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Nomadelfia
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Nomadelfia è per la Repubblica Italiana una associazione privata di cittadini. Dal punto di vista del diritto canonico della Chiesa cattolica, è una parrocchia formata da famiglie e laici non sposati, fondata da don Zeno Saltini. Oggi la comunità sorge all’interno del comune di Grosseto.

Nomadelfi non sono tutti i membri della comunità ma solo coloro che compiuti i 21 anni decidono liberamente di aderire al modello di vita, definito “proposta”, che punta a un ritorno alla “chiesa delle origini”. In Nomadelfia non si utilizza denaro e i nomadelfi che ottengono guadagni fuori dalla comunità li versano a questa che provvede poi a dare a ognuno i beni di cui necessita. Il disabile o l’anziano non vengono assistiti solo dalla famiglia, ma dalla comunità stessa. L’educazione obbligatoria ai bambini viene data da membri della comunità durante l’anno, mentre gli esami annuali sono sostenuti da questi come privatisti.

Indice [nascondi]
1 Nomadelfia
2 Storia
2.1 I primi nuclei
2.2 La prima stesura della Costituzione e la Prima Fondazione
2.3 La rinascita vicino a Grosseto
3 L’esperienza attuale
4 Filmografia
5 Note
6 Bibliografia
7 Collegamenti esterni
8 Voci correlate
Nomadelfia [modifica]
Il termine “Nomadelfia” è un neologismo modellato dai due termini greci nomos e adelphia, e significa dove la fraternità è legge. Nomadelfia si definisce come “una proposta”, un modello di vita alternativo rispetto a quello proposto abitualmente dalle società occidentali. I suoi componenti, tutti cattolici praticanti (ad oggi circa 350), adottano uno stile di vita ispirato a quanto riportato negli Atti degli Apostoli, e per certi versi simile all’esperienza dei kibbutz o dei falansteri. Non esiste proprietà privata. Le famiglie sono disponibili ad accogliere ragazzi in affido. Si lavora solo all’interno della comunità, e nessuno è retribuito; molti lavori sgradevoli vengono svolti a turno da tutti i componenti. I nuclei familiari vengono raggruppati in unità più grandi (3-5 famiglie), che condividono assieme vari momenti della giornata (come i pasti) La scuola per i ragazzi è anch’essa gestita dalla comunità. I ragazzi si presentano poi agli esami come privatisti. Le responsabilità educative sono assunte “in toto” da tutti gli adulti, in una specie di “famiglia allargata”. Per lo Stato Italiano la comunità è un’associazione, mentre dal punto di vista del diritto canonico è una parrocchia comunitaria: al contrario di quanto accade per gli ordini religiosi, quindi, chi lo desidera può lasciare la comunità in ogni momento senza formalità particolari. Il fondatore, don Zeno Saltini, definiva Nomadelfia come una “nuova civiltà”, la civiltà dei “liberi figli di Dio, che sarebbero poi i santi”. Il principio ontologico su cui si fonda questa fraternità è che tutti gli esseri umani sono figli di Dio e dunque fratelli e sorelle tra loro: Nomadelfia, nelle sue intenzioni, esiste per dare all’umanità un segno concreto e praticabile che vivere insieme in pace come fratelli e sorelle è possibile. Tra coloro che, accolti a Nomadelfia, hanno deciso, raggiunta l’età del consenso, di uscirne, spicca il brigatista rosso Paolo Maurizio Ferrari [3] e Beppe Lopetrone, fotografo di moda internazionale. Lopetrone tuttavia tornò a Nomadelfia negli ultimi mesi della sua vita, e lasciò parte dei propri beni alla comunità. [4] Beppe Lopetrone realizzò con i Nomadelfi un libro fotografico intitolato Don Zeno 100 ANNI.

