Daria Bignardi, Sofri è un nonno meraviglioso

da La stampa
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3/2/2009 – INTERVISTA A DARIA BIGNARDI
“Sofri è un nonno meraviglioso”

«Adoro mio suocero e so che è innocente, non voglio in trasmissione chi lo offende»
CLAUDIO SABELLI FIORETTI

Un paio di mesi prima del ritorno in televisione, con l’«Era Glaciale», per Rai2, Daria Bignardi, l’intervistatrice migliore che si aggiri nei meandri dell’informazione tv, sorprende tutti con un libro, «Non vi lascerò orfani», storia del suo rapporto con la mamma morta un anno fa. Libro sofferto, quasi una confessione, che potrebbe far pensare al solito volume strappato alla star di turno. E invece arrivano le recensioni, tutte entusiastiche. Goffredo Fofi, critico solitamente insofferente, dice: «E’ nata una scrittrice». Non resta che andare da Daria. Ma siccome non sono un critico, né buono né cattivo, parto dall’attualità. Sarà una chiacchierata tesa, vedrete, per nulla tranquilla, tra due amici che si stimano. Ma entrambi presuntuosi e scostanti. «Il conflitto nutre», sostiene Daria. Non vorrei ingrassare troppo.

Daria, vogliamo cominciare dal milione di euro di Bonolis?
«Oddio! Ma chissenefrega!».

Anche sui tuoi compensi si è discusso.
«Sì, ma tutte balle».

La prussiana Daria…
«Ma che prussiana. Sono cose vecchie».

Non sei più prussiana?
«E’ una cretinata che avevo detto otto anni fa. Devo dire proprio delle cose così scontate?».

Dimmi se sei prussiana e la finiamo lì.
«Ma non sono più una ragazzina che parla per slogan».
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Dalle risposte che hai dato al questionario di Proust risulta: che sei allegra e che non ti piacciono le tue cosce.
«Le cosce può essere. Ma l’allegria no. Ti deluderò ma in questo momento sono dentro la bolla del mio libro. Persino un cinico come te può capire quanto possa essere importante. Faccio fatica a risponderti su altre cose».

Prendo atto, non sei allegra.
«Il libro fa ridere. Quelli che dicono che hanno riso, sono quelli che mi danno più soddisfazione. Io non sono allegra però rido».

Al di là del libro…
«…di cui non ti frega niente…».

…il ricordo giovanile più forte?
«La casa dei nonni in campagna, a Castel San Pietro, dove passavo due mesi d’estate. Durante l’anno vivevo a Ferrara. Madre maestra, ansiosissima, che mi teneva sempre in casa: niente giochi. Però me la godevo. Ho letto una montagna di libri. Ma era una vita malinconica, non molto allegra. Invece, dai nonni: giardino, cugino, lucciole, correre in bicicletta, sbucciarsi il ginocchio».

Poi sei cresciuta…
«A 16 anni ho scoperto la politica e la società. Anni bellissimi, i più divertenti della mia vita, i cineforum, le occupazioni della scuola. Poi mi sono iscritta al Dams dove non mi sono trovata bene, anni Ottanta, un periodo un po’ dark…».

Tutta nera e piena di piercing?
«Piercing no. Ma nera sì. E ascoltavo i Pil, gli Ultravox, la cultura era quella, “meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”. E poi ho cominciato a lavorare…».

E il benessere…
«Ho lavorato duro tutta la vita. La mia famiglia non aveva molte possibilità economiche. Ho cominciato a guadagnare abbastanza bene solo a 40 anni. Mi irrito se mi dipingono come una snob da salotto. Mai entrata in un salotto in vita mia. O se citano i tacchi alti che metto in trasmissione, come fece Giuliano Ferrara quando lo intervistai sulla sua lista. Fu un’intervista tesa».

Altre interviste dure?
«Ma tu parleresti delle persone che intervisti»?

Sì, senza alcun problema.
«Io ci soffro quando mi mettono un’etichetta che non mi corrisponde. E quindi non voglio dare etichette agli altri».

