Maria R.Calderoni, Cent’anni in prima fila

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da Il Manifesto,10 giugno 2OO8

RECENSIONE di GLORIA CHIANESE, Mondi femminili in cento anni di sindacato
due volumi, edizioni Ediesse euro 4O pp. 996

NELLA FOTO

Una manifestazione negli anni 60 contro la chiusura del nastrificio Alcuati a Cremona

Cento ‘anni
in prima fila
Senza mai
chiedere nulla
per sé

Cento anni e mai senza, la Cgil e le sue donne. Pallide, povere, fedeli, a volte invisibili, a volte ignorate o vittime, a volte trascinanti, ribelli, eroiche. Donne e sindacato, cento lunghi anni da raccontare (e magari riscoprire). Lavoratrici che, di volta in volta, a seconda delle diverse fasi della storia del paese – mondine, filandere, tabacchine, maestre, telegrafiste, impiegate postali, commesse, operaie elettromeccaniche, operaie conserviere, emigrate ed immigrate, lavoratrici del pubblico impiego, giovani precarie – da sempre hanno popolato il mondo del sindacato. Segnandone, spesso in modo “differente”, la complessa, grande storia, specialmente per i tre filoni principali del protagonismo femminile: la parità salariale, i diritti in materia di gravidanza e maternità, il concetto di sussidiarietà del lavoro della donna.

Ultimi decenni dell’Ottocento, si può partire da lì, l’Italia giolittiana registra un nuovo sviluppo economico e profondi cambiamenti sociali,ma sul versante donna siamo al nulla: come rilevò già a suo tempo, fine secolo XIX, l'”emancipazionista” Anna Maria Mozzoni, «dopo l’Unità il genere femminile era rimasto privo di diritti politici, civili e sociali». Lavoratrici senza volto e senza status sia nelle campagne (dove sgobbavano come mezzadre, colone, braccianti) sia nell’industria, dove pure sono presenti nelle filande, nelle cartiere, nelle fabbriche di fiammiferi, nelle cave, nelle miniere, addirittura come manovali nell’edilizia.

L’emersione femminile è stata dura, appunto tutta in salita. Il “romanzo” delle donne lavoratrici lo racconta questo libro in due volumi appena pubblicato da Ediesse – Mondi femminili in cento anni di sindacato , a cura di Gloria Chianese (euro 40, pp. 996) , una bella cavalcata, a tratti avventurosa, anch’essa tutta dentro il sudato cammino dell’umanità verso liberazione e progresso.

Nel 1881 nasce, sotto la guida della già citata benemerita “emancipazionista” Anna Maria Mozzoni. la “Lega degli interessi femminili”; nel 1888 a Milano la prima Lega operaia femminile, la Società delle orlatrici.

Antiche e gloriose tabacchine, le proto-lavoratrici della statale Manifatture e Tabacchi, loro che nel 1887 ottennero le otto ore; nel 1904 la pensione; subito dopo il baliatico, una prima forma di asilo nido in fabbrica. Loro che proclamarono il primo sciopero nazionale.

E mitiche “piscinine”, le quasi bambine dei laboratori di sartoria milanesi, loro che nel 1902 scioperarono perchè venisse regolamentato lo “scatolone”, la pesante scatola con i capi di abbigliamento da portare a domicilio alle “sciure”, le signore clienti.

Mai saputo niente di Argentina Altobelli? E’ stata la prima donna a dirigere una Federazione sindacale, la Federbraccianti, anno 1906: quando le mondine di Molinella si ribellavano per non morire in risaia e le raccoglitrici di olive calabresi facevano lo sciopero del “cappuccio”, rifiutando di continuare a portare al collo un sacco che pesava oltre 30 chili. Mentre loro, le postelegrafoniche, dovevano lottare perchè fosse eliminato l’obbligo del nubilato; e le maestre perchè cadessero le norme restrittive in base alle quali potevano insegnare solo nelle classi femminili e solo nelle prime due classi delle elementari (sic).

