Andrea Montella, La coppola imperialista

La coppola imperialista

Nell’articolo riportato di seguito ci sono i nomi di quei colletti bianchi che sono stati i veri agenti dell’imperialismo a casa nostra e che hanno lavorato sistematicamente contro i comunisti e contro l’autonomia politica ed economica del nostro Paese, ordinando omicidi selettivi come quelli di Enrico Mattei e Mauro De Mauro o facendo stragi come Portella delle Ginestre, Piazza Fontana, Brescia, Bologna, i treni Italicus e 904, via Fani e omicidio Moro, sino alle bombe del 1992 1993.
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Un lavoro a più livelli per mantenere l’Italia asservita agli interessi dei vari imperialismi: da quello francese a quello angloamericano: Un lavoro fatto anche d’infiltrazioni e corruzione nei partiti e nello Stato, fatto con lo scopo di creare le condizioni per far saltare la nostra democrazia e modificare la Costituzione anticapitalista, antifascista e sociale.

Un disegno che si sarebbe potuto realizzare solo se fossero riusciti a spaccare e a trasformare i due principali partiti di massa, la Dc e il Pci in due partiti liberali, grazie al lavoro svolto dall’interno dalle due ali destre di questi partiti.

Vedi anche

<http://iskra.myblog.it/archive/2012/08/22/coppola-e-cappuccio.html>

In sintesi, non è forse andata così la storia?

Se le carte dei processi per mafia e di terrorismo fossero materia di studio nelle nostre scuole avremmo una comprensione più profonda e veritiera della nostra storia, di come funziona l’imperialismo e sapremmo difendere meglio le nostre libertà sociali.

Saluti comunisti

Andrea Montella

 

 

MISTERI SICILIANI

 

DE MAURO, UN AFFARE DI SPIE E PETROLIO

 

Mauro De Mauro

 

Le motivazioni della Corte di Assise.

Il cronista scoprì la verità su Mattei e quell’intreccio fra Stato e mafia

 

di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

 

Palermo

Una busta gialla o arancione con alcuni fogli che contengono il segreto della morte di Enrico Mattei: è il “copione” scritto per il regista Francesco Rosi. Quel giorno, il 16 settembre 1970, alle 17,30, il giornalista de L’Ora di Palermo, Mauro De Mauro ha in mano quella busta e si affretta, col suo passo claudicante, sul marciapiede di via Meccio. Il collega Nino Sofia lo vede parcheggiare davanti alla redazione del quotidiano del pomeriggio e attraversare la via Stabile con la busta in mano. Ma quando torna al giornale, poco dopo, quella busta è sparita, o almeno Sofia non la ricorda più. A chi l’ha consegnata De Mauro? A Graziano Verzotto, rispondono i giudici, l’uomo che lo ha tradito nelle ultime ore di vita. Se l’avvocato Vito Guarrasi, il mister X dei segreti dello sbarco Usa in Sicilia, è coinvolto nel sequestro di De Mauro, “Verzotto lo è due volte di più”. E che sia proprio Verzotto il mandante dell’eliminazione del giornalista scomparso a Palermo la sera del 16 settembre 1970 “è un assunto prossimo alla certezza processuale”. Ma perché lo avrebbe fatto uccidere? “Per coprire il proprio personale coinvolto nel delitto Mattei”. Nelle 2.200 pagine delle motivazioni della sentenza che ha assolto Totò Riina, all’epoca non ancora il capo dei capi di Cosa nostra, i giudici della Corte d’Assise di Palermo offrono la soluzione del “giallo” che lega i casi Mattei e De Mauro,  puntando il dito contro il personaggio più controverso dell’inchiesta: l’ex partigiano “bianco” Graziano Verzotto, veneto di Santa Giustina in Colle, all’epoca segretario regionale della Democrazia Cristiana, capo delle pubbliche relazioni dell’Eni in Sicilia ai tempi di Mattei, legato ai servizi segreti francesi, coinvolto nell’inchiesta sui fondi neri delle banche di Michele Sindona, compare d’anello del boss Giuseppe Di Cristina, ammiratore di Lucky Luciano, e morto il 12 giugno 2010, prima dell’ultima deposizione in aula, a Palermo, alla fine di un tortuoso, contraddittorio e depistante percorso processuale, seminato, come scrivono i giudici, di “polpette avvelenate”. Un uomo al centro di una trama che parte da Bascapè, dove l’attentato mascherato per 40 anni da “incidente” prende il via “un’altra storia d’Italia”, un intreccio perverso e di fatto eversivo, terreno di coltura delle stragi di Stato, segnato dai depistaggi istituzionali (a partire da quello compiuto, proprio nel caso De Mauro, dai carabinieri del generale Dalla Chiesa), e che allunga la propria ombra sulla trattativa tra mafia e Stato. Verzotto, dicono i giudici di Palermo, fa sparire Mauro De Mauro perché il giornalista de L’Ora ha trovato lee prove dell’uccisione di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni precipitato otto anni prima a bordo di un bimotore privato, dopo una visita di due giorni in Sicilia. De Mauro ha scoperto che quello passato alla storia come un “incidente aereo” è in realtà l’esito di un sabotaggio, effettuato all’aeroporto di Catania, grazie a “due telefonate” che hanno allontanato dal velivolo il pilota Irnerio Bertuzzi, per permettere a tre persone sconosciute di salire a bordo e piazzare una carica di esplosivo.