Storia [modifica]

I primi nuclei [modifica]
Nomadelfia nasce negli anni trenta per volontà di don Zeno Saltini, figlio di agricoltori benestanti di Carpi che vive l’infanzia e la giovinezza tra fermenti cattolici e socialisti, in cui convivono realtà ed utopia. Ordinato sacerdote nel 1931, raccoglie i primi bambini senza famiglia o comunque abbandonati a San Giacomo Roncole (Modena), parrocchia formata per il 50 per cento da braccianti che hanno un lavoro solo otto mesi l’anno: nasce l’Opera Piccoli Apostoli.

Soltanto molto lentamente gli adulti si interessano al suo problema: a questo punto nascono le famiglie; adulti, sposati e non sposati fungono da genitori non soltanto dei propri ma anche dei figli altrui, dei figli di nessuno. Nascono in questo modo le cosiddette “mamme di vocazione”, mamme in famiglie che hanno così numerosi figli, di tutte le età.

Nel 1947 don Zeno occupa con loro l’ex campo di concentramento di Fossoli, frazione di Carpi, per costruire la loro nuova città. Dove prima c’erano reticolati, sorge una nuova realtà. Lo scopo principale è dare una accoglienza ai tanti orfani di guerra, con un tipo di assistenza molto diverso dai tradizionali orfanotrofi, perché basato sull’apporto delle mamme di vocazione, con un nuovo concetto di famiglia.

I Piccoli apostoli abbattono i reticolati dei campi
La prima stesura della Costituzione e la Prima Fondazione [modifica]
La comunità il 14 febbraio 1948 approva il testo di una Costituzione e l’Opera Piccoli Apostoli prende appunto in quella occasione il nome di Nomadelfia. Il villaggio raccoglie migliaia di ragazzi, viene benedetto da Papa Pio XII, ed il cardinale di Milano Ildefonso Schuster, con una cerimonia in duomo, affida a don Zeno quaranta bambini. Nomadelfia è all’apice della notorietà.

Nel 1950 don Zeno propone il lancio di un movimento politico “Movimento della Fraternità Umana”, propugnatore di forme di democrazia diretta. Questo fatto suscita immediatamente una forte ostilità non solo presso gli organi di governo, ma anche di numerose autorità ecclesiastiche. La comunità raggiunge il numero di 1500 persone, dei quali 800 figli accolti e 150 ospiti (senza casa e senza lavoro). Ne fanno parte, in questo periodo, anche Danilo Dolci e Giovanni Vannucci.

Il ministro degli Interni Mario Scelba sollecita a Nomadelfia una relazione economica-amministrativa. Da questo punto di vista, infatti, la comunità viaggia in acque poco tranquille anche se afferma di avere un patrimonio immobiliare di 613 milioni a fronte di passività per 370 milioni. Don Zeno chiede sovvenzioni, lanciando una campagna per raccogliere addirittura un miliardo. Tra i suoi sostenitori è la contessa Giovanna Albertoni Pirelli, che gli dona una enorme estensione di terreno presso Grosseto.

Per sventare i pericoli incombenti, Nomadelfia si trasforma; diventa città di Nomadelfia. I suoi membri rinunciano al nome di piccoli apostoli, dichiarano di non considerarsi comunità a carattere religioso e si costituiscono in libera associazione civile, pensando in tal modo di evitare interventi sia dello stato che della Chiesa.

Si diffondono malignità sulla moralità delle famiglie di Nomadelfia, il che suscita la diffidente reazione di molti cattolici. Le accuse successive spaziano dall’apologia del comunismo all’eresia. Don Zeno è stato partigiano e soprannominato il prete rosso; ha gridato sulle piazze che i ricchi devono dare ai poveri e che se i ricchi non danno, i poveri devono prendere. In più, don Zeno non smette di parlare né di scrivere, aggravando la sua posizione con le sue affermazioni e le sue tesi sulla famiglia.

Il 5 febbraio 1952 don Zeno riceve dal Sant’Uffizio una Intimatio con la quale gli si ordina di ritirarsi da Nomadelfia e di mettersi a disposizione della sua diocesi o di altra che egli preferisca.

