Il male oscuro della sinistra

Il male oscuro della sinistra
(tra immaginario ed etica della responsabilità ) *

1. IL MALE OSCURO E LA SINISTRA
Il male oscuro é, come non tutti ricordano, il titolo di un bel romanzo psiconalitico di Giuseppe Berto che si richiama alla scoperta della freudiana pulsione dell’inconscio nella determinazione dei nostri comportamenti e nella segnalazione di uno “scarto” rivelatore. In questo senso, romanzo a parte, è una felice formulazione sintetica che può essere legittimamente adoperata, in senso non solo metaforico, in funzione di altre segnalazioni.
Ricordo di aver fatto ricorso a questa formula all’inizio degli anni novanta in un articolo a quattro mani scritto insieme all’indimenticato amico e maestro, Stefano Merli. Con quella definizione infatti volevamo cogliere qualcosa di più della classica (e ben nota agli studiosi) ambiguità (doppiezza) della “tradizione comunista”, esemplificata dal suo stesso capolavoro: il togliattismo. Si pensi al doppio richiamo, al quadro generale ( il leninismo come dottrina, la rivoluzione d’ottobre come lezione e rottura storica, la bolscevizzazione come modello organizzativo) e al contesto specifico (il terreno nazionale delle rivoluzioni, il rapporto con la specificità di contesti e tradizioni – il giolittismo, il riformismo o “modello emiliano”- la cultura politica di un gruppo dirigente formatosi negli anni di Croce e Gentile). La doppiezza dell’essere “comunisti” si ma “italiani”, che consentiva la ricerca di una via originale e al tempo stesso la riconduceva al modello generale, era anche”filosoficamente” elaborata: era infatti la dialettica del “rinnovare conservando” di hegeliana memoria.

2. FRA DUALISMO DELLA MENTALITA’ E IMPRINTING
Ma il male oscuro cui alludevamo io e Merli voleva segnalare un di più, un vizio profondo,un dualismo della mentalità, della cultura e della tradizione della sinistra: le oscillazionimultiple e ricorrenti che rivelano un sottofondo comune ( l’oscillazione tra riformismo emassimalismo, tra propagandismo e realismo, tra politicismo ed economicismo, tra odio-eliminazione del “nemico” e sua lusinga , tra dottrina come fede e prassi come
innovazione). Questa sorta di auto-rappresentazione di se stessa e della sua storia come verità, un’ombra che accompagna il “movimento” nella rappresentazione della propria alterità, é definibile credo come immaginario politico (non solo visione del mondo ma luogo della autorappresentazione, dell’immagine di sé secondo tradizione, eredità di culture e di mentalità diffuse). E si qualifica come una specie di “vizio” profondo, di petrarchesca ignavia : si va infatti dalla giustificazione dei propri vizi all’ironia sugli stessi, dal pudore nel tratteggiarli alla convinzione che siano pur sempre un fatto secondario,difficilmente si prende atto che è una sorta di imprinting (come spiegherebbe una femminista critica nei confronti del “maschilismo” come tratto
esteriore-interiore del maschio). In realtà credo che questo male oscuro vada preso molto sul serio e riconosciuto come un tratto di fondo: coloro che nella storia della sinistra ci hanno provato hanno spesso pagato il prezzo di separarsi dalla sinistra stessa, di essere degli ex, subitol’accusa di manifestare un estremo livido rancore, di avere la sindrome dello spretato ( come se fosse sempre e solo meglio stare nella chiesa ed evitare il laicismo,malattia contagiosa che porta a diventare nomadi ed apolidi senza cittadinanza).

