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PIANETA TERRA E MESSAGGIO EVANGELICO. “Lezioni americane” (Italo Calvino) ….
DAGLI STATI UNITI DI OBAMA, UNA LEZIONE DI CARITA’ (“CHARITAS”) PER BENEDETTO XVI E PER I VESCOVI. La scelta “sociale” dei cattolici e la sconfitta di Ryan. Una nota di Massimo Faggioli con alcuni appunti
Dai risultati elettorali della notte del 6 novembre potrebbe sembrare che gli Stati Uniti hanno rieletto un candidato additato dalla gerarchia cattolica americana come la maggiore minaccia alla libertà religiosa dei cattolici. Da domani i vescovi americani ripartono da zero: per riconquistare la politica americana, e per ricominciare a parlare con la loro chiesa.
a c. di Federico La Sala
– Usa, Obama si conferma presidente:
– “Per noi il meglio deve ancora venire”
– Romney lo chiama: “Lavoriamo uniti”
– Barack Obama si è confermato presidente: immediata è esplosa la gioia a Chicago,alla sede dei democratici
– Il presidente si aggiudica almeno 285 grandi elettori
– ma nel voto popolare sostanziale parità al 49% *
ROMA Barack Obama ce l’ha fatta. Non sarà un presidente da un solo mandato, l’incubo che lo perseguitato in questi mesi di durissima campagna elettorale. Sarà lui a guidare l’America per i prossimi quattro anni. «Four More Years»: è stato ancora una volta uno slogan vincente a trascinarlo alla vittoria, come il «Yes We Can» del 2008. «Finirò quello che ho iniziato. Il meglio deve ancora venire», esulta rivolgendosi ai sostenitori in delirio: da Chicago, dove si trova il suo quartier generale, a New York, dove Time Square è gremita di gente in festa. Fino a Washington, dove la folla esulta davanti alla Casa Bianca. Proprio come quattro anni fa.
Eppure all’Election Day si era arrivati con un serratissimo testa a testa tra lui e Mitt Romney – quello sancito da tutti i principali sondaggi – che lasciava presagire una nottata elettorale difficilissima. Qualcuno agitava lo spettro del riconteggio dei voti in alcuni Stati in bilico – come in Florida nel 2000 – altri addirittura ipotizzavano uno storico pareggio.
Invece per Obama è filata via più liscia del previsto. E alla fine non è servito nemmeno aspettare il risultato del «Sunshine State»,la Florida, e nemmeno quello della cruciale Virginia. A rivelarsi decisivo – come ci si attendeva alla vigilia – è stato l’Ohio. Vinto questo Stato è bastato aspettare i risultati degli Stati della West Coast (dalla California a quello di Washington), e la soglia dei 270 elettori necessaria per l’agognata è stata superata.
Romney, che ha conquistato gli Stati del sud e ha confermato il testa a testa nel voto popolare, ha regalato un po’ di suspense. Non ha concesso immediatamente la vittoria. Dopo l’annuncio di tutti i media, l’ex governatore del Massachusetts ha aspettato un’ora prima di far sapere che aveva chiamato Obama per congratularsi. «Auguro al presidente, alla First Lady e alle loro figlie ogni bene. Questi sono tempi molto difficili per la nostra grande Nazione», ha detto rivolto ai supporter riuniti nel quartier generale di Boston su cui già da parecchio era calato un silenzio di tomba. Niente a che vedere con la folle esultanza del MacCormick Center di Chicago, dove gli obamiani hanno rivissuto le emozioni del 2008.
Ed è un Obama versione 2008 quella che sale sul palco: di nuovo la stessa grinta, la stessa ispirazione, nonostante l’enorme fatica delle ultime settimane. «Torno alla Casa Bianca più determinato che mai», promette nel tripudio generale, assicurando come «l’America migliore deve ancora venire». Come molto probabilmente deve ancora venire l’Obama migliore, quello che in questo secondo mandato potrà agire senza più essere condizionato dalla prospettiva di una rielezione, di una nuova campagna elettorale all’orizzonte. Un Obama che potrà dare a questo punto il massimo di sé stesso e che dovrà dimostrare non non fare promesse solo a parole, come insistentemente lo hanno accusato Mitt e i repubblicani .
Il presidente sa che non sarà facile far fronte alle promesse ancora rimaste evase. Gli americani gli hanno riconsegnato un Congresso spaccato, con la Camera ai repubblicani e il Senato ai democratici. Ma tende la mano e promette di lavorare per trovare «quei compromessi necessari per portare il Paese avanti». «Lavorerò con Romney – assicura – lavorerò con i leader di entrambe gli schieramenti per affrontare quelle sfide che possiamo risolvere solo insieme». A partire da quella del crescente debito pubblico e da quella della crescita e dell’occupazione: «L’economia si sta riprendendo», ha detto, sottolineando come manchi comunque ancora molto lavoro da fare. Lavoro che – è il suo appello – potrà essere compiuto se tutti si impegneranno a lavorare nella stessa direzione, quella dell’interesse generale del Paese, mettendo da parte il cinismo e le partigianerie.
