Giovanni Piana, La REVERIE in Bachelard

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ESCE LA RISTAMPA di un libro importante
Gaston Bachelard , La poetica della reverie , Dedalo pagine 219 euro 15,50

per testimoniarne la lezione riprendiamo una parte( il paragrafo 8) del saggio di
GIOVANNI PIANA
La notte dei lampi
(Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione ) Pubblicato dall’Editore Guerini e Associati, Milano, nel 1988

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8. Tematica della rêverie – Rêveriee soggettività – «La rêverie illustra il riposo dell’essere»

Ci si sarà probabilmente resi conto, nel corso della nostra esposizione, che leggendo il testo di Bachelard cercando di farne emergere lo sfondo teorico, si presentano numerosi temi – certamente più numerosi di quanto potrebbe apparire ad un primo sguardo. Ma anche, nello stesso tempo, che essi si presentano tanto strettamente intrecciati tra loro che l’uno appare come una variazione dell’altro, come se si trattasse di considerare da diverse angolature un unico nucleo problematico. |162| Ciò può essere detto anche in rapporto alla nozione dirêverie. Attraverso di essa non aggiungeremo nulla di realmente nuovo rispetto ai nostri sviluppi precedenti. Questa nozione contiene l’intero quadro che abbiamo delineato: e dà ad esso un altro tocco. |163|

Che cosa intende Bachelard quando parla di rêverie? Se incontrassimo questo termine in un contesto non troppo impegnativo, potremmo tradurlo con fantasticheria, ma in riferimento alla problematica che stiamo illustrando questa parola sarebbe inadatta, se non altro per quella sfumatura un po’ peggiorativa che essa riceve in molti impieghi correnti. |164|

In realtà mentre, come vedremo subito, tra sogno e rêverie dobbiamo porre una netta differenza, è proprio al sogno che converrà richiamarsi per illustrare il senso della rêverie. Anche in italiano infatti la parola «sogno» non viene impiegata solo per indicare quegli strani eventi che ci accadono mentre dormiamo, ma anche le nostre fantasticherie diurne. E ancor più converrà tenere presenti espressioni come «atmosfera sognante» o «paesaggio sognante»: qui ci troviamo molto prossimi alla sfumatura di senso della parola rêverie. La rêverie è una fantasticheria sognante – forse potremmo esprimerci così. |165|

Il senso di questa nozione, e il rilievo che ci accingiamo a dare ad essa, si comprende invece se la contrapponiamo al sogno in senso usuale, al sogno che accade nella notte. |166|

La rêverie si esercita in ogni caso nella veglia, e non durante il sonno – e proprio di qui essa trae quelle caratteristiche che la rendono tanto importante agli occhi di Bachelard. Egli osserva che, in quanto la dimensione della réverie è la dimensione autentica dell’esercizio concreto dell’immaginazione, noi dobbiamo dedicare ad essa un’attenzione molto maggiore di quanto forse lo psicologo sia disposto a concederle. Alla base di una possibile sottovalutazione della rêverie sta, secondo Bachelard, il fraintendimento della sua natura. |167|

Se consideriamo la rêverie come un peculiare stato di coscienza, tendiamo ad attribuire subito ad essa un carattere crepuscolare, che interpretiamo come un allentamento della coscienza che ci induce in una sorta di stato intermedio tra la piena consapevolezza, attivamente diretta all’ambiente circostante, e la totale inconsapevolezza dello stato di sonno. Potremmo allora ritenere che il caso intermedio sia implicitamente considerato nella considerazione dei casi estremi, e sarebbero questi dunque i casi veramente importanti e degni della massima attenzione. La rêverie non è altro che «un po’ di materia notturna dimenticata nella limpidezza del giorno» e la psicologia può applicarsi ai due poli, «quello del pensiero chiaro e quello del sogno notturno, sicura di avere in questo modo sotto controllo l’intero ambito della psiche umana» [80]. |168|