3. TORNARE INDIETRO, ANDARE AVANTI
Eppure basta ripercorrere all’indietro i momenti più discussi e spettacolari della storia nostrana di questi ultimi dieci anni per ritrovare pari pari le stesse cose, nell’Ulivo dei credenti e dei miscredenti, nello sdegno dei girotondini e nella ricorrente polemica sulla pace senza se e senza ma, nell’oscillazione tra “teoria del regime” (e dell’ anomalia italiana) e realismo pratico dei “dalemoni”, nell’implorazione a “dire qualcosa di sinistra” e nell’esortazione a non “farsi del male”, nel cofferatismo come mito e bisogno simbolico di alterità, nella violenza verbale e ideologica dei non-violenti, nel modo di accettare o non accettare di essere dei “post” rispetto al passato. Davvero qualcuno crede cheoccuparsi criticamente dei vizi e dei tratti costitutivi dell’immaginario politico siairrilevante, intellettualistico, psicologistico o altro ancora rispetto all’urgenza tutta politica dimisurarsi con “la situazione politica e i nostri compiti”? E che discutere di programma e dialternativa sia più significativamente all’ordine del giorno per cui chi continua a obiettare isuoi SE e i suoi MA é solo un ennesimo cacadubbi che “fa il gioco di” (del sistema, deipadroni, di Berlusconi)?
Un quasi decennio di berlusconismo sta producendo in molta parte dei militanti, deisimpatizzanti, degli intellettuali e dell’opinione pubblica della “sinistra” una sorta disentimento dell’incubo: ancora e sempre e per quanto tempo dovremo subire questa politica di centro-destra , basta… non se ne può più…. Con una oscillazione tra frustrazione (depressiva) e panico, ricerca di una via d’uscita, qualunque essa sia e sprazzidi consapevolezza (rari) che il problema non é solo quello di “vincere” ma di costruire una prospettiva credibile e in grado di aprire una strada diversa. Prendere sul serio questo”stato d’animo” non é un di più, è un punto di partenza obbligato. Ma dare una rispostaPOSITIVA a questo tipo di “aspettativa” non significa solo preoccuparsi di vincere, significa saper gestire questa stessa vittoria facendo ANCHE i conti con quel male oscuro
ericonoscendo in essi non i tratti della “sfiga” ma una più complessa resa dei conti con ilpassato e una diversa elaborazione progettuale del futuro.

4. TEMPO PRESENTE E TEMPO FUTURO
Voglio richiamarmi in questo senso a una “lezione” storico-filosofica su chi vince e chiperde, che cosa sia vittoria e/o sconfitta per chi si definisce rivoluzionario e chi si definisce riformista. E prendo spunto da un vecchio studio di Paolo Flores D’Arcais, risalente a un periodo diverso della sua storia. Ne riassumo l’argomentazione
perché nonho sotto mano il testo (che é comunque reperibile: lo studio sulla rivoluzione ungheresedel 1956 su una rivista, diretta da Stefano Merli) che si occupava del socialismo europeo e della sua storia.
In quello studio Flores sostiene acutamente che le sconfitte di un rivoluzionario trovano
sempre una giustificazione mentre le sconfitte di un riformista sonoidentificabili una volta per tutte. C’é infatti una concezione del tempo nel rivoluzionario che non fa percepire lasconfitta di una occasione di rottura-mutamento come irreparabile, si può perdere nelpresente e continuare a pensare che la rivoluzione sarà possibile nel futuro, questodualismo temporale crea sia pure involontariamente una sorta di alibi, c’é un
tempodell’altrove da opporre al tempo reale, speranza e utopia possono nascondere la miseriadello scacco. Per il riformista il rapporto col tempo é diverso: se egli punta a realizzare una stagione di riforme e non vi riesce, ha perso, non ha alibi, il risultato del tempo presente misura la sua vittoria e la sua sconfitta, non può permettere di
rinviare a un tempo dell’altrove se non come ri-cominciamento dopo una sconfitta. (Nel lungo periodo… siamo tutti morti, aveva detto con ironia J.M. Keynes)

