duemila ragioni

Dibattito su CHI E’ IL MIO PROSSIMO? di Adriano Sofri

Filippo Cusumano da http://ilmestieredileggere.wordpress.comChi è il mio prossimo?”- chiede a Gesù un giorno, secondo il Vangelo di San Luca un dottore della legge.Gesù risponde raccontando la storia dell’uomo che, assalito dai briganti, viene lasciato a terra nudo e mezzo morto per le percosse. Passano un sacerdote ed un levita e tirano dritto. Passa un Samaritano, che lo soccorre e si prende cura di lui.“Chi dei tre che sono passati per quella strada ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?” chiede Gesù al dottore della Legge.Parte dalla parabola del buon Samaritano“Chi è il mio prossimo”(ed. Sellerio) la riflessione di Adriano Sofri su come va il mondo e su chi siamo noi e i nostri similiCome fa notare Sofri, all’inizio del libro, la prospettiva corretta, quella, che sorprendendo il suo interlocutore, propone Gesù, è quella della persona che soffre, che subisce un danno o un’ingiustizia e che si trova in difficoltà.E’ per la vittima che si pone con particolare urgenza e necessità il problema della ricerca del prossimo.E vittima di volta in volta siamo tutti.Anche il condannato che si è macchiato delle colpe più gravi, che è stato aggressore, una volta rinchiuso nel braccio della morte, veste i panni della vittima e si guarda in giro cercando il suo prossimo tra coloro che possono compenetrarsi nella sua sofferenza e in qualche modo alleviarla.“Non è di me che parla questo libro- scrive Sofri- ma di tutti noi e della terra che, più o meno vicini, più o meno lontani, abitiamo insieme”Un capitolo del libro parla della “eterogenesi dei fini” e di come influenzi il modo di pensare e di agire di chi fa politica il rendersi conto che i risultati delle azioni umane spesso non corrispondono agli scopi per i quali ci si era attivati.Perché, si chiede Sofri, nonostante le migliori intenzioni, poi “va tutto storto”?Perché per alcuni il bicchiere è mezzo pieno, per altri è mezzo vuoto?Perchè siamo sostanzialmente indifferenti agli eventi tragici che si svolgono lontano da noi? E’ancora vero quello che sosteneva Adam Smith duecento anni fa? Che un terremoto in Cina, anche quando risultasse fatale per migliaia di persone non ci toglierebbe il sonno, mentre un evento infinitamente meno importante, ma a noi vicino, ci turberebbe infinitamente di più?Certo che è vero, sostiene Sofri. Con una terribile aggravante: quando Smith faceva quell’esempio, era padrone di attribuire la nostra freddezza al verificarsi di tragici eventi remoti all’impossibilità di vederli con i nostri occhi, mentre oggi, che possiamo dire di assistere a questi eventi quasi in tempo reale, non abbiamo più alcun alibi dietro al quale ripararciQueste alcune delle questioni affrontate dal libro.Un libro che è un caleidoscopio di fatti piccoli e grandi pescati fra i libri di storia, le pagine della cronaca, la personale biografia dell’autore.“Domande così grandi vanno ben oltre le mie conoscenze” scrive Sofri per giustificare il bisogno che prova, qua e là, di ricorrere anche agli esempi che gli derivano dai fatti della sua vita personale .Ma le conoscenze di Sofri non sono poi così anguste : il suo libro è un piccolo strepitoso Zibaldone per palati fini, in cui ci imbattiamo continuamente in personaggi come Rousseau, Voltaire, Vico, Macchiavelli, Marx,. Lacan.Klingo, da http://www.brennerbasisdemokratiePer molti è un cattivo maestro. Non si può comunque non convenire che i suoi ragionamenti non facciano pensare e non aprano dibattiti molto accesi e molto vivi.E’ per questo che comunque ho deciso oggi di parlarvi dell’ultimo libro di Adriano Sofri, “Chi è il mio prossimo“, ed. Sellerio Euro 12,00Sembrerà strano ad alcuni di voi (e lo sembra a me) che per la terza volta consecutiva io parli in questa rubrica di un libro della casa editrice palermitana Sellerio. Credetemi non è voluto, e