L.d.A. Omaggio a Sandor Marai

martedì 03 marzo 2009
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Direttore: Gualtiero Vecellio
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Da notizie radicali 3 marzo
LDA , le braci, Omaggio a Sandor Marai

Fino al 15 marzo Riccardo Cavallo alla Sala Grande del Teatro dell’Orologio di Roma ha in scena “Le Braci”, un omaggio a Sandor Marai, tratto dall’omonimo romanzo e interpretato da un impareggiabile quartetto di interpreti: Claudia Balboni, una delle più belle voci del nostro palcoscenico, Alessio Caruso, Nicola D’Eramo e Cristina Noci.

Siamo in un vecchio castello ai piedi dei Carpazi. Henrik, un vecchio generale in pensione, riceve una lettera che gli annuncia la visita del suo migliore amico Konrad. Henrik, con l’aiuto della vecchia balia Nini, prepara la scena come per uno spettacolo.

Tutto deve essere come il loro ultimo incontro di quarantuno anni prima: stesso menù, stesse candele azzurre, le stesse poltrone accanto al camino. Tutto è pronto. Il vecchio generale apre un cassetto della scrivania, ne estrae una pistola e controlla che sia carica, poi la ripone nel cassetto.

La pièce è avvolta nell’atmosfera impalpabile dell’attesa e della dolorosa e masochistica reminescenza del passato; l’aristocratico generale protagonista vive un’esistenza pietrificata (simboleggiata dal suo castello-mausoleo di pietra ai piedi dei Carpazi), come un paralitico che coltiva con passione la propria infermità.

Il generale, dopo quarantun’anni, attende il ritorno dai Tropici di Konrad, con il quale aveva condiviso fin dall’infanzia un’amicizia “seria e silenziosa” che sembrava destinata a durare e che invece si era bruscamente interrotta. Questa rottura era stata causata dall’irruzionelda1.jpg dell’amore tra Konrad e Krisztina, la moglie del generale.

Per sfuggire a questa situazione incresciosa Konrad era partito per i Tropici, mentre il generale e la moglie avevano continuato a vivere in assoluto silenzio, finché Krisztina non era morta.

Il settantacinquenne generale, animato dal risentimento e dalla sete di vendetta, vuole conoscere dove ha “inizio il tradimento” e per quali ragioni tra due uomini che sono stati amici si può aprire un abisso incolmabile.

Il confronto tra il sedentario risentito e il nomade Konrad si risolve in un lungo soliloquio del generale: per tutta la vita si è preparato a quel momento e si è reso invisibile al mondo per poter ricomparire davanti all’amico-rivale e conoscere la verità.

Sebbene Konrad sia fuggito ai Tropici, i due protagonisti sono rimasti nello stesso posto, nel castello-mausoleo, incatenati da quel tradimento che ha cambiato irrimediabilmente le loro vite. Alla fine, anche in questo caso, non c’è alcuna spiegazione e alcuna vendetta: la spietata verità che emerge è proprio la vanità dell’attesa.

Dietro la maschera dell’affinità elettiva si era celato per lungo tempo l’odio dell’amico-rivale per il generale: quest’odio, scaturito dall’invidia sociale (l’amico è un parvenu) e da un senso di superiorità intellettuale (la spiccata inclinazione per la musica di Konrad), con il tempo era diventato desiderio di vendetta che si era trasformato nella passione del tradimento, quale estrema ribellione dell’amico-rivale.

L’inquietante e familiare legame degli affetti e la “legge geometrica” del triangolo ha stretto indissolubilmente fra loro i tre protagonisti, per cui non c’è stato tradimento: l’autentico tradimento consiste nel sopravvivere alla catastrofe esistenziale, e la vendetta in ritardo del generale non si compie. Questi destini, posseduti dal demone di una passione, compiono il loro dovere bruciando se stessi e alla fine rimane solo la vanità di un luttuoso cumulo di “braci luride e nere”.

Versione elegante e nitida dell’eterno triangolo, il testo raffinato fa scivolare lo spettatore verso la fine del racconto, e mentre verità e realtà si fondono e confondono in una ricerca ossessiva dei “perché” e “come” di un tradimento, ci si rende conto come l’ermeneutica di una domanda contiene in sé qualsiasi risposta desiderata.

C’è tutto e il contrario di tutto: c’è amore e c’è odio, ferocia e dolcezza, c’è vendetta e perdono e c’è soprattutto amicizia (sfaccettata, sezionata e trasformata nel suo esatto contrario). Ognuno di noi, come i protagonisti della pièce, cerca di trovare un senso alla propria vita (ammesso che ne abbia uno), soprattutto quando si ha la sensazione di aver passato un’intera esistenza in un’inutile attesa, nella ricerca di risposte a domande che forse non era neanche giusto porsi.

A volte è nelle cose più semplici (come un diario) che si trova la verità e dunque il senso di un’intera esistenza (perché non è forse la verità quello che noi tutti cerchiamo?). Ma l’uomo rifugge le cose semplici proprio in virtù del suo spirito complesso e in ciò risiede la ragione ultima della sua infelicità e sconfitta.

Quel diario di donna, su cui ruota tutto il romanzo e in cui è celata la risposta a tutte le domande (Krisztina sapeva?), quell’oggetto custodito e mai aperto per quarantuno anni, non ha dopo tutto molta importanza, perché è nell’ineluttabilità degli eventi la vera ragione delle cose; le quali accadono e basta e nessuno può farci niente. Non ci sono vincitori dunque, ma solo sconfitti.

Forse l’unico vincitore è colui che alla fine si rivela essere il vero protagonista della storia, colui che da sempre non conosce sconfitta: il Tempo. Alla luce del tempo, una luce grigia e polverosa come i capelli dei personaggi del libro, tutto assume un colore diverso. Il tempo è dunque la migliore risposta a molte domande, anche a quella che vale una vita intera.

L.d.A. Omaggio a Sandor Maraiultima modifica: 2009-03-05T00:12:00+01:00da mangano1
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