duemila ragioni

Maurilio Riva,L’antifascismo militante: Sergio Ramelli

un capitolo di “Partita Doppia”, un libro di uscita imminente Rimembrò coloro che l’avevano preceduto. Spezzati nel fiore degli anni. La Spagna. La Resistenza. I morti epici. Gli anni di Scelba e di Tambroni. L’Ardizzone. I morti di Reggio Emilia. I morti sociali. Gli anni ’70. Le bombe fasciste. Franceschi. Antonio Marino. Varalli, Zibecchi. Ramelli. (Sì, Ramelli!). E Brasili. I morti senza senso. Lunghi pastrani di tela spessa e scura, funzionali a celare ingombranti armi improprie. Berretti di lana che in un baleno si trasformano in passamontagna che del viso lasciano scoperta la feritoia per gli occhi. Pesanti anfibi ai piedi. Era, questa, la tenuta tipica dei servizi d’ordine di ogni organizzazione, come da regolamento. A cui si aggiungeva a volte un tascapane di tipo militare, idoneo negli scontri con la polizia, per occultare un certo numero di bottiglie. A volte, un fazzoletto al collo. Per tirarselo su al momento opportuno a coprire il viso per non respirare il fumo asfissiante dei candelotti lacrimogeni. Spesso un paio di guanti alle mani.Primo pomeriggio. Un gruppo bardato di tutto punto attende defilato. Nella piccola via non c’è movimento, i negozi sono chiusi per la pausa pomeridiana. Chiacchierano tra di loro, in circolo, cercando di non dare nell’occhio.S’irrigidiscono di colpo al sopraggiungere di una motoretta guidata da un ragazzo dai capelli lunghi. Rallenta l’andatura essendo ormai arrivato, sale sul marciapiede e si avvicina con il proprio mezzo al palo di un cartello segnaletico con l’intenzione di incatenarglielo attorno. Non sospetta nulla e si muove senza fretta.Dal gruppo in sosta se ne staccano un paio che, calando sul viso il passamontagna, si incamminano verso di lui. Prima a passi rapidi, infine di corsa. Gli sono addosso, le spranghe in mano. Le spranghe in azione. Dall’alto in basso, più volte, sulla testa, sul corpo del ragazzo che grida e cade. È per terra ma i colpi continuano. Gli aggressori fuggono lasciandolo in fin di vita. Una brutta storia. Una storia tremenda. Un ragazzo di 19 anni, fascista militante, atteso sotto casa da una squadra di 4 o 5 ragazzi di fede politica opposta – ognuno con una spranga in mano e il volto coperto – aggredito alle spalle e steso senza tentennamenti. Un bell’esempio da manuale di Autodifesa militante.Sergio morirà, dopo aver combattuto invano la battaglia decisiva in un letto d’ospedale, 47 giorni dopo.In una via secondaria nel cuore di un quartiere popolare, sopra un muro di cinta anonimo in mezzo a due palazzi incolori c’è, sotto una corona di fiori, una piccola lapide: A Sergio Ramelli 8/7/56 29/4/75 caduto per l’Italia i tuoi camerati F.d.G. M.S.I.-D.N. Ognuno celebrava i propri morti, Remo ci avrebbe scommesso, per un episodio la cui crudeltà non ci sarebbe voluto che poco a riconoscere.Remo si era chiesto come mai la lapide non fosse stata apposta dall’amministrazione comunale o dal Comitato permanente per la difesa antifascista dell’ordine repubblicano che, non c’era dubbio, l’aggressione avevano condannato. Un’altra occasione non colta per affermare una coerenza di stile e offrire un raffreddante contributo per animi roventi. Sulle pareti maestre dei palazzi, nelle vie adiacenti dell’Ortica, resistono caparbi i manifesti che ogni anno i suoi camerati nella data della morte affiggono a perenne memoria. Ormai da più anni di quanti ne avesse Sergio quel giorno. E lì avrò un po’ di pace,perché la pace arrivascendendo lentamente,scendendo dai velidel mattino,fino a dove il grillo canta,là la mezzanotte è tuttaun luccichio,e il mezzogiornoun bagliore di porpora,e la sera è densa delle alidel passero. (William Butler Yeats) Nelle medesime strade, sui muri delle case popolari – all’altezza dei numeri civici – perdurano lapidi di marmo cinquantenarie, a testimonianza di lutti, di ignominie e di esecuzioni di segno opposto. A occhi immemori vorrebbero rammentare i caduti anonimi – eroi e martiri senza volerlo – di irrinunciabili battaglie di libertà. Visibile o meno, accanto alla lapide originaria in ricordo di Sergio ce n’era un’altra implicita – e ideale, se le cose del mondo non girassero alla rovescia – su cui stava scritto a chiare lettere: Morto per manodell’“antifascismo” ottuso,uccisodall’idiozia umana C’era gente, in quegli anni, che l’“Hazet 36”(38) andava a comperarsela nei negozi specializzati di Ferramenta e Utensileria. Mostrandola agli amici come un vanto e ricevendone spesso il plauso. Non ci si scandalizzava per nulla al suo cospetto né allo