 

SCOPERTA DIROMPENTE. De Mauro ha scoperto anche di più: conosce i nomi delle persone che erano al corrente dell’orario di partenza – tenuto segretissimo per ragioni di sicurezza – del volo di rientro di Mattei da Catania. De Mauro queste cose le ha scritte nella ricerca che gli è stata commissionata dal regista Francesco Rosi, per ricostruire gli ultimi due giorni di vita del presidente dell’Eni in Sicilia. La sua è una scoperte dirompente. Al punto che quel reportage, come ora scrivono i giudici di Palermo, ha suscitato e coagulato contro De Mauro “un fronte vasto di ostilità facenti capo a soggetti eterogenei, ben radicato in circuiti criminali e in ambienti istituzionali, diversi ma accumunati nell’obiettivo di far tacere per sempre una delle più note firme del giornalismo di inchiesta”. La rivelazione di un attentato ha Mattei, progettato con la complicità di apparati italiani (e forse con il supporto della Cia), avrebbe avuto “effetti devastanti per i precari equilibri politici generali, in un Paese attanagliato da fermenti eversivi e tentato da svolte autoritarie”. E di fatto, la “verità compatibile” dell’incidente aereo ha retto fino ad oggi, trovando un supporto giudiziario nella sentenza lapidaria del gip Fabio Lambertucci, autore nel 2004 del decreto di archiviazione che ha liquidato il caso Mattei come materia di studio, buona “tutt’al più, per gli storici”. Ma la Corte d’Assise di Palermo oggi riscrive da capo anche il mistero di Bascapè: il giudice Angelo Pellino, estensore delle motivazioni, sostiene di considerare provata la matrice dolosa dell’”incidente aereo” di Mattei e cioè che il Morane Saulnier del presidente dell’Eni precipitò non per un “errore umano” del pilota Irnerio Bertuzzi, ma a seguito dell’esplosione di una piccola carica di esplosivo piazzata sul cruscotto. E che proprio da quel sabotaggio, coperto da complicità istituzionali, deriva – otto anni dopo – la necessità di eliminare De Mauro, nel momento in cui il giornalista de L’Ora scopre la verità e ne anticipa le conclusioni ad una persona che ritiene sua amica, e che invece è coinvolta direttamente nel tranello del viaggio di Mattei in Sicilia: l’ex senatore Dc Graziano Verzotto. E solo la morte di Verzotto impedisce oggi che il procedimento per la “lupara bianca” del cronista de L’Ora venga riaperto per la quarta volta con un uomo delle istituzioni nei panni del mandante.

 

