omaggio a Michele Ranchetti, morto ieri

33455fd4afd679c4480eb3a43006e01e.jpgPRAEVALEBUNT Michele Ranchetti 1.”Se sbalio, corriggitimi” sono state forse le prime parole pubbliche pronunciate ‘nel suo triste italiano’ dal pontefice Carol Woytila appena eletto con il nome di Giovanni Paolo II. Ha sbagliato. Non è stato corretto. E chi mai avrebbe potuto farlo? Esempio ‘perfettissimo’ di quella teologia del primato che si inaugura e si perfeziona a partire dal pontefice Pio IX, giustamente, in essa, proclamato beato in questi giorni, il pontefice, vicario di Cristo, capo appunto di quella Chiesa, non disponeva per principio di alcuna possibilità di vedersi corretto da nessuno; non poteva che sbagliare da solo, forte del dogma dell’infallibilità, in materia di fede e di costumi, che quel suo predecessore aveva proclamato nel corso di un concilio ridotto all’impotenza dalla sua personalità autocrate e disturbata. Non poteva essere corretto da cardinali, neppure adunati in concilio, perché la sua volontà, legittimata ‘di per sé e non dal consenso della Chiesa’, si voleva suprema. Non poteva neppure, ovviamente, essere corretto dai laici. I laici, distinzione di ceto che ha senso solo all’interno di una concezione ecclesiastica della realtà (di qui, anche di qui, la loro impotenza religiosa e la loro inesistenza come ceto nella vita civile), nel tempo della crescita e del fissarsi di questa ecclesiologia, non avevano alcuna autorità per opporsi o almeno per far sentire la propria voce, sia pure ‘consultiva’, ridotti al ruolo di osservatori non addetti ai lavori del ceto sacerdotale.I tentativi di costruire una teologia del laicato, o di riconoscere le realtà terrestri, generosi e ispirati, non avevano ottenuta che una scarsa eco, relegati nell’ambito di quella ‘esperienza religiosa’ che il ceto sacerdotale e le autorità della Chiesa istituzionale e gerarchica hanno sempre visto come il nemico per eccellenza, perseguitandola nelle sue forme più visibili, o consentendole di vivere in piccole serre di colture esotiche, primizie di una fioritura improbabile e non necessaria. Gli ‘intellettuali’, poi, già ben prima, dai tempi della Controriforma, erano stati esclusi dalla ‘dottrina’, oltre che dalla istituzione ecclesiastica. tentativi consentiti, se mai, nelle strutture, anch’esse ‘regolate’, degli ordini religiosi e delle confraternite, dove le forme di una diversa spiritualità o anche solo di un differente ‘sentire’ religioso, potevano trovare un riconoscimento soprattutto nell’accezione di una sorta di ‘vivaio’ per gli sviluppi futuri dell’istituzione – sorta di minoranze e di varianti consentite dalla tolleranza romana.Dalla proclamazione del dogma dell’infallibilità papale, che interrompe i lavori del Concilio Vaticano I, ad oggi, infatti, la teologia e soprattutto la ecclesiologia del primato di Pietro, primato di giurisdizione e di verità, si è perfezionata sino a conseguire, nell’insopportabile e tragico presente della Chiesa di Roma, il suo compimento nella figura di un pontefice sofferente che si esibisce dagli schermi televisivi e che viene osannato ‘di per sé e non dal consenso della Chiesa’ da milioni di giovani in festa, non si sa di chi e perché, una festa che assomiglia sin troppo al tripudio della folla ebraica al vitello d’oro, in assenza di Mosè e della legge dettata da Dio. Giovani di cui difficilmente si potrebbe riconoscere il carattere, la natura religiosa, la ‘differenza’ religiosa, appunto, da quelli che si radunano in occasione di concerti, giovani che si comunicano in massa e che, sembra, non abbiano tempo né desiderio di meditazione, accorsi a ‘vedere’, quasi che il pontefice avesse aggiunto, alla prerogativa della infallibilità, quella della visibilità come dono e come nota caratteristica della Chiesa Romana. Questi