Nietzsche e la macchina, prima e oltre Heidegger
07/06/2012
di Alessia Giora
L’intervista Nietzsche e la macchina, apparsa inizialmente nel Journal of Nietzsche Studies (1994) e pubblicata in lingua italiana da Mimesis, registra una conversazione con Jacques Derrida il cui tema principale è quello della Macchina, ovvero della tecnica nel suo intreccio di capitalismo, burocrazia e democrazia, sia per come lo si può desumere da Nietzsche che dalle tesi di Heidegger sul dominio tecnologico contenute in testi come La questione della tecnica e La sentenza di Nietzsche: ‘Dio è morto’1. Nelle fasi iniziali dell’intervista con Richard Beardsworth, Derrida esordisce dovendo rispondere alla domanda circa le accuse di irrazionalità rivolte alla decostruzione che vedono Derrida come un emulo disinvolto di Nietzsche, il prosecutore più conseguente del nichilismo irrazionalista quanto irresponsabile. La risposta di Derrida è una messa in chiaro del suo lavoro e un rilancio del metodo genealogico che più che rimarcare la sua provenienza, secondo un’ideologia della filiazione tutt’altro che naturale, ne critica le pretese riduzioniste: “L’accusa di ‘nietzscheanesimo’ è, nei suoi stessi termini, priva di senso. Più ci si dichiara fedeli a Nietzsche, meno si può reclamare un’identità di una particolare ‘caratteristica’ del pensiero di Nietzsche. Più vicini si è a ‘Nietzsche’ più ci si rende conto che non esiste qualcosa come il ‘testo-Nietzsche’. Questo testo chiede interpretazione, allo stesso modo in cui argomenta che non c’è qualche cosa come un ente, ma solo interpretazioni- attive o reattive- di quell’ente. ‘Essere nietzschiani’ è uno slogan giornalistico che non è in grado di far fronte ai nomi ed agli pseudonimi di Nietzsche; la sua raison d’être, in ultima analisi, è dissolvere l’ansia”2.
In secondo luogo, sottolinea Derrida, è semplicistico guardare alla decostruzione come a una derivazione esclusiva dal pensiero di Nietzsche, quando in realtà deriva da tratti ereditari diversi (Heidegger, Benjamin, Lèvinas, etc.), ma soprattutto “agli occhi di Nietzsche, la genealogia è un tentativo di dar conto della storia della ragione. Possono esservi problemi con tale conto, talvolta può procedere troppo velocemente, ma come tale la genealogia inscrive se stessa nel retro della ragione; non può pertanto essere una procedura irrazionale del pensiero”. Di conseguenza, “Il metodo ed il proposito della genealogia procedono ed eccedono tali distinzioni, riorganizzando le identificazioni della tradizione circa ciò che è razionale e ciò che è irrazionale”3. Non stupisce che Derrida, nel corso dell’intervista, ribadisca la sua distanza dagli esiti del Nietzsche di Heidegger: “Non adotto lo stesso approccio di Heidegger verso Nietzsche, per ragioni di storia, di generazioni e di contesto. Non scrivo fra le due guerre mondiali. La mia preoccupazione più grande non è quella di sollevare Nietzsche dalla ri-appropriazione nazista. Anche il mio approccio è differente, in quanto sono profondamente diffidente verso questo genere di manovra. Come metto in chiaro in Otobiographies non è per caso che il nazismo si è potuto riappropriare di Nietzsche. La storia dell’essere di Heidegger e la sua metafisica, non possono tenere testa a tale contaminazione. La mia prima preoccupazione, allora, non è quella di ‘salvare’ Nietzsche, sebbene comprenda perché Heidegger volesse salvare Nietzsche mostrando che il suo pensiero non fosse semplicemente una filosofia della vita. Al contempo mi rendo conto che la questione della vita è assai più oscura e difficoltosa di quanto non affermi Heidegger. In realtà, se c’è un tema nel lavoro di Heidegger che mi mette molto a disagio, è il tema della vita. Io, come tutti, intendo essere un vigile lettore dei rischi politici di biologismo derivanti dal suo particolare utilizzo del concetto di vita, e tuttavia la questione della vita è molto più sottile di quanto non appaia in Heidegger”4.
Al compimento della metafisica come presunto dato ultimo, irrevocabile, anche in quanto marca identitaria del filosofo Nietzsche, Derrida contrappone, quindi, una serie di punti critici, di slittamenti e di aperture teoriche, a partire da una posizione che ai puristi del pensiero metafisico non potrà che apparire compromettente ma che, forse, oggi può indurre a pensare in modo diverso i rapporti tra la filosofia e le tecnologie a partire da una certa presa di distanza dal discorso di Heidegger (come, di fatto, avviene in Dello spirito)5. Ciò che appare chiaro, qui come altrove, è che per Derrida interrogarsi sul nostro modo di abitare il mondo tecnologico non può passare per una rivendicazione di esteriorità e, dunque, di un pensiero originario altrimenti rimosso- salvo poi ritrovarlo ai margini del sistema, nel linguaggio poetico, come deriva o forma di redenzione- dalla coscienza capitalistica.
La logica dell’esclusione che stabilisce una “linea” invalicabile, un confine perlomeno concettuale se non ontologico tra pensiero e tecnica, rimane interna al discorso metafisico, secondo Derrida. D’altra parte, ciò che manca qui è un progressismo illuminista che potrebbe risorgere dalle ceneri di sé stesso. C’è come un’immagine notturna- forse l’immagine stessa della globalizzazione?- in questi discorsi di Derrida sulla tecnica, il tempo e il messianico, l’etica e la responsabilità, l’archivio e la memoria nel loro rapporto di ri-scrittura o di iterabilità. L’impressione che se ne ricava è quella di un movimento della filosofia che avviene nel suo corso -teorico ma non soltanto, considerando i riferimenti politici e mediatici- e per il suo tempo. Tempo futuro e avvenire, in effetti, ossessionano questi dialoghi portando l’indice della domanda sempre verso urgenze politiche, come nel controcanto che nasce, in queste pagine, a margine della stesura di Spettri di Marx e che dopo la pubblicazione del saggio sul marxismo (edito da Raffaello Cortina) appare come un’utile anticipazione differita, di commento postumo. L’ennesimo ritorno che non smette di mobilitare le “verità” depositate nei manuali di storia, vere e proprie mimesi incontrollate. E se c’è qualcosa di cui, oggi, si ha bisogno è proprio questo genere di dinamiche contro le semplificazioni che stanno prendendo il sopravvento sulla memoria del postmoderno.
1. Cfr. M.Heidegger,La questione della tecnica in Saggi e discorsi, a cura di G.Vattimo, Mursia, 1976;La sentenza di Nietzsche: ‘Dio è morto’ in Sentieri interrotti, trad. di Pietro Chiodi, La Nuova Italia, 1968.
2. Cfr. J.Derrida, Nietzsche e la macchina. Intervista con Richard Beardsworth, Mimesis 2010: p. 34.
3. Cfr. J.Derrida, ivi. Sul significato della decostruzione è utile J.Derrida, Au -de là des apparences(2002), trad. it. Al di là delle apparenze. L’altro è segreto perché è altro, Mimesis 2010.
4. Cfr. J.Derrida, Nietzsche e la macchina. op.cit.: p. 37. Il testo citato da Derrida è Otobiographies. L’enseignement de Nietzsche et la politique du nom propre, Galilée, 1984. Trad. it. Otobiographies. L’insegnamento di Nietzsche e la politica del nome proprio, Il Poligrafo, 1993.
5. Cfr. J.Derrida, Dello spirito. Heidegger e la questione, SE 2010.