IL TRADITORE. È proprio Verzotto, infatti, l’umo che, secondo i giudici di Palermo, innesca il “meccanismo mortale che ha stritolato il giornalista de L’Ora”, quando si rende conto che De Mauro si è spinto troppo oltre nella sua ricostruzione delle ultime ore di Mattei. Quando, cioè, capisce che il giornalista è troppo vicino alla verità, non solo sul sabotaggio dell’aereo, ma anche sull’identità dei mandanti, o almeno di uno di loro: lo stesso Verzotto. È lui l’unico – a parte le vittime dell’attentato – ad aver volato sul Morane Saulnier di Mattei, la notte tra il 26 e il 27 ottobre, è sempre lui ad essere presente all’aeroporto di Fontanarossa la mattina del sabotaggio, ed è ancora lui l’uomo che illude il pilota Irnerio Bertuzzi prospettandogli un futuro di manager privato in una società aerea regionale, che però è già in liquidazione. Presidente dell’Ente Minerario siciliano, Verzotto è uomo di strette relazioni internazionali, progetta di vendere mille pescherecci al regime cubano di Fidel Castro attraverso una società collegata all’Ems, la Geomeccanica, della quale è consulente anche l’avvocato Guarrasi; promuove la firma di un accordo italo-algerino per la realizzazione di un metanodotto tra la Sicilia e l’Algeria finanziato da fondi della Banca Mondiale e la cui progettazione è affidata alla società Bechtel di San Francisco, vicina alla Cia, “mantenendo – scrivono i giudici – un osservatorio americano costante nel canale di Sicilia, a far data dal 2 gennaio 1970, ossia in uno scacchiere del Mediterraneo divenuto particolarmente caldo, a quattro mesi dal colpo di Stato in Libia del colonnello del Mohammar Gheddafi”. E nell’estate del 1970, quando le manovre per la successione di Eugenio Cefis al vertice dell’Eni entrano nel vivo, Verzotto aspira alla presidenza dell’Ente petrolifero. Per chiudere il cerchio della sua inchiesta su Mattei, scritta sotto forma di “copione”, De Mauto ha bisogno solo di alcune conferme, e la Corte di Palermo è convinta che le chiede proprio a Verzotto, e sta per chiederle anche al presidente della Regione Giuseppe D’Angelo (forse avvertito dell’attentato, ipotizza la Corte) che ha intenzione di raggiungere al più presto a Vulcano. È a questo punto, secondo i giudici, che Verzotto non riesce “a reggere il gioco sottile che lui stesso ha innescato, cercando di orientare l’indagine di De Mauro nella direzione a lui più conveniente”.

 

Graziano Verzotto

IL COPIONE. Nella sua ricostruzione, la Corte di Palermo scopre che l’incontro del 14 settembre tra il giornalista e Verzotto, nei locali dell’Ems, viene concordato tra i due per la consegna del “copione” ormai praticamente concluso, all’ex senatore che si è offerto di dare una mano per la sistemazione finale, e si è prestato a fare da “corriere” portandolo a Roma: ma la consegna quel giorno non avviene, perché i due si vedono solo di sfuggita e sono costretti a fissare un nuovo appuntamento, due giorni dopo. Però è proprio in quel momento che, secondo i giudici di Palermo, vengono allertati gli alleati mafiosi di Verzotto e dei cugini Salvo (gli esattori di Salemi, che con lui gestiscono affari a nove zeri): ovvero i boss Stefano Bontade e Giuseppe Di Cristina. Si attiva il circuito delle deliberazioni dei vertici di Cosa nostra: sono in molti a volere che sui retroscena del delitto Mattei (quello che il pentito Buscetta definisce “il primo delitto della Commissione”) sia mantenuto il segreto più assoluto.

Stefano Bontade

 

I LAPSUS DI VERZOTTO. A tradirsi è lo stesso Verzotto, protagonista in aula di un “lapsus linguae”: è impossibile, sostiene in udienza, che abbia parlato con De Mauro il 14 settembre perché in quella data si trovava a Peschiera del Garda, dove invece si recò due giorni dopo, il 16 settembre, ovvero il giorno del sequestro del giornalista. In quel preciso momento, rilevano i giudici, Verzotto si confonde, “equivoca sulla data, identificandola con il giorno della scomparsa di De Mauro”, perché effettivamente “fu allora che Verzotto incontrò De Mauro per l’ultima volta”, circostanza che ha sempre negato. E il riferimento è all’incontro del 16 settembre, che sarebbe avvenuto nell’appartamento di Verzotto, in via Ruggero Settimo 55, a pochi metri da L’Ora: quello dove il giornalista si recò con la busta gialla, poche ore prima di finire nella trappola dei suoi assassini.