giovani, del resto, non amano essere interrogati sulle ragioni della loro presenza a Roma. Se interrogati, le loro risposte sono scoraggianti, banali, anodine: la ragione della loro presenza a Roma è simpliciter la loro presenza a Roma. La tautologia è la loro dialettica, così come l’asserzione è la dialettica dell’istituzione ecclesiastica: il discorso religioso, la stessa dottrina cattolica, è quasi inesistente o consiste in una serie di proposizioni non discusse, non discutibili, semplicemente affermate: sono le ‘tesi’ catechistiche quali esse figurano nel catechismo di Pio X, dei primi del secolo, riproposto identico da Comunione e Liberazione nel 1993: chi è Dio, etc. La Chiesa, in quel catechismo, è la chiesa docente, non si parla della chiesa discente. L’infallibilità papale è assoluta. La semplificazione della ‘verità’ religiosa a poche proposizioni costituisce evidentemente tutto ciò di cui questi giovani hanno bisogno: la meditazione, la stessa spiegazione in nota, non li riguarda. Le cose stanno così, il dubbio è opera del Diavolo.2.Qualcosa di simile al rifiuto odierno di riflessione e soprattutto di asserzione di un’autorità assoluta si era verificato agli inizi del secolo scorso. Allora, nei confronti di un movimento all’interno della Chiesa, un movimento ancora sul nascere, composto da religiosi, da membri del clero cattolico e di laici, i quali nella ricerca, nella riflessione e nell’esperienza religiosa si proponevano di rinnovare dall’interno l’apologetica, la liturgia, la conoscenza della verità del cristianesimo interrogandone le fonti, correggendo gli errori esegetici della tradizione, l’autorità religiosa era intervenuta spietatamente: non aveva neppure ritenuto di controbattere esegesi a esegesi, filologia storico-critica a filologia: si era limitata a condannare gli ‘eretici’ e ad affermare se stessa come autorità, i cui pronunciamenti, per quanto aberranti (quale quello sulla autorità mosaica del Pentateuco) dovevano essere accolti per veri, anzi obbediti per veri. In un secondo momento, aveva raccolto i timidi esordi dei pochi isolati esponenti di quella ricerca in un sistema dottrinale, costruito da essa, mirabile per rigore intellettuale quanto estraneo e ostile a quanto di proprio e di nuovo figurava negli scritti dei ‘modernisti’. Parallelamente, questa stessa autorità iniziava una persecuzione capillare spietata contro quei singoli, affidata a membri del clero, alcuni dei quali, coerentemente, sarebbero poi divenuti membri autorevoli dell’OVRA. Alcuni di loro hanno cercato di opporsi frontalmente (Buonaiuti, Tyrrell), entrambi scomunicati, altri hanno taciuto, altri ancora (Semeria) hanno scelto la carità e le opere di bene. Il loro persecutore, il buon parroco di Riese, Pio X, è stato fatto santo.Nei primi anni di quel secolo, tuttavia, esisteva ancora, anche in Italia, una certa cultura religiosa. Fra i ‘modernisti’ e alcuni ‘intellettuali’, come Fogazzaro e von Hugel, i due Giacosa, Giovanni Boine, Piero martinetti, era esistita una sorta di fratellanza e di alleanza: i temi della riflessione religiosa (in particolare la composizione del grande dissidio fra scienza e fede provocato dalle dottrine di Darwin, la possibilità di accordare il pragmatismo anglosassone con l’apologetica di Blondel per sfuggire alle strettoie della filosofia perenne) erano temi comuni. Anche pochi anni più tardi, dopo la chiusura delle facoltà teologiche, negli istituti superiori di cultura, Martinetti, appunto, e il giovane Banfi ponevano i problemi religiosi ed etici accanto a quelli epistemologici, valendosi della loro curiosità intellettuale e della conoscenza, talvolta diretta, della riflessione filosofica francese e tedesca. Persino durante la fioritura dell’idealismo, malgrado e forse proprio per la duplice condanna dei ‘modernisti’, da parte della Chiesa Romana e di Gentile, erano proseguiti studi di storia religiosa, almeno sino alla prima guerra mondiale, e alcuni membri dell’odiata setta degli eretici erano stati accolti nelle università dello stato. Ma poi, appunto, era venuta la guerra, la ‘inutile strage’ secondo un pontefice che nessuno ricorda, perché non corrisponde al disegno di occupazione del potere religioso e civile da parte della Chiesa Romana e dei suoi vicari di Cristo. E con la guerra e dopo la guerra, il fascismo. E con il fascismo un pontefice che poteva riprendere il programma interrotto dalla guerra e dal suo predecessore, componendo un’alleanza tragica e coerente fra le ‘aspirazioni’ del fascismo e la struttura della Chiesa visibile, un’alleanza non di comodo ma basata su ragioni ben più gravi e profonde: la conflittualità fra Azione Cattolica e Gioventù Fascista è conflittualità fra simili, una guerra fra apostolati nella conquista di un laicato che ha come sua sola ‘competenza’ quella dell’azione di conquista delle anime. I Patti Lateranensi sanciscono questa alleanza.3.Per alcune anime bennate, in particolare per alcuni, molti, esponenti della borghesia, in perfetta buonafede, la Conciliazione ha rappresentato un grande valore. Essi ritenevano che le ragioni del dissidio fra Chiesa e Stato fossero state vinte e superate grazie a due uomini della provvidenza: i due ordini, il sacro e il profano, potevano quindi precedere paralleli adempiendo ciascuno alla sua vocazione. Ma cosa mai fosse l’ordine religioso e come potesse comporsi con quell’ordine civile, e soprattutto cosa mai fosse o potesse essere il sacro, nella sua violenza e nella sua estraneità alle ragioni della ragione, questo non sembra che potessero saperlo, o almeno non vi è traccia di una resistenza ‘religiosa’ all’interno dei due schieramenti. Così, l’alleanza fra due dittature era vissuta come conciliazione fra i due momenti costitutivi della vita del singolo: il credere e l’operare, la stessa appartenenza ai due mondi, antica accusa e vulnus per la presenza dei ‘cattolici’ nella vita politica e civile, non sembrava più aver senso: prevaleva la perfetta integrazione fra essi. E a confermarla, a contribuire alla solidità della sutura, con rilevante zelo contribuiva l’insegnamento della Università Cattolica del Sacro Cuore.Si è sempre detto, ed è vero, che l’università cattolica avrebbe poi fornito il ‘personale politico’ che si sarebbe sostituito al ‘personale politico’ fascista, alla fine della guerra: e così è stato. Ma questi ministri, educati dall’università cattolica, avevano dovuto pronunciare il giuramento antimodernista, imposto ad ogni laureando e, se non erano, come molti non erano, dei puri e semplici opportunisti pronti a giurare qualsiasi cosa pur di accedere al potere politico, si erano dovuti impegnare ad un’osservanza disciplinare, ad una particolare e precisa confessione di fede e a un rifiuto, ascriversi cioè ad una Chiesa che si era compromessa dottrinalmente con il fascismo, ne era stata alleata in Italia ed era accorsa nel 1933 a firmare un concordato con Hitler appena asceso al potere, avallando, con la propria autorità, la nascente ‘rivoluzione nazista’ e assicurando al proprio gregge la liceità del riconoscimento di un regime criminale. Quei ministri, dunque, avevano garantito la continuità di quella chiesa fascista e certo non antinazista, che non aveva mai rotto con il fascismo prima e durante la guerra, che non aveva mai creduto di pronunciare una condanna chiara e limpida dei crimini commessi dalle due dittature. Che, durante l’Olocausto, di cui era perfettamente a conoscenza, era stata zitta, forse giudicando che il suo silenzio fosse infallibile.4.Di quella Chiesa, nel giugno 1943, in piena guerra, il sovrano pontefice Pio XII aveva data