“Donna al telaio, marito senza guaio”, è l’epopea delle lavoratrici tessili, un gran pezzo di storia patria: «il “lungo Ottocento” delle lavoratrici tessili tra manifattura domestica, protondustria e nuovo regime di fabbrica», così si intitola il primo capitolo a loro dedicato…

Nel 1880, secondo una inchiesta del tempo, non meno di 230 mila telai a mano erano presenti nelle abitazioni private, pressochè tutti azionati da donne. Ma con l’arrivo della meccanizzazione, le “filere”, le filatrici a domicilio, sono destinate a scomparire, inevitabilmente e rapidamente risucchiate nelle prime “vere industrie” della seta, cotone, lana (principalmente nella zona di Biella).

Le donne come prime sfruttate dell’era industriale. E’ infatti «ampiamente dimostrato dalla storiografia come alla base del primo importante sviluppo del capitalismo italiano ci sia stato un grande sfruttamento della manodopera femminile e minorile. Da questo punto di vista il settore tessile rappresenta la “culla dolorosa” del mondo del lavoro in Italia». Una relazione del 1872 denuncia ad esempio le condizioni delle “operaie in seta” della provincia di Como. Emerge «un quadro di orari massacranti (fino a 16 ore giornaliere), vitto insufficiente, alloggi fatiscenti, malattie mortali (tisi, scrofala, complicazioni uterine)».

Sono le laniere di Biella, le cotoniere di Milano e le setaiole di Como «a dare vita a tre lotte grandiose, entrate di diritto nella storia del movimento operaio». Nel 1910, sono le lavoratrici cotoniere in prima fila durante lo sciopero generale indetto dalla Camera del lavoro di Scafati (Salerno), lungo 134 giorni. Durante la Prima guerra mondiale, nel 1915, 40 mila tessili di Legnano, Busto Arsizio, Gallarate scioperano «per un supplemento di paga e due mesi di preavviso per la disdetta». E più tardi, nel 1919, durante il biennio rosso, anche le operaie tessili sono in campo: le sartine di Genova e Savona, le cappellaie di Milano, le operaie dei Cotonifici Mazzonis a Torino, delle Manifatture Cotoniere Meridionali in Campania.

Con l’avvento del fascismo, «il passaggio tra gli anni Venti e Trenta rappresentò per le lavoratrici il momento più drammatico». In particolare, nel settore tessile-abbigliamento, «le donne pagarono un prezzo molto alto in termini di occupazione, salari e condizioni di lavoro». Le squadracce hanno già distrutto tutto, Camere del lavoro, Leghe, Case del Popolo, ma le tessili combattono ancora. Nel 1927, sono loro a condurre l’87 per cento degli scioperi nel paese; nel gennaio del 1928, quella del Cotonificio Veneziano di Pordenone è l’astensione dal lavoro più lunga e compatta di tutto il settore tessile durante il fascismo: 3400 donne in sciopero per oltre un mese, con l’intervento diretto di Mussolini a provocare la serrata ad oltranza. E’ la battaglia “dei telai”, le donne che si battono contro l’aumento del carico di lavoro, quei telai a testa che da due passano a quattro, da quattro a sei (lo chiamavano taylorismo…).

Sebben che siamo donne. Nel 1942 le operaie della Manifattura Maglieria Milano di Reggio Emilia scioperano contro le direttive della direzione e del sindacato fascista; nel corso degli scioperi del 1943, quelli famosi concentrati nel triangolo industriale con alla testa gli operai delle grandi aziende metalmeccaniche, «non mancò l’apporto generoso delle maestranze tessili, circa 7 mila, che nella zona di Biella si astennero dal lavoro per dieci giorni, dal 22 aprile all’8 marzo». E’ subito dopo la Liberazione che nasce la Fiot (Federazione italiana operai tessili), un grande sindacato che ha alla testa la comunista Teresa Noce, a quel tempo la dirigente più in vista della Cgil: come membro dell’Assemblea Costituente «promosse la battaglia per il definitivo riconoscimento di cittadine dopo un secolo di lotte e per il diritto ad essere lavoratrici».

No, non riuscirono a tenerci sotto, sebben che siamo donne.

10/06/2008

Maria R.Calderoni, Cent’anni in prima filaultima modifica: 2008-06-10T18:36:41+02:00da mangano1
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