Il decreto che decapita Nomadelfia è firmato dal cardinale Giuseppe Pizzardo, ma più di un motivo lascia ritenere che l’allontanamento drastico del fondatore e leader di Nomadelfia sia dovuto a ragioni politiche, vista l’aperta ostilità dei partiti, in particolare della Democrazia Cristiana. Don Zeno obbedisce, sebbene a malincuore.

Nel giugno del 1952 la comunità viene sciolta, i beni vengono ceduti alla commissione prefettizia di liquidazione coatta, le famiglie si disperdono, pochi rimangono, la maggior parte dei bimbi viene ricoverata in orfanotrofi.

Nel novembre del 1952 don Zeno è processato per una denuncia dei creditori, ma viene assolto.[1] Si chiude in questo modo l’esperienza di Fossoli.

« In questo paese dove centinaia di enti parassitari succhiano lo Stato, dove si buttano via miliardi per finanziare esposizioni inutili, manifestazioni balorde e stagioni vuote, non s’ è trovato niente per aiutare don Zeno e Nomadelfia che mantenevano 700 bambini dispersi e privi di famiglia. Peggio. Quando la situazione precipitò, per essere sicuri che non potessero più sfuggire di mano, che non potessero più rialzare la testa, s’ impose per loro la forma più odiosa e peggiore: la liquidazione coatta. Un bel giorno la polizia arrivò a Nomadelfia. I ragazzi furono tolti alle mamme adottive, caricati coi loro fagotti sui camion, e sparpagliati per tutta l’ Italia in istituti diversi, da dove scrivono ancora lettere accorate, e di tanto in tanto scappano. »

(Filippo Sacchi, La Stampa, 17 dicembre 1953)
La rinascita vicino a Grosseto [modifica]
Per aiutare i propri figli dispersi don Zeno chiede quindi a Pio XII di essere dimesso dallo stato clericale. Il papa nel 1953 glielo concede, dicendogli che una volta sistemato il problema avrebbe potuto richiedere il ritorno al sacerdozio.

L’esperienza di Nomadelfia riparte quindi nel comune di Grosseto tra le frazioni di Roselle e Batignano, dove dopo dieci anni di durissimo lavoro i Nomadelfi trasformano una zona arida e pietrosa in una piccola tendopoli. Tende che in seguito saranno sostituite da prefabbricati.

Nel 1962 papa Giovanni XXIII istituisce la nuova parrocchia di Nomadelfia, nominandone parroco don Zeno.

Nel 1965 nascono le serate di Nomadelfia, spettacoli itineranti gratuiti in Italia e all’estero per far conoscere la realtà di questo paese. Tra i primi vescovi a richiedere una serata, segno di una rinnovata attenzione della gerarchia ecclesiastica all’esperienza di Nomadelfia, vi fu il vescovo di Sansepolcro, Abele Conigli. Nel 1980 lo spettacolo viene proposto a papa Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo. Don Zeno morirà l’anno successivo.

Nomadelfia ha ricevuto la visita di papa Wojtyla nel 1989.

L’esperienza attuale [modifica]

Nomadelfia si definisce come “una proposta”, un modello di vita alternativo rispetto a quello proposto abitualmente dalle società occidentali. I suoi componenti, tutti cattolici praticanti (ad oggi circa 350), adottano uno stile di vita ispirato a quanto riportato negli Atti degli Apostoli, e per certi versi simile all’esperienza dei kibbutz o dei falansteri.

Non esiste proprietà privata.
Le famiglie sono disponibili ad accogliere ragazzi in affido.
Si lavora solo all’interno della comunità, e nessuno è retribuito; molti lavori sgradevoli vengono svolti a turno da tutti i componenti.
I nuclei familiari vengono raggruppati in unità più grandi (3-5 famiglie), che condividono assieme vari momenti della giornata (come i pasti)
La scuola per i ragazzi è anch’essa gestita dalla comunità. I ragazzi si presentano poi agli esami come privatisti.
Le responsabilità educative sono assunte “in toto” da tutti gli adulti, in una specie di “famiglia allargata”.