una nuova definizione nell’enciclica “Mystici Corporis”. Non più società perfetta, o non solo, ora la Chiesa veniva definita corpo mistico di Cristo, mentre al vicario in terra era dovuta un’obbedienza assoluta: era un passo in avanti, compiuto al momento della più grave tragedia del secolo: i fedeli, dovunque si trovassero, erano invitati a pregare, a rendere omaggio al suo capo visibile, il quale riaffermava con forza la neutralità della Chiesa nei confronti delle parti in lotta. Così facendo, liberava la Chiesa visibile, se stesso come suo capo visibile, da qualsiasi forma di inferenza e di responsabilità, di qualsiasi giudizio, ponendosi al di sopra della responsabilità collettiva dei crimini. Il suo silenzio era quindi giustificato teologicamente, corrispondeva ad un’esatta esecuzione del disegno divino che aveva costituito la Chiesa come corpo mistico. Questa concezione, ribadita con forza e infarcita di citazioni patristiche, metteva la Chiesa al riparo da qualsiasi successiva imputazione. Di fatto, lasciava che i morti seppellissero i loro morti, ebrei, musulmani, protestanti, non importa. Quanto ai vivi, avrebbe provveduto in seguito, a strage fatta, a salvarne alcuni, indipendentemente dai loro crimini o meriti: sarebbero divenuti ‘prossimo’ in Argentina. Naturalmente, date le circostanze e i disagi della guerra – difficoltà di far pervenire la posta e i giornali sui campi di sterminio – ben pochi esemplari della enciclica si sarebbero ritrovati nei tascapani dei soldati impegnati in altro. Peccato, essi avrebbero potuto sapere di essere parte di un corpo mistico (sia pure in posizione molto subalterna) e di appartenere ad una Chiesa superiore ad ogni distinzione terrena. Alla ripresa della vita civile e religiosa, lo stesso pontefice continuava nell’esercizio del suo ministero, i cui atti più rilevanti sarebbero stati la scomunica del comunismo (e dei comunisti), il nemico per eccellenza più pericoloso del nazismo ora sconfitto, e la proclamazione del dogma dell’assunzione della Vergine, anche questo un atto di imperio non del tutto suffragato dalla tradizione, ma le cui ‘conseguenze’ evidentemente non sembrava rivestissero un’importanza particolare, riguardando il dominio delle credenze popolari, l’ambito cioè cui erano affidati riti, superstizioni e misteri. Seguendo gli atti di quel pontificato ricchissimo di interventi di ogni tipo, si ritroveranno alcune concessioni alla critica storica (relativamente alla autenticità dei libri mosaici, ad esempio, prima asserita contro i modernisti) e altro, concessioni, appunto, come di chi, disponendo di un potere assoluto, consente ai suoi sudditi alcune libertà in fondo inutili, rispetto alla propria verità – verità minori, filologiche, storico-critiche, del tutto trascurabili.Ben più rilevante l’articolo della Costituzione repubblicana che di fatto ripristinava il concordato. Così, nulla era avvenuto, la Chiesa Cattolica apostolica Romana e il nuovo Stato repubblicano potevano procedere parallelamente nell’esercizio del potere: la religione cattolica rimaneva prevalente, la guerra di religione, temuta da Togliatti, non c’era stata, ancora una volta, la seconda volta, una Riforma, tanto meno una rivoluzione.5.Una riforma della Chiesa era sembrato promettere l’annuncio imprevisto della convocazione di un concilio da parte del successivo pontefice Giovanni XXIII. Si è creduto, da parte di molti, molti più di quanti fossero tradizionalmente interessati alle cose di Chiesa, che stesse per succedere ‘un evento’, che la Chiesa cattolica Apostolica Romana stesse per compiere un atto che non fosse puramente amministrativo del suo depositum fidei, ma che volesse intervenire nella sua stessa storia ponendo in discussione collegiale, ecumenica, il suo itinerario nella vita presente dei popoli