettatore consenziente può ripercorrere per intero la vicenda di Sharbat, grazie alla visione del documentario prodotto dal National Geographic nel 2003. In fondo a questa anticamera, che introduce ai più ampi ambienti dove si ammireranno le foto, giganteggia l’ennesima riproduzione fuori formato del medesimo ritratto, costruito stavolta come puzzle cromatico di centinaia di immagini miniaturizzate. Maniera molto eloquente per significare che l’intera opera del reporter può riassumersi in quell’unico scatto. All’interno, le successive stazioni dell’allestimento sono ispirate ad un villaggio nomade – “nomade divenga il visitatore medesimo”! auspica il curatore nel primo pannello offerto alla lettura. Tra volti e luoghi del Sud Est asiatico più celebrato dall’artista statunitense stavolta però si notano anche alcune vedute italiane, vera novità della mostra in omaggio al centocinquantenario dell’Unità. Ebbene, proprio queste recenti fotografie – tra processioni sicule, gondole in laguna, breakfast italiani con vista su fontana di Trevi – rischiano mettere sull’avviso i visitatori nativi circa  l’“esotismo” dello sguardo implicato nelle altre opere esposte.

Ugo Fracassa, Steve McCurry: esotismo al Macroultima modifica: 2012-04-20T16:21:52+02:00da mangano1
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