Francesco Raparelli, Il ” doppio” del desiderio e il suo anticorpo

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da Derive e approdi, 14.O5.2008

il«doppio» del desiderio e il suo anticorpo

di Francesco Raparelli

note sul fascismo contemporaneo e sul movimento

Il fascismo europeo di fine secolo è il fratello gemello, ovvero il «doppio» agghiacciante, delle più radicali istanze di libertà e di comunità che si dischiudono nella crisi della società del lavoro. È la caricatura maligna di ciò che uomini e donne potrebbero fare nell’epoca della comunicazione generalizzata, allorchè il sapere e il pensiero si presentano nitidamente come un bene comune. È la trasformazione in un incubo di ciò che Marx chiamava il «sogno di una cosa».
Questo scriveva il Collettivo Luogo comune nel giugno del ’93: non solo una lettura radicale del presente, piuttosto una profezia. Dunque il fascismo di nuova natura come «fratello gemello» delle virtualità di liberazione proprie del modo di produrre contemporaneo, torsione maligna della crisi della rappresentanza politica, veleno proprio dell’indebolimento della decisione sovrana. Alla profezia del ’93, a distanza di quindici anni, possiamo aggiungere, ahimè, molte sciagure, agguati, uccisioni, cose che tolgono il respiro e che riempiono gli occhi di rabbia, ma forse anche qualche elemento di analisi.
Seguendo altre pagine illuminanti, quelle di Mille plateaux, troviamo alcuni indizi importanti: il fascismo non è negazione del desiderio, ma il «doppio» malato del desiderio stesso. Più nello specifico il fascismo è il risultato di una «destratificazione» troppo violenta. Pensiamo all’epoca che stiamo vivendo: ci balza agli occhi, oltre all’esaurimento della rappresentanza, la crisi di due processi, la globalizzazione per un verso, il divenire cognitivo della produzione per l’altro. Quando parliamo di crisi dobbiamo stare attenti, non c’è alcuna possibilità di tornare indietro rispetto ad entrambi i processi, semplicemente la fase espansiva della globalizzazione neoliberista e dell’economia informazionale fa i conti con i malanni propri di un dispositivo che deve negare il comune pur dovendosene continuamente servire per produrre valore. Ciò che produce ricchezza, il comune (della cooperazione, della prassi linguistica, dell’autonomizzazione della forza invenzione, degli affetti), deve essere continuamente reso debole, spoliticizzato, perimetrato, bloccato. Questo malanno ha radici già lunghe, la crisi della Net-economy del marzo del 2000 ne è testimonianza, ma è con l’esplosione del movimento globale che la crisi trova la sua affermazione e la sua prima ed inefficace forma di cura: la guerra globale post-11 settembre.
Eppure in questi ultimi mesi la crisi sta vivendo un’accelerazione spaventosa: la recessione determinata dai mutui subprime, in generale dal rapporto malato tra deficit spending privatizzato, precarizzazione del lavoro e finanziarizzazione. Ma anche crisi di crescita, che pesa seriamente in Europa, per non parlare in Italia dove alla competizione globale non è mai stata data risposta in termine di innovazione e di investimento sulla ricerca. Dunque l’incubo di rimanere fuori dalla corsa globale, l’incubo che la spinta globale porta con sé, le migrazioni. La proposta divisionale e neo-protezionistica della Lega parla di questo e non di altro: i migranti comprimono il potere d’aquisto della nostra forza lavoro; le reti lunghe globali ci spingono ai margini della capacità di espansione produttiva. Le comunità immaginate di nuova natura vivono il battito materialistico della crisi, la necessità di dare risposte sicuritarie di fronte all’incertezza generalizzata. Un primo bacino culturale ed etico del nuovo fascismo trova casa in questa tempesta.
Ma anche crisi del general intellect. Nel fascismo contemporaneo emerge un anti-intellettualismo non estraneo alla società della conoscenza. Non si tratta di piccola borghesia in guerra, né di strati popolari marginali, si tratta di un nuovo proletariato intellettuale senza progetto, senza futuro, senza chance, stremato da un’inflazione semiotica senza pausa. Quando dico intellettuale ho messo da parte l’aura, parlo piuttosto di un proletariato ampiamente scolarizzato, cresciuto con la televisione o con la play station, amante di You tube, da sempre immerso nei dispositivi informazionali. Ed è proprio questo ambiente, così carico di virtualità di liberazione, che si presenta oggi sempre più come incubo. L’incubo di non essere all’altezza della continua necessità di formazione, l’incubo di non saper decodificare flussi cognitivi e semiotici sempre più ridondanti e pervasivi, l’incubo di rimanere indietro o di non saperne abbastanza, l’incubo di essere continuamente esposti a varizione e problemi inediti. Ansie che producono ossessioni sicuritarie, ma anche «destratificazioni violente» e con esse violenza, prevaricazione e xenofobia come forma di vita. C’è un senso di sconfitta nel general intellect del 2008, c’è il pieno ringhioso di una virtualità mancata, di una promessa smarrita, c’è tutta l’angoscia di una vita troppo complessa, c’è la necessità di semplificare, di agire per gesti semplici, distruttivi o autodistruttivi (il nuovo fascista, il nuovo drogato).
In questo senso combattere il nuovo fascismo vuol dire occuparsi di lotta di classe e di rapporti di forza socialmente qualificati. Per questo, parlare di nuda vita e di biopotere, senza dire nulla di quello che accade nella scena sociale, del lavoro, della vita messa in produzione, significa blaterare istanze neo-estremistiche che superano con difficoltà la suggestione estetica. Tra il fascismo contemporaneo e le singolarità che resistono c’è di mezzo un’intera scena produttiva, di comportamenti che vivono dentro il fallimento delle illusioni di Lisbona o di Delors e che parlano della necessità dei movimenti di farsi programma politico di massa oltre la rappresentanza. Che a Verona ci siano i migranti a resistere con forza alla cultura sicuritaria e fascista che ha ucciso Nicola è un dato straordinario che andrebbe valorizzato con forza. Di fronte allo smottamento della sinistra e alla crisi di forma di movimento, infatti, l’antifascismo è divenuto una sorta di ultima spiaggia dove far convivere senso di sconfitta e incapacità di leggere il presente, vocazione alla testimonianza o imbecillità identitaria. C’è bisogno piuttosto di molto realismo e molta concretezza: autodifesa intelligente ed efficace; inchiesta e lavoro politico nei settori sociali del nuovo proletariato metropolitano. Eroismo senza comune, libertà senza rapporti di forza: ecco quello che non serve.
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Francesco Raparelli, Il ” doppio” del desiderio e il suo anticorpoultima modifica: 2008-05-17T17:33:12+02:00da mangano1
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