e delle nazioni, e non solo, quindi, nel suo apparato. E stata una ‘speranza’ diffusa, capace di risvegliare una curiosità e un interesse non di parte, o almeno non solo di parte cattolica. La stessa appartenenza, ereditata con gli anni, al cattolicesimo, la sequela delle scadenze della vita dei singoli, battesimo, cresima, comunione, matrimonio, morte, sembrava riacquisire un senso nella prospettiva, ancora viva, malgrado l’irrigidimento delle forme disciplinari del magistero e la riduzione dei compiti all’assenso devoto ai superiori, della salvezza, della redenzione. Sembrava riproporsi un tempo della Chiesa, un tempo del credere; cui potevano prendere parte tutti, isolati credenti, come gruppi di fedeli, parrocchie e monasteri, in una comunanza che non pretendeva di essere riconosciuta come società perfetta o corpo mistico, ma si limitava a voler contribuire, in qualche modo, ad un proposito di rinnovamento, consapevole, nella sua esperienza civile e nella sua stessa esperienza religiosa, della necessità di prendere atto della tragedia che si era compiuta negli ultimi anni e dell’assenza in essa di una possibile giustificazione e di un suo possibile ordinamento nella storia della salvezza. Di un piano di Dio che potesse riconoscersi, che potesse essere fatto visibile.L’attesa verso il concilio non aveva carattere disciplinare; non si attendevano nuove leggi o regulae fidei magari più tolleranti: era, per così dire, un’attesa affettiva, parendo che il nuovo pontefice, che sarà chiamato, con bonomia riduttiva, il papa buono, avesse voluto corrispondere ad un bisogno di conciliazione, piuttosto che ad una precisazione di compiti e doveri religiosi. Del resto, come poteva quella autorità religiosa disconoscere che, per tutto il tempo della guerra e per i primi anni difficili della pace e della ricostruzione, non si era manifestata alcuna risposta alla sofferenza dei singoli e dei popoli che potesse ascriversi ad un ordinamento superiore o diverso dalle intelligenze della politica e dell’economia?I primi tempi del concilio sembravano corrispondere a questo proposito. Ne davano in certo modo conferma i primi documenti e soprattutto la partecipazione ai lavori che non sembrava ridursi ai resoconti offerti dalla stampa autorizzata, interna all’assemblea. Si parlava di concilio aperto, come se vi prendessero parte anche gli estranei, come se vi avessero anch’essi una competenza che superava i confini della distinzione fra chierici e laici. A distanza di quasi mezzo secolo, questa persuasione diffusa sembra davvero infondata, e a confermarlo stanno i testi delle costituzioni, appunto gli atti scritti del concilio, l’unica traccia visibile e certa. Anche le grandi encicliche del papa buono, ora beato, insieme con il suo predecessore Pio IX, ma non solo per l’abbinamento provocatorio, sembrano come svuotate di senso, prive di quel carattere innovativo e liberatorio che sembrava contraddistiguerle. rimaneva, e resta tutt’ora, ma con ben diversa figura, la definizione, approvata dal concilio, della Chiesa come popolo di Dio. Ma ora, a distanza di anni, e soprattutto di fronte allo spettacolo della Chiesa di Roma come si presenta su tutti gli schermi, a tutte le ore, inserita nelle notizie fra cui prevale con un’invadenza quasi insopportabile, ci si accorge che quel processo di riduzione della dottrina, di aggiornamento, come allora si diceva, del corpus delle verità della predicazione cristiana, ha avuto ben altre conseguenze che quell’apertura che sembrava promettere. In realtà i testi delle costituzioni offrono una traccia del tutto incerta, si contraddicono al loro interno, si rivelano come scritture composte, frutto di alleanze e di compromessi. In realtà sembra di potersi riconoscere che proprio il grande momento assembleare, il grande progetto