5. LA CATENA DEI PERCHÉ E L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
Fare i conti con l’immaginario politico significa anche misurarsi con queste possibili/diverse rappresentazioni del tempo, del tempo del mutamento. Le cattive interpretazioni che attribuiscono al nemico la colpa (di aver usato metodi non previsti, di aver fattodemagogia, di aver fatto ricorso alla repressione etc.) sono tutto sommato
sempre e solo tautologiche: la rivoluzione (o la riforma) ha perso perché il nemico ha vinto (ovviamentecon le dovute distinzioni, un conto é il “nemico” che vince con colpi di forza, colpi di stato,per realizzarlo e un blocco sociale che vi si identifica).
Sono considerazioni generali, ma per questo sono “astratte”? Se si applicassero alle analisi e alle vicende di questi dieci anni si potrebbe forse scoprire le “proprie” responsabilità e i propri errori. Ma questo significa – per ricordare la bellissima formula di Franco Fortini(adoperata nel 1955, in un articolo che commentava la vittoria del sindacatogiallo alle elezioni di commissione interna alla Fiat) riaprire la catena dei perché,
rileggere atti,documenti, scelte.
In una intervista di questi giorni al “Corriere della Sera” un altro filosofo, Biagio DeGiovanni – rispondendo a domande sulla “solitudine del riformista” inaugurate da uneditoriale di Galli Della Loggia sulle contraddizioni e le difficoltà di una sinistra che non sa decidere e si spacca e si divide sulla questione del dopo-guerra irakeno-
critica da un lato”quell’antagonismo corporativo di fondo che si scontra con qualunque tentativo d iassunzione di responsabilità politica” e invita dall’altro a riflettere di più su ciò che chiamaetica della responsabilità e che riassume nella formula “unire etica e politica misurandole con la realtà”.
È questo secondo aspetto che credo sia da rilevare mettendo da parte la polemicasusingoli aspetti delle lotte di questi anni (dal famigerato articolo 18 alle pensioni, dal”riformismo” alla Marco Biagi alle vicende della riforma Moratti – e della precedenteriforma Berlinguer): cosa vuol dire unire etica e politica “misurandole con la
realtà”? Chi siricorda della bellissima frase del giovane Lukacs sull’invito alla rivoluzione che ci sarà e se nei fatti non ci sarà “tanto peggio per i fatti”? Emerge qui una saldatura possibile fra etica e politica che pone se stessa come sfida esemplare e ideale, a prescindere dai fatti, utopiadel possibile, come non richiamare alla memoria il “siate realisti, chiedete l’impossibile”del maggio francese?

6. QUAL’È IL TEMPO DEL MUTAMENTO
C’é poi invece (é evidente che De Giovanni pensa a questa) una saldatura fra etica e politica che si misura “con la realtà”. Un invito alla assunzione di responsabilità circa ilcambiamento “possibile” e dunque reale, quello che si verifica qui ed ora e non nel lungoperiodo (ricordarsi la battuta di Keynes).
Io non credo che si possano e si debbano contrapporre i due modelli: dal punto di vistadella lezione storico politica non c’é confronto, l’insurrezione ungherese di Bela Kun rientra nella catena delle occasioni perdute che era già facile prevedere, mentre del “NewDeal” si studiano ancora oggi i processi, le dinamiche, i risultati. Questo non significadi fatto irridere agli avventurosi e agli avventurieri delle rivoluzioni perdute, tanto piùquando anche alcune storie e vicende esemplari di altissima moralità insegnano come mpossa essere giusto fino all’epilogo tragico unire etica e plitica misurandosi con la realtà:la pacifista Simone Weil che si lascia morire di anoressia con l’approssimarsi della guerra -non senza prima aver scelto di appoggiare Radio londra e De Gaulle, cioé laresistenza non-pacifica, la guerra- é un esempio altissimo di cosa significhi pagare di persona. Ilsuicidio per sconfitta di Alex Langer alla luce degli orrori iugoslavi lo é altrettanto, maproprio per questo chi poi pretende di ironizzare sulle aporie della guerra “umanitaria”deve pur sempre rispondere cosa si può fare “dopo”, quando una situazione é già precipitata, e se determinate scelte non si impongano proprio per il fatto di unire etica epolitica” misurandosi con la realtà”.