 

IL SEQUESTRO. De Mauro viene rapito, si legge nelle motivazioni, “quando i sequestratori hanno ormai la certezza che il materiale raccolto su Mattei si trova in mani sicure”. A quel punto non si può più perdere tempo: il cronista de L’Ora potrebbe scoprire presto di essere stato ingannato da Verzotto, o potrebbe avere il tempo di riferire a Pietro Notarianni (il produttore della Vides, la società che doveva finanziare il film di Rosi) il nome dell’umo a cui ha consegnato il suo lavoro per farglielo recapitare a Roma. Ed è necessario rapirlo con tutta la sua auto, la Bmw blu notte, scrivono i giudici, “per avere qualche ora di vantaggio sugli inquirenti, simulando un allontanamento spontaneo con amici”, ma anche perché De Mauro forse aveva portato con sé altro materiale, o magari la copia del dossier consegnato, e “non si poteva correre il rischio di lasciare le carte del dossier di Mattei nell’auto”.

 

PERCHÉ VERZOTTO. Ma perché alla fine Verzotto si sarebbe prestato all’eliminazione di De Mauro? Il suo interessamento al lavoro del giornalista, per la Corte di Palermo è “duplice”: da un lato l’ex senatore, “si riprometteva di strumentalizzarlo in chiave anti-Cefis”; dall’altro la collaborazione prestata a De Mauro gli avrebbe offerto “un osservatorio privilegiato per orientare la sua inchiesta e indirizzarla con opportuni suggerimenti, secondo la propria convenienza”. Questo “fino al momento in cui si è reso conto che il cronista, pur fidandosi ancora di lui, era troppo prossimo a scoprire la verità: e a quel punto doveva essere eliminato”. Con la complicità di Vito Guarrasi? Forse nei confronti del mister X c’è solo un debole “fumus indiziario”. Ma se c’entra Guarrasi, “c’entra due volte Verzotto”. Solo lui poteva informare Guarrasi dell’evoluzione del reportage, e solo lui poteva farsi consegnare il materiale del “dossier Mattei” a lavoro finito. Solo lui, in sostanza, poteva approfittare della buona fede di un cronista onesto.

 

 

Box: Il verbale del produttore Notarianni

LE RETICENZE DI CONTRADA

Poche ore prima di scomparire, Mauro De Mauro parla al telefono con Pietro Notarianni, produttore cinematografico della Vides, e gli assicura di aver ultimato il lavoro che il regista Francesco Rosi gli aveva commissionato sugli ultimi due giorni di Enrico Mattei in Sicilia. “Mi aveva assicurato di avere completato il lavoro e che me lo avrebbe fatto pervenire immediatamente” ha detto lo stesso Notarianni ai pm di Pavia. Solo che poco dopo la scomparsa del giornalista, Notarianni non racconta agli inquirenti di quell’importante telefonata in cui De Mauro gli anticipava la spedizione della sceneggiatura. O meglio: quella circostanza della chiamata con De Mauro poco prima che il giornalista sparisse non è contenuta nel verbale di interrogatorio stilato dall’allora commissario della Mobile, Bruno Contrada, volato a Roma per interrogare il produttore, il 29 settembre 1970. Notarianni è certo di averne parlato: “Rammento di avere precisato tale circostanza anche al dottore Contrada per cui o non ci siamo intesi o vi è stato un errore nella trascrizione delle mie dichiarazioni. Mi stupisce in quel verbale siano state riportate delle circostanze così vistosamente difformi dal vero”.  Quella raccontata da Notarianni è un’informazione fondamentale: vuol dire che De Mauro aveva effettivamente concluso il suo lavoro su Mattei, e aveva messo nero su bianco il segreto dietro la morte del presidente dell’Eni. Nel verbale di Contrada quell’informazione manca, facendo venir meno la certezza che De Mauro avesse ultimato il lavoro su Mattei. Secondo la Corte palermitana, nella testimonianza di Contrada emergerebbero “incongruenze, contraddizioni e palesi reticenze emerse nel corso delle deposizioni”, tali da chiedere alla Procura d’indagarlo per falsa testimonianza. L’ex numero 3 del  Sisde – condannato a 10 anni per concorso esterno a Cosa Nostra – ha anche negato davanti alla Corte che vi siano mai state interferenze o pressioni per rallentare o deviare le indagini sul sequestro di Mauro De Mauro. “Alla Procura di Pavia – annota la Corte – aveva detto che forse avrebbe potuto obbedire ad un simile ordine calato dall’alto”.