Hai appena detto che sono cinico.
«Ma non ti posso definire con il termine “cinico”. Questo malcostume italiano che poi è soltanto cialtroneria…».

Alè… cinico… cialtrone… ma senza etichette…
«Ma no, non ti riguarda. Ho sempre detto che mi ispiro al tuo modo di fare le interviste».

Il primo amore lo ricordi?
«Certamente».

Era quello che somigliava a Fernandel?
«Non ne parliamo, è già abbastanza arrabbiato».

L’amore che ti ha fatto soffrire di più era quello di Stefano Eco.
«Possiamo non parlare di amore»?

Bisognerà pur parlare di qualcosa.
«Si era detto di parlare del mio libro».

L’ho letto nel tuo libro.
«Nel libro è marginale. Claudio, fatti stupire anche tu. Adesso faccio la maestrina antipatica: non fare l’intervista con l’idea che hai già di me. Fatti coinvolgere».

A me basta che parli.
«Va bene. Ma non mi va di parlare di amori».

Parliamo di nemici? Ricordo una grande litigata con Busi.
«Roba del pleistocene…».

Ti disse: puttana.
«Un libro mi ha cambiato la vita: il suo “Seminario sulla gioventù”. Busi avrà dato della puttana almeno a cinquecento persone».

Anche tu hai un linguaggio libero. Chiedi alla gente se bacia con la lingua…
«Sei proprio un signore di altri tempi».

Non ho mai sentito Vespa chiedere: «Lei bacia con la lingua»?
«L’ho detto una volta e lo rivendico».

Con Dolce & Gabbana avete parlato di puzze…
«Quando l’intervista era in fascia protetta stavo più attenta. Ho dei figli e mi dà fastidio il linguaggio scurrile. Dalle dieci e mezza in avanti parlo come nella vita».

Tipo la misurazione della virilità di Michele Cucuzza…
«Ma stai parlando di cose arcaiche…».

Due anni fa…
«Sei un po’ datato, te lo posso dire? Non sei aggiornatissimo».

Altro nemico: Paolo Martini, il critico televisivo.
«No».

Hai detto che è una mezza calza.
«Ma stiamo parlando di dieci anni fa».

La tua vita è divisa in due: fino a dieci anni fa e dopo.
«Non mi puoi tirare fuori queste cose. In quei tempi non ero assolutamente preparata alle arpie come te. Ero ingenua e se uno faceva il simpatico, mi aprivo. Adesso se uno fa il simpatico e poi scrive delle cazzate, non mi stupisco più perché so che voi fate così».

Voi chi?
«Pure tu hai fatto delle stronzate».

Tipo?
«Nel libro-intervista con Travaglio gli hai lasciato dire…».

Io non «lascio dire». Io faccio domande e registro risposte…
«Gli hai lasciato dire che io sono “interessata al potere”. Una cosa che non si può proprio dire di me».

Travaglio era rimasto sorpreso che quando cacciarono Luttazzi dalla 7 perché aveva attaccato Ferrara tu avevi difeso Luttazzi, ma anche la 7, e anche Ferrara…
«Tutti potevano essere difesi. Non è sempre tutto bianco e nero, esistono anche i grigi».

Avrei dovuto cassare la sua risposta?
«Tu che mi conosci potevi fargli qualche altra domanda, difendendomi. Invece tu scrivi quello che ti funziona. Io non lavoro così».

Tu come lavori?
«Io metto la cosa forte ma anche la cosa giusta. Cerco di essere morale nel mio modo di lavorare».

Quando intervistano te ho notato affettuosità e riverenza…
«Tu parti dal presupposto che nelle interviste ci devono essere cose forti…».

Perché no?
«Vedi, nel mio libro, di cui appunto non ti frega niente…».

Che strazio, Daria…
«Lascia che ti dica che cosa penso. Questo è un libro sincero, importante per me ma anche per molti che lo stanno leggendo. Magari gli interessa sapere più del libro che del milione di Bonolis, non credi»?