C’è del resto la grandissima lezione alla rovescia di Walter Benjamin che ci ricorda unavolta per tutte come l’umanità recuperi “il sogno di una cosa”(Marx) riportando a gallatutti i frammenti di memoria delle sconfitte rivoluzioni, che c’è una traccia che collega la rivolta di Spartaco a tutte le morti e rivoluzioni della storia, che il tempo del sogno è quello in cui salta il preteso continuum storico, rivelando che le “magnifiche
sorti eprogressive”di una dimensione lineare del tempo implodono e il tempo dell’hic et nunc é il tempo della verità

7. IMMAGINARIO SOCIALE, IMMAGINARIO POLITICO, PRINCIPIO DI RESPONSABILITÀ E RESA
DEI CONTI
Personalmente, ho scritto un libro intitolato “Il senso della possibilità (lasinistra e l’immaginario)” e non credo di essere sospetto di anti-utopismo, semmai di aver anche ioconcorso a spiegare come le radici (pre-moderne) della “sinistra” affondino appunto inquel bisogno di comunità, fraternità, fusione, alterità del desiderio, che
irrompono neimovimenti . Proprio per questo però a me stesso é capitato di distinguere tra immaginariosociale e immaginario politico della sinistra: il primo ( immaginario sociale) è l’esplosionedel sogno sociale, la fase “istituente” dell’immaginazione che rivela il mutamento possibile; il secondo é una auto-rappresentazione congelata della storia politica, un impasto di memoria e leggenda, tradizione e luoghi comuni, un universo mentale dell’uomo di sinistra (come del resto é lecito e doveroso distinguere tra utopia come forza mentale del
non-luogo, cultura del sogno e del cambiamento possibile e utopia-realizzata (pensiero
utopico e pratica utopica) che si rivela intrinsecamente totalitaria (si ricordi
tutta la criticadel comunismo come utopia realizzata) perché congela nel dover essere del
modello i
comportamenti sociali reali e li occulta.
Unire etica e politica misurandosi con la realtà significa dunque appellarsi
sempre e
comunque al principio di responsabilità per le scelte possibili, cosa ben
diversa dal
ripiegare puro e semplice nella denuncia del nemico e delle sue colpe (si
chiamino
Berlusconi o Bush poco importa in questo caso) perché è più importante che esso
venga
denunziato, smascherato, sconfitto rispetto all’importanza delle scelte
praticabili.
“Fare i conti” con l’immaginario politico della sinistra , la sua ricchezza
utopica e la sua
mitologia del nemico, la sua religione scomunicante e la sua laicità a senso
unico (ovvero
come essere materialisti nell’analisi del nemico e idealisti nella
raffigurazione di se stessi)
non significa anche qui ricadere nella logica dei due tempi, un primo tempo
dell’auto-
critica e del riconoscimento della catena dei perché, delle ragioni vere del
proprio difficile-
impossibile rapporto col riformismo reale e un secondo tempo in cui poi,
finalmente, sarà
possibile vincere. È evidente che il processo é unico, che autoanalisi e
mutamento, come
nella terapia psicanalitica, marciano insieme: fare i conti col male oscuro e
affermare che
“un altro mondo é possibile” sono due aspetti di un solo processo, ma la
costruzione di
strumenti adeguati ai contenuti è operazione difficile e molto impegnativa,
poiché essa
comporta appunto quell’unione di etica e politica che si misuri col reale che é
scelta
diversa dal gioco a nascondino dell’immaginario politico.

Il male oscuro della sinistraultima modifica: 2008-02-03T19:58:31+01:00da mangano1
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