Secondo Bachelard, una simile risoluzione della rêverie come stato intermedio tra veglia e sogno non corrisponde alla sua natura «fenomenologica» – e qui il termine di fenomenologia rimanda proprio alla superficie descrittiva del fenomeno. Parlando di stato crepuscolare, di allentamento della coscienza si pensa subito ad un suo ottundimento, ad un suo offuscamento. Ma le cose stanno veramente così? |169|

Leggiamo, con Bachelard, questo passo tratto da Victor Hugo e citato nella introduzione alla Poetica della rêverie «Tutto questo non era né una città, né una chiesa, né un fiume, né colore, né luce, né ombra; era rêverie. – Sono rimasto a lungo immobile, lasciandomi dolcemente penetrare da questo insieme inesprimibile, dalla serenità del cielo, dalla malinconia dell’ora. Non so che cosa capitava nel mio spirito e non potrei dirlo, era uno di quegli istanti ineffabili in cui si sente in se stessi qualcosa che si sveglia» [81].|170|

Quest’ultima frase è soprattutto significativa in rapporto al problema della rêverie in Bachelard. Il paesaggio cittadino si allontana, si offusca, diventa indeterminato; le cose perdono la definitezza dei loro contorni. Ma questo allentamento della coscienza, anziché preludere al sonno che si avvicina, alla perdita della coscienza, prelude a quell’istante nel quale sentiamo in noi stessi qualcosa che si ridesta. In quell’istante, è l’immaginazione stessa che entra in opera, attivando quella funzione dell’io che è puntata verso l’irreale. |171|

Il diventare opaco del mondo appare così, più che un allentamento della coscienza, come una condizione per il ridestarsì della coscienza attivamente immaginante. Il crepuscolo della rêverie è il crepuscolo della realtà stessa, non è un decadere dell’io nella passività del sonno e del sogno, ma un emergere dell’io «irrealizzante» nell’allontanamento della dimensione della realtà. |172|

Ecco dunque che nella condizione della rêverie si annuncia la tematica stessa della soggettività, e di una soggettività emergente nella sua dimensione di libertà. E qui diventa particolarmente significativa, nel contesto del discorso di Bachelard, la differenza tra rêverie e sogno. Se ci disponiamo dal punto di vista della rêverie considerata nella sua natura autentica, essa si presenta non già come qualcosa di intermedio tra il sogno e la veglia e che dovrebbe dunque avere tratti in comune con l’uno e con l’altra: sono proprio quei due estremi che invece hanno forse qualcosa in comune. Nella veglia abbiamo dì fronte a noi la realtà stessa, che ci appare anzitutto come qualcosa che si impone e che si oppone alla soggettività. Anche se naturalmente noi possiamo intervenire liberamente sulla realtà: tuttavia essa si presenta in primo luogo nel suo essere come è, come un dato di fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma anche il sogno, per quanto debba essere annoverato tra i prodotti dell’immaginazione, considerato alla sua superficie, si presenta con un analogo carattere «necessitante». Noi non siamo padroni dei nostri sogni, non possiamo intervenire sugli eventi che accadono in essi. Proprio per questo gli eventi dei nostri sogni ci possono apparire profondamente estranei. |173|

A questa estraneità rispetto alla soggettività che sogna e che racconta i propri sogni Bachelard tende a conferire un particolare significato. Non solo non riconosciamo senz’altro, alla superficie del sogno, l’operare dell’immaginazione, ma nemmeno possiamo riconoscerci nei nostri sogni: «Spesso – osserva Bachelard – l’estraneità di un sogno può essere tale che un altro soggetto sembra sognare in noi» [82]. Naturalmente noi sappiamo che questa estraneità può avere una sua precisa spiegazione psicologica e rimanda alla tematica dell’inconscio e della dialettica tra conscio e inconscio. E Bachelard non lo ignora. Ma questa circostanza non toglie l’estraneità del sogno rispetto all’io e le spiegazioni psicoanalitiche possono essere rilevate in questo contesto nella stessa misura in cui sanciscono una sorta di frattura tra due livelli dell’io confermando, in un certo senso, che nel sogno l’io soggiace interamente all’inconscio e l’immaginazione come funzione dell’irreale ne segue le leggi. |174|