non ve ne sarebbe ragione. Semmai questo certifica la genuinità e la casualità delle mie scelte; soprattutto di lettore.Adriano Sofri è persona controversa, su di lui troppo si è scritto e troppo si è detto, per ovvie ragioni. Io che ho avuto la fortuna di conoscerlo penso che si sia dimenticato di ascoltare la persona per guardare più al “caso”. Ogni volta che però qualcuno si sofferma sulle sue parole e non su chi le ha pronunciate o scritte ne viene fuori un’emozione. A volte può essere contrastante, a volte di profondo convincimento. Resta il fatto che la penna di Sofri rimane una delle più argute e ficcanti del panorama italiano. Ho seguito molto e seguo il suo “caso” giudiziario. Ho le mie idee in merito e me le tengo. Chiedo però di dimenticare la sua fama da “cattivo maestro” per andare invece a leggere in profondità nei suoi concetti, nelle sue idee.Trovo questo ultimo suo libro una sorta di testamento personale. Si nota che la sua parola esce dall’umiliazione della condizione carceraria che ha vissuto fino a pochissimo fa e dalla tristezza di una perdita importante, anche questa di pochissimo tempo fa.Il libro è una raccolta di pensieri solo apparentemente sparsi sugli effetti che le notizie provenienti da tutto il mondo lasciano sull’autore. Nel primo paragrafo Sofri si lancia in un’interessantissima rilettura della famosa parabola del buon samaritano per giungere alla domanda che lega tutte le parti del testo: “Chi è il mio prossimo?”. Si deduce dai suoi ragionamenti che, in piccolo, la società che viviamo ed i nuclei più piccoli che ne sono fondamento (famiglia, condomini, città) contengono in nuce tutti i prodromi di quelle che poi risulteranno essere cause scatenanti anche a livello globale; “l’eterogenesi dei fini” vale così per la guerra in Iraq come per le vite personali.L’interesse è tenuto alto lungo tutto lo scorrere delle pagine dalla varietà dei temi trattati. Si passa da fatti che escono “dalla pancia” della nazione (i vari casi Erba, Verona ecc.) per andare a toccare temi internazionali come la guerra, lo tsunami, l’ecologia. Si offre al lettore una molteplicità di letture possibili, libri tutti di grande interesse ed importanza, ma soprattutto si parte da una condizione di vita dell’autore che tutti sappiamo e giungiamo comunque a chiudere la lettura con un senso di ottimismo velato ma certo. Chè l’uomo ce la farà, oltre il destino, o la Provvidenza, o la Fortuna (così ben analizzati anche questi a partire da Machiavelli per giungere sino all’illuminismo e all’attualità).“Sono finito in galera e mi sento rinfacciare il mio privilegio“: un lungo paragrafo dedicato al principio di indeterminazione della fisica e alle nuove frontiere della scienza sembra darci la chiave di lettura di tutto il suo pensiero. Sofri sembra dirci che i suoi scritti possono far male e guardare oltre certi ostacoli a noi invisibili perchè la sua è una posizione d’osservazione diversa, relativa alla nostra.Non vi è una sola fisica possibile che scandisce con le sue regole apparentemente ferree il nostro incedere nella vita. Un libro come questo ci svela l’esistenza di altre leggi, di altre prospettive, e sarà nostra cura non ignorarle, per arricchirci e saper vivere meglio, accettando l’altro da noi.Ferdinando Camon, da La Stampa” 9 febbraio 2008 Come sanno tutti (anche i non cristiani), nella parabola di San Luca il prossimo è il Samaritano, che incontrando un uomo derubato dai ladroni e abbandonato con le ferite aperte al bordo della strada, si ferma e lo medica e lo ricovera in una locanda, dove lascia dei soldi perché qualcuno se ne occupi finché lui sarà via. Altri eran passati di lì, un levita, un sacerdote, ma avevano schivato la scena, spostandosi dall’altra parte della strada. Prossimo è colui che aiuta, che fa quel che può. La parabola è un test che stabilisce chi è buono e chi no. Non sappiamo niente del