www.homolaicus.coml problema del rapporto capitale/lavoro non è stato risolto a favore del lavoro, e oggi a questo problema se ne è aggiunto un altro, non meno grave, quello dell’inquinamento della natura. Ci si può chiedere se il primo problema non sia stato risolto proprio per non aver saputo affrontare a tempo debito o in maniera adeguata il secondo, che, a quanto sembra, non è semplicemente un problema di “ecologia”, ma anche di “economia”.Il rapporto uomo/natura investe il concetto stesso di “civiltà”, che include il suddetto rapporto di capitale e lavoro. Nel senso cioè che oggi appare quanto mai controverso limitarsi a chiedere un primato del lavoro sul capitale, senza chiedersi nel contempo se questo primato, una volta realizzato, verrà esercitato assicurando alla natura tutti i suoi diritti.Occorre in sostanza rimettere in discussione non solo la logica del profitto industriale (il plusvalore) o della rendita finanziaria (che oggi in particolare va per la maggiore), ma anche il modo concreto di esercitare la riproduzione della specie umana, che non può risultare in contraddizione con quella della natura.Il modo stesso di lavorare, l’uso della tecnologia che facciamo, le applicazioni delle scoperte scientifiche: tutto va profondamente e globalmente rivisto. Non è più solo questione di ridistribuire equamente il reddito. Bisogna cominciare a chiedersi se nel modo di ottenerlo siamo entro i limiti di quella che potremmo definire la “legalità della natura”.Il problema del rapporto civiltà/natura non lo sentiamo ancora come urgente per una serie di ragioni:le contraddizioni antagonistiche del sistema fanno avvertire ai ceti meno abbienti come prioritaria per la loro condizione, la necessità di avere un lavoro sicuro e sufficientemente retribuito. Dovendo scegliere tra la tutela ambientale e la propria sopravvivenza, tali ceti preferiscono sempre, per necessità, la seconda alternativa, senza rendersi conto che i due aspetti sono strettamente connessi;buona parte di tali contraddizioni viene scaricata sulle spalle dei paesi terzomondiali, con cui l’occidente capitalistico conserva un rapporto di dipendenza economica, per cui se la natura da noi viene devastata, in quei paesi lo è ancora di più, per soddisfare le nostre esigenze di benessere;tutti danno per scontata l’impossibilità di tornare all’epoca pre-borghese, cioè all’epoca dell’autoconsumo, del baratto e, in genere, del primato del valore d’uso. Nessuno vuole rinunciare alle comodità derivateci dalla rivoluzione tecno-scientifica. Nessuno si chiede più se non sia anzitutto il caso di valorizzare le risorse locali e di rendere meno stringente la dipendenza dai mercanti internazionali (dal globalismo);i disastri ambientali non sono ancora così evidenti o generalizzati o geograficamente estesi, o comunque non hanno ancora un impatto molto forte sulla salute della popolazione nazionale;culturalmente noi occidentali siamo convinti della piena giustezza del principio secondo cui la natura va considerata al servizio totale ed esclusivo dell’essere umano, al punto che possiamo sentirci liberi di farne ciò che vogliamo, e quando ci accorgiamo di compiere dei guasti, non li consideriamo mai irreparabili, anzi, siamo convinti di poterli risolvere proprio grazie all’aiuto della scienza e della tecnica, rifiutando l’idea che soluzioni di tipo tecnologico ai nostri problemi creano nuovi problemi alla natura.Insomma la questione cruciale del rapporto capitale/lavoro non è stata risolta a favore del lavoro non solo perché la gestione di quel rapporto è avvenuta nei paesi dell’ex “socialismo reale” soltanto in maniera autoritaria e burocratica (in occidente non s’è neppure tentata una soluzione, in quanto si è ancora fermi al livello delle mere rivendicazioni sindacali), ma anche perché si è pensato di poter risolvere questo problema limitandosi a “ereditare” le “forme” del capitalismo borghese più avanzato, cioè gli aspetti esteriori della rivoluzione tecnologica, che hanno contribuito, anche nei paesi socialisti, a devastare la natura.Il futuro socialismo democratico dovrà superare la mentalità, la cultura sottesa al concetto di “civiltà”. La lotta per la giustizia non dovrà essere fatta solo in direzione del “sociale” ma anche in direzione dell'”ambientale”. Il segno che ci farà capire di essere sulla strada giusta ci verrà dato dal fatto che in ambito sociale la “questione femminile” avrà una rilevanza particolare.Infatti la giustizia non sarà più basata sul rispetto formale della legge, ma sul rispetto sostanziale del bisogno, e là dove maggiori saranno i bisogni, maggiori dovranno essere i diritti.
Enrico Galavotti, La legalità della natura
Enrico Galavotti, La legalità della naturaultima modifica: 2008-04-27T14:54:45+02:00da
Reposta per primo quest’articolo