Berlusconi, Celentano, Tremonti, Di Pietro, D’Alema… hanno rifiutato di venire da te…
«D’Alema verrà, me l’ha promesso…».

C’è qualcuno che sei tu a rifiutare?
«Sì, ma non te lo dico».

Non lo scriviamo.
«E allora perché lo vuoi sapere»?

Sono curioso.
«Non te lo dico».

Io intervisto tutti.
«Non voglio gli anti-Sofri, chi infama mio suocero. Che è l’unico che sta pagando le responsabilità morali di una generazione intera».

Tu eri convinta dell’innocenza di Adriano Sofri anche prima di sposare suo figlio?
«Sempre».

Perché?
«Perché è innocente».

Motivazione insufficiente.
«Ho letto le carte dei processi».

Non hai fiducia nella magistratura italiana?
«Non tanta, no».

Che cosa vuol dire avere Adriano Sofri come suocero?
«Vuol dire che i tuoi figli hanno un nonno tenero e spiritoso. Che tu hai un amico caro. Che tuo marito ha un padre eccezionale e ingombrante. Luca va matto per suo padre. Tutti quelli che conoscono Adriano vanno matti per lui. E’ la persona più affettuosa e divertente e morale che abbia mai incontrato».

Ricordo che lo definivi antipatico, una volta.
«Quando uno non lo conosce… vede il lato professorale…».

Hanno detto che fai programmi solo per gente con tre lauree e il parquet…
«Io so per chi le faccio. Mi scrivono. Su Facebook si può conoscere il proprio pubblico. Ci sono quelli con tre lauree, ma c’è di tutto».

Dicono che usi Facebook solo per pubblicizzare il tuo libro. E se qualcuno ti critica gli togli l’«amicizia».
«Mai tolta l’amicizia su Facebook a nessuno. Ma con Facebook ci faccio quel che mi pare, come tutti. Mi interessa parlarne, certo, per sapere, per confrontarmi, come è naturale».

Neghi di essere snob. Sei nazional-popolare?
«In televisione tendo ad esserlo. Qualcuno ha detto: bisogna pensare che ci stia guardando un bambino di 12 anni, un addetto ai lavori, un amico, e un anziano. Io ci provo».

Te l’aspettavi la batosta della sinistra in Sardegna?
«Dopo l’intervista a Renato Soru mi hanno scritto centinaia di persone dicendo: abbiamo il nuovo leader del Pd. Per un attimo l’ho pensato anche io. Comunica senso di integrità al contrario dell’avversario. Mi ricorda Berlinguer».

Però ha perso.
«Infatti. La sconfitta o la vittoria non sono degli indici, però una sconfitta così forte qualcosa vuol dire».

Che cosa?
«Che non può essere lui il leader del Pd».

E Veltroni? Una volta hai detto: «Non mi è simpatico, ha l’aria molliccia di chi vuole andare d’accordo con tutti».
«Una banalità che avrò detto dieci anni fa».

Allora non conta.
«In campagna elettorale è stato bravissimo. Ma anche per lui non bastava».

Sei sempre di sinistra?
«Sì, ma invecchiando sono diventata meno rigida. E sono sgomenta di fronte alla rovina del Pd. Stanotte sono stata sveglia un sacco di tempo e pensavo: “Ma chi ci salva? Chi ci porta fuori di qui”»?

Tu la notte ti svegli e pensi al futuro del Pd…
«Ho la bambina raffreddata e dormo poco».

Chi ci porta fuori di qui?
«Ci vorrebbe l’Alessio Vinci della situazione, il giornalista che ha sostituito Mentana a “Matrix”… Come idea è stata buona. Ora vedremo come se la caverà: non è mica facile far quello che faceva Mentana».

Tu hai votato Pd?
«Un giornalista non dovrebbe fare dichiarazione di voto, però sì, ho votato Pd».

Hai votato per il partito della Binetti…
«È il dramma del bipolarismo».