Intanto l’America, il giorno dopo l’Election Day, fa passi avanti anche su alcune spinose questioni sociali. E grazie ai referendum svoltisi in concomitanza del voto si legalizzano le nozze gay nello Stato del Maine e l’uso della marijuana, anche per fini ricreativi, in Colorado e nello Stato di Washington. (Ansa)
* * La Stampa, 07/11/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2012 16.36
Titolo:Il presidente dei vescovi cattolici USA …
Il cardinale di New York per il GOP
di Massimo Faggioli (Europa, 24 agosto 2012)
Il cardinale di New York Timothy Dolan, presidente dei vescovi cattolici americani, pronuncerà una preghiera di benedizione alla convention repubblicana dell’inizio della settimana prossima in Florida, proprio nella sera in cui Mitt Romney riceverà la nomination dal partito. Il portavoce del cardinale Dolan si è affrettato a precisare che l’apparizione del presidente della Conferenza episcopale sul palco del GOP non è un “endorsement”, un appoggio al ticket repubblicano. Ma è chiaramente un “non-endorsement endorsement” (analogo a quelle “scuse non-scuse” che si fanno dicendo “non era mia intenzione offendere nessuno, se ho offeso qualcuno”).
La decisione è senza precedenti storici*, e non perché violi la “separazione tra Stato e Chiesa” in America – una separazione che non impedisce a politica e religione di combinarsi come in nessun altro paese occidentale. È senza precedenti perché prassi vuole – non senza buoni motivi teologici – che sia semmai il vescovo locale (e non il presidente di tutti i vescovi americani) ad offrire una preghiera per un evento pubblico-politico di questo tipo.
Il presidente dei vescovi americani che prega alla consacrazione politica del candidato repubblicano alle presidenziali non è di certo solo “un sacerdote che va alla convention per pregare”, come hanno tentato di dire in maniera tutt’altro che ingenua dalla curia di New York. La precisazione del portavoce di Dolan sembra voler dire che il cardinale è aperto anche ad un invito dei democratici alla loro convention di inizio settembre a Charlotte: ma dopo i rapporti tempestosi degli ultimi due anni tra vescovi e Obama, il messaggio di Dolan alla convention dei democrats potrebbe essere molto diverso dalla benedizione rivolta al duo Romney-Ryan.
Nei tre anni da arcivescovo di New York, Dolan ha più volte mostrato di non aver paura di sfidare le prassi consolidate: il funzionamento della Conferenza episcopale, i rapporti coi media, e i rapporti tra chiesa cattolica e politica e con l’amministrazione Obama in particolare.
Contro la Casa Bianca, nella primavera-estate 2012 i vescovi guidati da Dolan hanno mosso una campagna senza precedenti in nome della difesa della libertà religiosa, a loro dire violata da alcune norme della riforma sanitaria che sta per entrare in vigore.
La mossa di Dolan si avvicina molto ad un’investitura del ticket Romney-Ryan. Contrariamente al cattolico Joe Biden, uno degli ultimi “cattolici sociali” vecchia scuola, il candidato alla vicepresidenza Paul Ryan è il tipo di cattolico che piace a Dolan e al cattolicesimo neo-conservatore e neo-liberista americano. Pro-life e pro-business, distante dal magistero sociale dei vescovi americani degli anni ottanta, il giovane Ryan ha ricevuto pubbliche parole di elogio dal cardinale Dolan, mentre nell’aprile scorso una commissione dell’episcopato americano aveva bocciato il “piano Ryan” per la riduzione del deficit con queste parole: “la riduzione del deficit deve proteggere e non danneggiare le necessità dei poveri e dei vulnerabili. I tagli proposti falliscono in questo minimo requisito morale”.
La decisione di pregare sul palco del GOP a Tampa avrà molteplici conseguenze. Dal punto di vista ecclesiale, la mossa di Dolan dividerà ulteriormente la chiesa americana, che già vede, quando si tratta delle emergenze sociali del paese, i cattolici schierati su posizioni opposte: gran parte dei vescovi e i cattolici neo-liberisti col Partito repubblicano, e la maggioranza dei teologi, delle suore e dei laici col Partito democratico.
Dal punto di vista politico, Dolan espone la chiesa cattolica americana nei confronti di un partito e di un ticket presidenziale come non mai prima: c’è solo da immaginare quale tipo di relazioni si avrebbero tra Dolan e la Casa Bianca se Obama dovesse rivincere le elezioni.