di costituzione di una Chiesa capace di ricomporre l’idea e il significato del cristianesimo nella storia, si è rivelato impossibile, forse ormai insensato. Come se di fronte ad un presente storico in cui la traccia cristiana è difficilmente percepibile, la Chiesa, o almeno le sue strutture magisteriali, i suoi vertici, non avevano più quel compito riassuntivo e ordinativo che si erano ripromesse. Rimaneva allora una sola possibilità: prenderne atto, operare una drastica riduzione del depositum fidei, riaffermare alcuni principi elementari, offerti in formule tradizionali, non articolate, e pertanto non compatibili con le esegesi (ormai campo ‘non religioso’, e compito della cultura religiosa, non più dell’esercizio della fede) e offrire della Chiesa apostolica romana un’immagine semplice visibile, corporea: non ‘ragionare’ la fede, ma mostrarne un esempio, in atto, nella forma di un’istituzione che ha, come tutte le istituzioni, i suoi uffici, i suoi compiti, i suoi uomini, le sue sedi, il suo capo. La Chiesa Romana sarebbe così diventata quella chiesa romana che si vede, che si tocca. Di tutte le note caratteristiche che nel corso dei secoli e nella tradizione cristiana avevano distinto la Chiesa, si sarebbero fatte prevalere l’autorità e la visibilità. Con un processo, non visibile, di graduale assorbimento e annientamento dei modi di vivere ed esprimere l’esperienza religiosa, del cristianesimo in particolare ma anche di altre confessioni religiose, la Chiesa Cattolica Apostolica Romana avrebbe scelto e imposto se stessa come unica forma visibile, come struttura articolata di potere. L’atto più rilevante ed esplicito di questa teologia della presenza visibile è stato la richiesta del perdono. Salutata come un riconoscimento dei propri errori da parte di una Chiesa consapevole delle proprie debolezze, essa appare ora come la più esplicita affermazione della propria autorità assoluta che offre a se stessa il perdono, ai suoi membri incorsi in peccato, ma senza indicare né chi, né dove né quando, e senza alcuna forma di espiazione, senza alcuna penitenza visibile, riprende ed ostenta se stessa consentendo e provocando l’assenso e l’acclamazione del suo capo visibile, felicemente regnante. Questa Chiesa inoltre non ha alcun bisogno di mediazioni: essa è e vuole: vuole la beatificazione di tutti suoi capi, indipendentemente dalla storia ‘profana’, si appropria di tutti i martiri, costruisce un universo di santi a sua immagine e somiglianza, invade tutti i territori della vita politica, civile, religiosa, tutti gli schermi e le formule di imbonimento (quanti frati figurano come i migliori suggeritori di prodotti culinari, come se la loro competenza provocasse la vendita di prosciutti e biscotti), disattende qualsiasi forma di meditazione, di raccoglimento, sfoggia i suoi giovani, pronti ad acclamare un pontefice sofferente prima di accorrere ad acclamare un probabile capo del governo che, a sua volta, si presenta come esempio di virtù cristiane, davvero improbabili.6.Era necessario questo esito? È certamente coerente e corrisponde alla progressiva, forse ineludibile erosione della cultura umanistica a vantaggio delle nuove forme, anch’esse di cultura, dei nuovi strumenti che hanno, appunto, nell’immagine e nella disponibilità dei nuovi accessi all’informazione non mediata i propri caratteri. Una Chiesa come questa corrisponde anche, così sembra, all’abbandono, non detto ma praticato, del cristianesimo come religione in favore di una Chiesa visibile in cui si compendia la storia secondo il prologo della “Lettera agli Ebrei”. Senza alcuna forma di ossequio o di consenso, occorre prenderne atto.

omaggio a Michele Ranchetti, morto ieriultima modifica: 2008-02-06T19:51:13+01:00da mangano1
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