Sei più di sinistra tu o Luca?
«Credo io. Luca è molto equilibrato, molto moderato».

Hai diretto «Donna». Ma te l’hanno chiuso…
«Era un bel giornale secondo me. Con uno sguardo contemporaneo che poi ho messo in tutto quello che ho fatto alle “Invasioni Barbariche”. “Donna” mi è servito. Però mi ha tolto la voglia di dirigere un giornale. L’editoria ha troppi casini. E’ condizionata dalla pubblicità».

Però quelle tue birre… sembrano pubblicità occulta…
«È la prima volta che me lo sento dire. Non credo che vedermi bere birra ne cambi la sorte».

La tua prossima trasmissione: «Era glaciale». Tu sei glaciale?
«Io mi ritengo il contrario di glaciale».

Passionale?
«La parola “passionale” fa un po’ telefoni bianchi. Preferisco “il contrario di glaciale”, se non ti dispiace».

Bollente?
«Che noioso che sei. Il linguaggio è importante Claudio. “Il contrario di glaciale” è molto più bello di “bollente”».

Riesci a limitarti a dare le risposte o vuoi fare anche le domande?
«Scrivi “il contrario di glaciale”. “Bollente” è un impoverimento».

Hai lasciato la «7» dove eri la reginetta. E dove i numeri non contano. E vai al centro del mercato tv. Se la prima puntata va male ti chiudono…
«Pazienza. Scriverò un altro libro. E’ stato bello scrivere questo».

Gianni Stella, detto «il canaro», non ha cercato di trattenerti… Dicono che non voleva darti i soldi che chiedevi…
«Non ho chiesto un bel niente, a parte un po’ di buone maniere. Lui è brusco ed io permalosa. Il primo impatto è stato disastroso. Quando poi ci siamo presi le misure ormai era troppo tardi».

Tu non vuoi parlar di soldi. Non è un atteggiamento snob?
«Se vuoi ne parliamo. Ma che ineleganza».

Dai, facciamo una cosa poco elegante. Quanto prendi dalla Rai?
«Tolte le tasse e la commissione dell’agente… saranno poco più di duecentomila euro. Sei soddisfatto»?

Hai lavorato con Gad Lerner, con Riotta e con Giordano Bruno Guerri…
«Con Gad ho imparato a fare televisione. Riotta era divertentissimo, rideva un sacco, oggi è molto più compreso nel ruolo. Giordano Bruno Guerri aveva quel suo sarcasmo che rivolgeva anche contro se stesso. Era complicato. E molto intelligente».

Io vorrei fare il gioco della torre…
«Impossibile. L’allieva ha superato il maestro, se mi permetti».

Bisogna. Lerner o Mentana?
«Ma dai, me l’hai fatta dieci anni fa questa domanda».

Che cosa pensi della faccenda di «Matrix»?
«Mentana è bravo, intelligente, sono solidale con lui. Questa vicenda fa un po’ paura, non è un bel segnale per i giornalisti».

Gruber o D’Amico?
«No, non faccio questo gioco, Claudio».

Chiambretti o Fazio?
«Non ti rispondo! Se vuoi ci meniamo».

Scriverai un altro libro?
«Mi sarebbe piaciuto che tu avessi letto questo, perché è evidente che non te ne frega niente. E sbagli! Vedi Claudio, io non ho voglia di parlare di questo libro per promuoverlo. Tra dieci anni forse mi chiederai di questo libro perché avrai capito le cose che in questo momento non hai capito, che non ti interessano. Però peggio per te».

Daria…
«Claudio…».

Tu che sei una mia lettrice, sai bene che non faccio interviste sui libri…
«Ma sulle persone sì. Trovi così scontato che io abbia scritto questo libro? È una cosa che c’entra molto con me, con la mia vita. Erano vent’anni che mi chiedevano di scrivere un libro».

Perché dicevi di no?
«Perché mi piace la letteratura. Leggo tanto e sono ipercritica con me stessa».