Dal punto di vista culturale, infine, le elezioni del 2012 segnalano un passaggio epocale verso l’epoca post-protestante: non solo non c’è nessun protestante bianco in nessuno dei due ticket, ma la questione religiosa della campagna elettorale non ruota più attorno al valore morale della Bibbia, ma attorno alle interpretazioni della dottrina sociale della chiesa cattolica nella società americana.
Circa un secolo fa, l’America usciva dall’era dei “robber barons” e della “gilded age” per diventare, anche grazie al magistero sociale della chiesa cattolica e al “social gospel” protestante, un paese meno ineguale e con un sistema di protezioni sociali che il GOP ha deciso oggi di eliminare in nome di un “vangelo della prosperità” che suona molto più Gordon Gekko che Gesù di Nazareth. Il cardinale Dolan, prete cattolico con un dottorato in storia, lo sa certamente, ma ha deciso che la cultura liberal del Partito democratico è il vero nemico della chiesa americana e che per combatterla ogni mezzo è legittimo. Si può contare sul fatto che questa dichiarazione di guerra sarà ricambiata dall’altra metà del paese contro i vescovi, con conseguenze di lungo periodo che oggi sono difficilmente calcolabili per i fedeli della chiesa cattolica più grande d’Occidente.
* (errata corrige: c’è un precedente storico. Il cardinale Krol, presidente dei vescovi USA, fece lo stesso alla Convention repubblicana del 1972 per Nixon)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/11/2012 11.37
Titolo:La Chiesa americana, con l’appoggio papale, è scesa in campo …
La Chiesa delusa Aveva puntato sui valori di Mitt
Aborto e sanità obbligatoria, i “peccati” di Obama
di Andrea Tornielli (La Stampa, 8.11.2012)
Benedetto XVI ha inviato un messaggio a Obama, pregando Dio «perché lo assista nelle sue altissime responsabilità di fronte al Paese e alla comunità internazionale» e perché «gli ideali di libertà e giustizia» che hanno guidato i padri fondatori «continuino a risplendere nel cammino della nazione».
Il portavoce, padre Federico Lombardi, ha aggiunto l’augurio che il Presidente «possa servire il diritto e la giustizia» nel «rispetto dei valori umani e spirituali essenziali, nella promozione della cultura della vita e della libertà religiosa». Accenni non casuali, dato che negli ultimi mesi proprio su questi temi a Obama erano arrivate le critiche accese dalla nuova leadership dei vescovi Usa di nomina ratzingeriana.
L’atteggiamento della Santa Sede appare ben più cauto rispetto al novembre 2008. Allora, appena eletto Obama, «L’Osservatore Romano» titolò: «Una scelta che unisce». Il quotidiano vaticano, accusato dai prelati Usa di troppo entusiasmo, oggi invece sottolinea che «l’ondata di speranza in un cambiamento radicale montata quattro anni fa è ormai esaurita».
Nei sacri palazzi abita una pattuglia di prelati americani che speravano nella vittoria di Mitt Romney: il cardinale Raymond Burke, Prefetto della Segnatura, noto per le sue posizioni contrarie a Obama; l’assessore della Segreteria di Stato, Peter Brian Wells e il Prefetto della Casa Pontificia, James Harvey. Contrari anche due porporati curiali ormai pensionati, Bernard Law e James Stafford.
Con Obama il Vaticano ha molte consonanze sulla politica internazionale: la lotta alla povertà, il dialogo con l’Islam, la ricerca di soluzioni diplomatiche per le crisi in Siria e in Iran e la questione palestinese, la gestione dell’immigrazione.
Ma per Benedetto XVI e i suoi collaboratori in Segreteria di Stato rimane imprescindibile il richiamo ai valori «non negoziabili». Non a caso, ricevendolo nel luglio 2009, Ratzinger donò a Obama copia dell’istruzione «Dignitas personae», dedicata alla bioetica e alla dignità da riconoscere a ogni essere umano fin dal concepimento.
La Chiesa americana, con l’appoggio papale, è scesa in campo massicciamente.
Il cardinale di New York Timothy Dolan ha definito «sconsiderata» la decisione di rendere obbligatoria anche per le associazioni religiose l’assicurazione sanitaria per i dipendenti, che comprende rimborsi per la contraccezione e l’aborto. Il cardinale di Chicago Francis George ha invitato il clero a «istruire» i fedeli alla vigilia del voto.
Il vescovo Daniel Jenky ha chiesto ai preti di leggere dal pulpito una lettera anti-Obama, mentre l’arcivescovo di Baltimora, William E. Lori, ha bollato la riforma sanitaria come «minaccia alla libertà religiosa».
Una battaglia che ha trovato sponde anche al di qua dell’Oceano, come quella della Fondazione «Giovanni Paolo II per il Magistero sociale» presieduta dal vescovo di San Marino Luigi Negri, che ha diffuso una nota augurandosi che il popolo americano «non abbia a pentirsi» della scelta.
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Dottrina della fede secondo Ratzinger
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