Lopetrone con la sua opera Don Zeno 100 ANNI realizzata con i Nomadelfi (foto: Pasquale Lopetrone)
Per lo Stato Italiano la comunità è un’associazione, mentre dal punto di vista del diritto canonico è una parrocchia comunitaria: al contrario di quanto accade per gli ordini religiosi, quindi, chi lo desidera può lasciare la comunità in ogni momento senza formalità particolari. Il fondatore, don Zeno Saltini, definiva Nomadelfia come una “nuova civiltà”, la civiltà dei “liberi figli di Dio, che sarebbero poi i santi”.

Il principio ontologico su cui si fonda questa fraternità è che tutti gli esseri umani sono figli di Dio e dunque fratelli e sorelle tra loro: Nomadelfia, nelle sue intenzioni, esiste per dare all’umanità un segno concreto e praticabile che vivere insieme in pace come fratelli e sorelle è possibile.

Nel 2008 la RAI ha dedicato una fiction alla figura di Don Zeno Saltini e all’esperienza di Nomadelfia, intitolata: Don Zeno – L’uomo di Nomadelfia, mettendola in onda, in due puntate, il 27 e 28 maggio [2]

Tra coloro che, accolti a Nomadelfia, hanno deciso, raggiunta l’età del consenso, di uscirne, spicca il brigatista rosso Paolo Maurizio Ferrari [3] e Beppe Lopetrone, fotografo di moda internazionale. Lopetrone tuttavia tornò a Nomadelfia negli ultimi mesi della sua vita, e lasciò parte dei propri beni alla comunità. [4] Beppe Lopetrone realizzò con i Nomadelfi un libro fotografico intitolato Don Zeno 100 ANNI.

Filmografia [modifica]

2008 – Don Zeno – L’uomo di Nomadelfia – Rai Uno – Miniserie TV
Note [modifica]

^ Denis Mack Smith, L’Italia del XX secolo (1951-1960) pag.26
^ Il documentario di approfondimento critico all’interno di La Storia siamo noi fa un largo riferimento al testo Don Zeno: il sovversivo di Dio, scritta da Antonio Saltini). La puntata è reperibile sul sito ufficiale della trasmissione.
^ Fonte:Repubblica
^ incia&giornale=gazzettadimodena Gazzetta di Modena pag. 21
Bibliografia [modifica]

Gianni Ciceri e Edmea Gazzi, Zeno, un’intervista, una vita, Libreria Editrice Fiorentina (1986)
Nomadelfia, un popolo nuovo, Nomadelfia edizioni 2005.
Domenico Campana, Zeno di Nomadelfia: un profeta scomodo, Edizioni paoline, Milano (1991)
Fausto Marinetti, L’eresia dell’amore. Conversazioni con don Zeno (2000)
Beppe Lopetrone e i ragazzi di Nomadelfia (a cura di), Don Zeno 100 Anni, edizioni Nomadelfia 2000
Fausto Marinetti, Don Zeno, obbedientissimo ribelle (2006)
Valeria Cammertoni, Perché Nomadelfia, Formigine 2007
Antonio Saltini, Don Zeno, il sovversivo di Dio, Il Fiorino, Modena (2003) ISBN 978-88-7549-015-7
Beatrice Matano, Vita di Nomadelfia, Armando editore, Roma (1971)
Collegamenti esterni [modifica]

Sito ufficiale
Nomadelfia su unpattotranoi
Nomadelfia 2006
Don Zeno L’uomo di Nomadelfia
Don Zeno e la comunità di Nomadelfia La storia siamo noi – Rai Educational

wIKIPEDIA, Nomadelfiaultima modifica: 2012-08-20T12:20:19+02:00da mangano1
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