Sei di una presunzione pazzesca…
«Sì! Ma non avrei mai fatto “il libro della Bignardi”. Ho sempre pensato che se avessi scritto un libro sarebbe stato un libro vero».

Un libro che rimanesse.
«Sì. E penso di averlo fatto. Tu pensi che io sia presuntuosa perché non l’hai letto».

Guarda, ci sono ancora le orecchiette nelle pagine. Secondo me sei troppo presa da questo libro.
«Sono totalmente presa da questo libro».

Devi essere più distaccata. L’artista, una volta finita l’opera, se ne distacca. Non gli appartiene più.
«Parlo dei miei genitori, di me, dei miei nonni, della vita e della morte. E tu mi chiedi cose di dieci anni fa. Ma chissenefrega».

Se hai scritto un libro vuoi che la gente lo legga. E se uno legge quest’intervista, ha voglia poi di leggere il libro.
«Ma no, perché non ne abbiamo parlato».

Abbiamo parlato di te.
«Non abbiamo detto nulla, ed è evidente che a te non te ne è fregato un cavolo».

Daria?
«Sì».

Non capisci niente.
«Chi l’ha letto mi ha detto che ha riso, che ha pianto… tu invece…».

Andiamo a cena e ti dico quello che penso del libro. Ma adesso ti faccio le domande che ritengo opportune. Non quelle che vuoi tu. Gioco della torre.
«Non ci penso nemmeno».

Una macchia indelebile per il tuo curriculum.
«Va bene».

Sei diventata un’opportunista…
«Bravo, secondo te a quasi 50 anni sono diventata opportunista».

E allora perché?
«Perché so che fa male».

Quindi non lo farai più?
«Sai cosa mi ha colpito di più? Goffredo Fofi ha detto che ci sono tre qualità morali in “Non vi lascerò orfani”: la semplicità, la generosità, l’umiltà. Tu hai un’idea di me prepotente, arrogante, vero»?

Non ce l’avevo prima di questa intervista…
«Però se capisci che invece dentro sono umile è una scoperta. Se io faccio il gioco della torre qualcuno ci rimane male. E io non voglio far male a nessuno».

Quindi non lo farai più?
«Magari lo farò».

Tu sì ed io no?
«Non so se lo farò. Se hai notato, ma non l’hai notato perché non vedi le mie interviste, ormai lo faccio molto raramente».

Vogliamo andare avanti?
«Andiamo avanti».

Il libro è un inno d’amore a tua madre ma anche una critica spietata ai suo metodi educativi.
«Non sono aspetti separabili, purtroppo».

Sei rimasta molto colpita dalla sua morte improvvisa.
«Augurerei a tutti una morte simile, me compresa, senza dolore o quasi».

Se tua madre fosse stata al posto di Eluana?
«Impaziente com’era, mia madre non avrebbe voluto vivere un istante in quelle condizioni. E io avrei fatto tutto il possibile perché se ne potesse andare: non c’è vita senza morte e negare la morte è come negare la vita che c’è stata prima. Stanno commettendo un’atrocità con questa legge sul testamento biologico».

Tu sei andata via di casa. Oggi nessun figlio se ne va via…
«Le cose cambiano… Se si riesce a crescere e ad amarsi senza conflitti dolorosi, tanto meglio».

Che cosa hai pensato quando Goffredo Fofi ha detto: «Oggi è nata una scrittrice»?
«Mi sono emozionata. Quasi quasi ci ho creduto».

Chi ha letto il tuo libro per primo?
«Mio marito. E gli è subito piaciuto. Sono rimasta sbalordita perché non mi sembrava il suo genere».

C’è competizione fra voi?
«Una volta invidiavo la facilità con cui scrive. Lui ha sempre scritto molto più veloce e pulito di me. Io sono lenta e involuta. Devo scrivere, rileggere, riscrivere…».

Che critiche ti ha fatto?
«Troppe virgole».

Daria Bignardi, Sofri è un nonno meravigliosoultima modifica: 2009-03-05T00:06:00+01:00da mangano1
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