Vittorio Bonanni, Diario di un partigiano ebreo

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da LIBERAZIONE,24/05/2008

in libreria l’edizione integrale dei diari del dirigente azionista, trucidato dai nazisti nel 1944

Né fede, né politica, l’ebraismo cosmopolita del partigiano Artom

lacopertina del libro “Emanuele Artom. Diari di un partigiano ebreo”

E’ stato sempre difficile conoscere i drammi esistenziali di chi aveva l'”imperativo categorico” di combattere il nazi-fascismo. La vita privata, resa così faticosa dalla necessità di imbracciare le armi, sembrava non avere cittadinanza non solo nella drammatica quotidianità di chi si cimentava in quella battaglia ma anche nell’immensa pubblicistica resistenziale, in un primo momento comprensibilmente più attenta a leggere e ad interpretare le dinamiche politiche della lotta di liberazione. Per questo la possibilità ora di sfogliare nella sua versione integrale i Diari di un partigiano ebreo , di Emanuele Artom (Bollati Boringhieri, pp. 264, euro 18,00), pubblicati per la prima volta nel 1966, consente di entrare nella vita privata non solo del protagonista ma anche di tanti altri combattenti, con le loro aspettative, le loro delusioni, le loro esigenze affettive e sessuali, ridisegnando dunque un’immagine del partigiano non convenzionale, che eviti di «insistere soltanto sui lati “edificanti” della Resistenza» come dice Giovanni De Luna nella sua premessa al libro Un’amicizia partigiana di Giorgio Agosti e Dante Livio Bianco, due esponenti di spicco del Partito d’Azione, lo stesso di Artom, che fu commissario politico di quell’organizzazione in Val Pellice e Val Germanasca. I tagli apportati quarantadue anni fa furono decisi proprio in virtù di quella ritrosia «nell’avvicinarsi alla dimensione più individuale della lotta armata, alle pulsioni sentimentali come a tutto quello che si riferiva al sesso, alla violenza, alle emozioni meno direttamente politiche», come ha scritto recentemente sempre De Luna su La Stampa . Il volume si compone di due parti: la prima è costituita da ricordi datati dal primo gennaio 1940 al dieci settembre 1943. Come dice Guri Schwarz, storico, membro del Centro

Interdipartimentale di Studi Ebraici dell’Università di Pisa e curatore dei diari, queste prime pagine contengono «interessanti descrizioni dell’applicazione della normativa razzista a Torino e degli effetti dei bombardamenti, ma anche tracce del percorso di crescita intellettuale del giovane Artom». Durante quei tre anni e mezzo, lo storico, nato nel 1915 ad Aosta ed esponente della borghesia intellettuale ebraica di Torino, prese i primi contatti con la casa editrice Einuadi, cominciò la collaborazione con Cesare Pavese, e si iscrisse, nel ’43, al Partito d’Azione. Quel periodo, caratterizzato dal primo impegno politico, è ricordato con grande emozione da Ugo Sacerdote, membro del Coordinamento delle Associazioni della Resistenza: «Vivemmo insieme i primi contatti con il mondo operaio – dice l’ex partigiano – sui treni dello sfollamento al tempo degli scioperi del marzo ’43; con lui iniziai una timida attività clandestina per il Partito d’Azione e per il Movimento Federalista Europeo; con lui partecipai ai gioiosi cortei del 25 luglio alla caduta di Mussolini; insieme decidemmo di partecipare alla Resistenza». Artom ha il grande merito di presentare questo momento, a volte esaltato, ritualizzato o peggio ancora dimenticato a seconda delle fasi politiche, come uno dei tanti tentativi di riscattare un’umanità avvilita allora dal nazismo e dal fascismo ma pur sempre organizzato da uomini con tutti i loro limiti. «2 agosto 1943. Ieri sera V. R. mi ha incaricato di iscriverlo al Partito d’Azione. Ho detto che secondo G. L. quattro su cinque degli iscritti a qualunque partito aderiscono con la speranza di far carriera. La cosa è disgustosa». Così «all’antifascismo generoso e spontaneo dei giovani come Artom – sottolinea De Luna – si affiancava quello astuto e calcolatore dei “politici”, quello vile e volgare dei “voltagabbana”. E in Emanuele il disprezzo per questi ultimi era almeno pari a quello per i fascisti».

Sono invece solo quattro i mesi che Artom ha riportato nella seconda parte del diario, datata novembre 1943-23 febbraio 1944. Un periodo breve dunque, soprattutto rispetto al primo, ma certamente molto intenso. Siamo nel momento più duro e impegnativo della lotta armata, dove i rapporti tra i vari partiti che componevano la galassia partigiana non erano certo tra i più facili. Il 7 novembre Artom entrava nelle bande dell’Italia Libera della Val Pellice e subito venne coinvolto in uno scambio di rappresentanti. L’intellettuale azionista fu inviato come delegato presso il comando comunista di Barbato e in quella sede il giovane ebreo verificò tutti i problemi presenti tra le due formazioni politiche. «Come testimonia egli stesso, la permanenza dell’Artom presso il nucleo comunista non fu facile – scrive Schwarz – e anche a causa delle crescenti tensioni tra i due gruppi politici dai primi di gennaio Emanuele rientrò in Val Pellice, dove fu nominato Commissario politico per il PdA».

Quello di Artom era il classico ebraismo cosmopolita, laico, al di fuori di ogni tentazione integralista, sia essa religiosa o politica. Dopo aver sostenuto in un primo momento la cultura sionista dirottò le proprie simpatie verso un progetto federalista europeo e considerò sempre la cultura ebraica altamente morale: «…è il popolo che non ha mai fatto male a nessuno» scriveva il giovane partigiano valdostano. Il suo essere ebreo, oltre che avversario del nazi-fascismo, spinse i tedeschi, che lo catturarono il 25 marzo del 1944, ad infierire su di lui, torturandolo per cinque lunghi giorni. «Le testimonianze dei compagni di prigionia sono raccapriccianti: – ricorda De Luna – bagni nell’acqua gelata, unghie estirpate, percosse fino a sfigurarlo, e poi gli scherni e gli insulti». L’odio dei nazisti contro l’ebreo democratico e antifascista fu totale e si espresse nel modo più terribile. Emanuele era consapevole del destino che avrebbe potuto incontrare. Scrisse nei suoi Diari: «Per il soldato la prigionia può essere anche un rifugio, per noi è la morte, e che morte! La morte di quel partigiano a cui i tedeschi strapparono le unghie prima di farlo fucilare».

Vittorio Bonanni, Diario di un partigiano ebreoultima modifica: 2008-05-24T17:20:36+02:00da mangano1
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