scopo. Sembrava normale che negli scontri di piazza – in quelli alla pari, non negli agguati proditorii – la testa massiccia e stondata dell’arnese potesse andare a impattare contro il cranio di un uomo, quantunque di opposto colore. Contro le sue ossa. Sembrava abituale e legittimo.Lontani e superati i tempi delle aste di bandiera, aduse all’occorrenza come strumento di difesa, c’era chi s’inventava nuovi corpi contundenti come il ferro da stiro della nonna riesumato per stirare i capelli dei nemici politici. Chi invece adoperava nei corpo a corpo gli uncini in uso ai portuali di ogni paese. Se tragico poteva risultare l’improprio ricorso da parte dei camalli, gli imitatori trasformavano la tragedia in autentica farsa. Non per chi cadeva, è ovvio, sotto quei colpi.Il mercato si assuefaceva con rapidità all’andazzo dei tempi: un caratteristico portachiavi, raffigurante una “Hazet 36” in miniatura, venne progettato, messo in produzione e commercializzato. Neanche un mese dopo la fine sciagurata di Ramelli, una ragazza e un ragazzo passeggiano mano nella mano in una via del centro. Sono giovani e felici. Vestono alla moda dei coetanei. Nelle vicinanze c’è la sede del partito fascista e le scorribande degli attivisti di destra erano frequenti in zona. I due vengono additati e inseguiti da un manipolo di teppisti, armati di spranghe e catene, sbucato da una viuzza laterale. Raggiunti e aggrediti. La loro attenzione si concentra sul ragazzo: lo riempiono di botte fin quando nelle mani degli aggressori fanno capolino dei coltelli con cui lo feriscono più volte colpendolo alla schiena.Alberto Brasili si accascia al suolo mentre gli squadristi si dileguano. Non arriverà vivo al Pronto Soccorso. Aveva pure lui 19 anni e l’unica colpa di portare i capelli lunghi e indossare un eskimo verde. La ragazza se la caverà con alcune ferite da taglio per fortuna guaribili.Sul luogo, sopra il basso muro esterno di un habitat residenziale, è affissa una lapide tanto bene mimetizzata che un occhio disattento faticherebbe a individuarla: come se si scusasse del disturbo arrecato nel voler catturare l’occhio frettoloso dei passanti.Le scritte incise rendevano alla perfezione l’idea del tempo come implacabile usura: Quidi fronte all’A.N.P.I.il 25 maggio 1975è stato trucidatoda squadraccia fascistalo studente lavoratoreBrasili Albertoaccusato di esserecittadino esemplareoperareper il progressocivile e democraticocrederenegli ideali della resistenza Comitato Permanente Antifascistaper la difesa dell’ordine repubblicano Sergio e Alberto nutrivano ideali opposti. Né l’ideale dell’uno né quello dell’altro autorizzava i mazzieri del campo avverso a compiere la loro vigliacca impresa e a comportarsi come spietate canaglie. Probabile che Alberto e Sergio non si fossero mai incontrati. Non sarebbero stati amici mai né da nemici si sarebbero rispettati. Troppo distanti i valori in cui credevano. Nelle loro abissali differenze risaltavano beffarde le due cose che avevano in comune: entrambi diciannovenni e il tempo trascorso dalla reciproca morte era ormai superiore all’età che avevano quando furono uccisi all’usanza barbara. Gli anni di piombo. Una guerra. Gli attentati e le violenze dal 1975 al 1980 furono 8625, di cui: 6263 attentati a cose, 1961 le violenze a persone, 171 i feriti in agguati. 270 i morti: 115 a opera del terrorismo di destra e 110 di quello di sinistra, 29 morti in scontri con le forze dell’ordine, 12 in altre circostanze e 4 in seguito ad attentati e violenze eversive. I morti dimenticati.In un ventennio tragico, dal 1969 al 1989, le vittime furono 429(39): incolpevoli caduti in una guerra non dichiarata eppure combattuta con ferocia. I cui guerreggianti agivano, ahimè, su più livelli. Visibile il primo, in cui i terroristi rossi e neri attentavano alla convivenza democratica che i corpi istituzionali di polizia difendevano. Clandestino l’altro, in cui associazioni occulte, organizzazioni internazionali, servizi segreti deviati tramavano alle spalle del conflitto in corso – inserendosi di volta in volta in esso – per specifici quanto illegali tornaconti.I morti degli anni ’70/80: i più inutili. I morti vani. Dispiace dirlo. Per i morti, è ovvio. Non è a dispetto di chi ha perso tutto, senza volerlo, che viene espresso il crudo giudizio. Ci mancherebbe.Morti che si potevano e dovevano evitare. Per voltare pagina una volta per tutte non sarebbe bastato almeno ammetterlo?

Maurilio Riva,L’antifascismo militante: Sergio Ramelliultima modifica: 2008-02-26T16:06:11+01:00da
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