Giuseppe Pipitone

 

Box: IL MISTERIOSO UFFICIALE DEI CARABINIERI

Nell’ultimo foglio di appunti di De Mauro ritrovati sulla sua scrivania nella sede de “L’Ora”, c’è una frase che la Corte di Palermo giudica importantissima: “Due telefonate ad ‘eroporto’ (sta per “aeroporto”) Fontanarossa per ‘allontare’ (sta per “allontanare”) il pilota del reattore”. La frase è un’allusione evidente al sabotaggio dell’aereo di Mattei. L’episodio, descritto per la prima volta nel libro di Bellini e Previdi “L’assassinio di Enrico Mattei”, aveva colpito De Mauro che aveva sottolineato proprio le pagine che ricostruivano il sabotaggio operato da un capitano dei carabinieri e da due sedicenti tecnici. Ma nel libro si parla di una telefonata, mentre nell’appunto del giornalista le telefonate diventano due. De Mauro conosce anche la presunta identità del sedicente ufficiale, il capitano dei carabinieri Glauco Grillo. Un capitano dell’Arma che risponde a questo nominativo esisteva veramente nel settembre del ’70: non lavorava in Sicilia, ma nella tenenza di Chivasso. A fare il nome di Grillo sarà anche il giornalista Giuliano Crisalli in un articolo sul “Messaggero” del 26 settembre 1970.  Crisalli spiegherà di aver saputo la storia del capitano Grillo da alcuni giornalisti de “L’Ora”, che l’avevano sentita proprio da De Mauro. ma chi diede quella informazione a De Mauro? I carabinieri smentiscono di aver mandato qualcuno a ispezionare l’aereo. È possibile che De Mauro fosse entrato in contatto con una fonte dei servizi? Un ruolo di “double agent” avrebbe avuto il giornalista de “il Giorno” Giordano Bruno Lupetina, che nei giorni precedenti al sequestro de “L’Ora” era stato a Palermo e si era incontrato con lui.

Giuseppe Pipitone

 

Box: Le ipotesi sui contatti del presidente Eni

LA VARIANTE LIBICA

Cosa ha scoperto De Mauro nel suo dossier su Mattei? L’assenza di notizie sull’attività del presidente dell’Eni tra le 11 e le 14,30 del 26 ottobre 1962 è da considerarsi un indizio sulla possibilità che Mattei quel giorno abbia segretamente incontrato qualcuno a Palermo. Secondo ipotesi formulate in alcune veline dei servizi, e dal giornalista Pietro Zullino, autore di un documento intitolato “Variante libica”, il presidente dell’Eni “si sarebbe incontrato con uno o due emissari del governo libico per definire i dettagli di un progetto di colpo di Stato destinato a spodestare re Idris”.

Se il colpo di Stato fosse riuscito, Mattei avrebbe avuto l’esclusiva sui diritti di ricerca e sfruttamento del petrolio libico. Nell’appunto trasmesso alla Procura di Pavia nel 1996, Zullino si sofferma su “Graziano Verzotto e Max Corvo, faccendiere italo-americano, l’uomo che fu scelto da Earl Brennan per costituire la sezione dell’Oss che preparò lo sbarco alleato nell’isola”. Dice ora la Corte di Palermo che o Zullino è la fonte dell’analista dei Servizi o è vero il contrario, a meno che non si tratti della stessa persona.

Ma “se era vero che l’input per uccidere Mattei era venuto dalla Cia e dalle ‘Sette sorelle’, l’attentato doveva essere realizzato con la complicità di apparati italiani, ed è questa – secondo i giudici – l’inconfessabile verità che De Mauro aveva scoperto”.

Verzotto che sapeva di un ruolo di Guarrasi nel complotto, avrebbe mandato De Mauro proprio da Guarrasi, come “strumento di pressione per indurre la dirigenza Eni a ritirare il veto al progetto di metanodotto tra la Sicilia e l’Algeria”.

Secondo Zullino, però, De Mauro non sapeva che Guarrasi fosse “agente della Cia”; quest’ultima osteggiò il progetto di spodestare re Idris, decidendo di uccidere il presidente dell’Eni. Zullino dice che sapeva e non parlò il presidente della Regione Sicilia Giuseppe D’Angelo, che rifiutò di accompagnare Mattei nell’ultimo volo.

Potrebbero sapere e non parlare anche Guarrasi e Verzotto. La Corte condivide il ragionamento “se riferito in generale alla prove dell’esistenza di un complotto per eliminare il presidente dell’Eni, ma non necessariamente inquadrato nell’ottica della variante libica”.

Giuseppe Pipitone

 

Andrea Montella, La coppola imperialistaultima modifica: 2012-08-27T14:47:05+02:00da mangano1
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