derubato-picchiato, potrebbe anche essere cattivissimo: ma era sofferente, aveva bisogno di aiuto. L’aiuto va dato a chi ne ha bisogno. Qui Sofri impianta un discorso che si amplia a tutte le condizioni in cui c’è un bisogno e ci sono dei bisognosi: le guerre, le carceri, le migrazioni, gli sfruttamenti. C’è un filo che collega il centinaio di paragrafi di questo libro, le badanti, le prostitute, lo tsunami, la strage di Erba, Israele-Palestina, i kamikaze, Priebke, le adozioni a distanza… Ognuno di noi, col suo piccolo bagaglio di esperienze, si sente attraversato venti-trenta volte da questo libro, e non può non avere delle reazioni personali. Anch’io. E delle mie reazioni personali parlerò. Prima però credo che Sofri abbia diritto a sentirsi dire che il suo libro è alto, teso, etico, non c’è nulla da obiettargli. E qui non intendo contraddirlo, ma raccomandarlo. Però i punti a cui arriva (ogni capitoletto ha una sua conclusione) non sono sempre punti d’arrivo, dove la questione muore, molti sono punti di svolta, dove la questione rinasce e riparte. Priebke: è nobile quel che Sofri dice, che Priebke ha diritto di morire a casa sua, in Argentina. La sua vita è conclusa, comincia la sua morte. Non possiamo punire fino alla o oltre la morte. Non è umano. Ma Priebke non è “un militare che obbediva agli ordini”, Priekbe s’è messo a disposizione del partito nazista nel ’33, ed è perché c’era lui e gli altri come lui che quegli ordini son diventati poi possibili. Per liberare Priebke, bisogna che una colpa, per la quale abbiamo stabilito la non-prescrizione, venga prescritta. Io non me la sento. Tullia Zevi nemmeno. E Sofri?Reciprocità. Non si può chiederla, ha ragione Sofri, si concede la libertà (per esempio, di fare una moschea), perché è giusto, anche se coloro a cui la concediamo non ci daranno mai l’analoga libertà di fare una nostra chiesa in casa loro. Di fatto però la nostra cedevolezza funziona come una debolezza, e rafforza la loro convinzione. Se noi crediamo in qualcosa, in un certo senso lo abbandoniamo e lo tradiamo. Chi ci nega la reciprocità oggi, a maggior ragione ce la negherà domani e sempre.Strage di Erba: Sofri la cita spesso. E’ giusto, c’è un processo in corso. Ma in questi casi, per stragi orrende, che pena si dà ai colpevoli? Puoi dare il massimo, se quando arrivano ai 65 anni chiedi che siano messi fuori? Allora, vuoi inventare un limite “fino ai 65” o “ai 75 anni di età”? Il condono della pena sminuisce la colpa. Erica ebbe come pena un gruzzoletto di anni, neanche enorme: pareva che quel che aveva fatto non fosse una strage, ma un incidente o poco più.Badanti: sono immensamente sole, 24 ore su 24, dice Sofri. E’ vero. Sono un caso di sfruttamento. Però io ne ho avuta una, per un vecchio di casa, in 6-7 anni ha messo da parte quel che le bastava, nelle Filippine, per comprarsi un negozio. Aveva un figlio, ogni due mesi riceveva una fotografia, e guardandola saltellava di gioia. Adesso è a casa col bambino e può mantenerlo. E se non faceva la badante?Adozioni a distanza: si guarda lontano per non essere turbati dalla fame dei vicini, dice Sofri. Ho un bambino adottato a distanza in India. Le madri premono perchè i loro bambini vengano accolti in una scuola cattolica (è proibito parlare di religione), perché lì mangiano due volte al giorno. Fingono che i figli abbiano sei anni, anche quando ne hanno 5 o 4. I salesiani li mettono in fila, e li invitano ad alzare il braccio destro, scavalcarsi la testa e toccare l’orecchio sinistro. Se ci arrivano hanno 6 anni, se no ne hanno meno. Il mio è passato, ha 6 anni. Penso alle madri disperate che tirano le braccia dei figli per allungarle. Forse è una miseria lontana, ma il suo grido è così alto, che è arrivato fin qui.

Dibattito su CHI E’ IL MIO PROSSIMO? di Adriano Sofriultima modifica: 2008-02-20T09:42:04+01:00da
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