L’inconscio rappresenta così una sorta di nozione parallela alla nozione di realtà: né nell’uno né nell’altro caso l’io si può senz’altro riconoscere. La realtà si presenta – e abbiamo già avuto occasione di citare questa espressione di cui tuttavia solo ora possiamo valutare la portata – come «un non-io ostile, un non-io estraneo» [83]. E questa stessa ostilità ed estraneità potrebbe essere attribuita all’inconscio. |175|

L’idea di una profonda scissione della soggettività si presenta in Bachelard nella considerazione del rapporto attivo della soggettività con la realtà; e nella elaborazione «cieca» che l’immaginazione compie, alle nostre spalle, nei nostri sogni. |176|

Alla luce di tutto ciò assume un peso, in rapporto agli stessi contenuti della filosofia bachelardiana dell’immaginazione, la tematica della rêverie intesa come una vera e propria riconciliazione della soggettività stessa. L’io che sprofonda nella rêverie è l’io che ritorna a se stesso, quel «qualcosa che si ridesta» – nel passo di Hugo – è l’io stesso che, nell’immaginazione effettua il riconoscimento di sé, che si sente finalmente a casa. |177|

È proprio nella rêverie, e non nel sogno, che questa funzione fondamentale di riconciliazione, nella quale dobbiamo cogliere l’importanza autentica dell’immaginazione come funzione dell’irreale, può pienamente esplicarsi: «Se un sogno notturno può disgregare un’anima, diffondere nel giorno stesso le follie sperimentate nella notte, la rêverie aiuta veramente l’anima a fruire di una facile unità» [84]. |178|

Attraverso la nozione di rêverie l’immaginazione si ricongiunge con lo stesso concetto di soggettività. Nello stesso tempo comincia a diventare esplicita una nozione di soggettività tutta puntata in direzione dell’interiorità. La soggettività di cui si parla è la soggettività che si riconosce anzitutto nell’intimità delle proprie fantasticherie sognanti. |179|

A partire da questo punto di vista possiamo ritrovare molti dei motivi che abbiamo già incontrato in precedenza come caratteristici della filosofia dell’immaginazione di Bachelard. Ma ritrovarli da questo punto di vista significa anche proiettarli su un piano che va oltre quello dei lineamenti di una filosofia dell’immaginazione, richiamando invece quell’aspirazione alla realizzazione di una «metafisica concreta» a cui abbiamo accennato all’inizio dei nostri commenti: l’aspirazione cioè a delineare, attraverso la tematica dell’immaginazione, il profilo di una concezione dell’ esistenza stessa. |180|

Questa concezione assume un’impronta pronunciatamente interioristica. Tutti i temi precedenti debbono essere riconsiderati secondo questa prospettiva. |181|

Se, per esempio, in precedenza abbiamo attirato l’attenzione sul tema della solitudine, ora dobbiamo mettere in rilievo che questo tema è strettamente dipendente da un determinato modo di concepire il nesso tra immaginazione e soggettività. |182|

Del resto l’immaginazione in Bachelard non è solo solitaria: e anche un’immaginazione sedentaria. Ciò suona certamente un poco ironico: ma rimanda comunque ad un problema molto serio per Bachelard. Egli dice: «La rêverie illustra il riposo dell’essere» [85]. Possiamo abbandonarci alle nostre fantasticherie sognanti solo nella distensione del nostro essere. E intanto si ripresenta in contesti come questi la terminologia «ontologica», utilizzata naturalmente in modo tipicamente bachelardiano: la metafisica dell’immaginazione tende a diventare una metafisica del riposo. |183|

Giovanni Piana, La REVERIE in Bachelardultima modifica: 2008-06-14T18:14:14+02:00da mangano1
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