Centro Studi per la riforma dello Stato, UNDICI TESI DOPO LO TSUNAMI. PROTEO O ANTEO?

5cc2c00b7da85c519fa3d57f6f6fac15.jpg

DAL manifesto del 11 Giugno 2008

CENTRO STUDI PER LA RIFORMA DELLO STATO

11 TESI DOPO LO TSUNAMI – PROTEO O ANTEO? LA SINISTRA SULLE
PROPRIE TRACCE
Quando la politica non sa più parlare, il ceto politico parla solo a se stesso di
se stesso, non interpreta la società e ne rincorre le pulsioni

nella FOTO Eracle e Anteo

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

1. CAMBIO DI PASSO
Aprile 2008: va rilevato il tratto di discontinuità, forse di salto. Non si può
riprendere il discorso dall’heri dicebamus. Occorre un cambio di passo, nella
ricerca e nell’iniziativa. Non stava scritto che la transizione si chiudesse a
destra. Ma così è avvenuto. E tuttavia non è la sorpresa il sentimento
dominante: i segni c’erano, nel paese, e anche a Roma. Perché non siano
stati letti, è il problema. D’altra parte, non è la paura il sentimento che ci deve
dominare. Non c’è Annibale alle porte, non ci sarà un passaggio di regime. C’
è una nuova destra, di governo, e di amministrazione, da sottoporre ad
analisi e da contrastare nella decisione, con uno scatto di pensiero/azione.
2. DOPPIO FALLIMENTO
Si conferma il dato, che viene da lontano, di una maggioranza di
centro-destra nel paese reale. Negli ultimi quindici anni, l’opinione di centro si
è avvicinata all’opinione di destra. Se la Dc era un centro che guardava a
sinistra, Forza Italia è un centro che guarda a destra. Questo ha dato
l’illusione che ci fosse un residuo di centro da conquistare a sinistra. C’era,
ma meno consistente di quanto si pensasse. I mutamenti, non colti, di società,
a livello di territorio, sono stati più forti dell’iniziativa politica. Sono state due le
risposte a questi smottamenti di opinione: una a vocazione maggioritaria, una
a vocazione minoritaria. La prima, una risposta, diciamo così, espansiva:
competere al centro, per togliere al centro-destra un pezzo di consenso. Così,
i Progressisti, poi l’Ulivo, poi l’Unione, poi il Partito democratico. Che
quest’ultimo potesse assolvere a questa funzione da solo come un tutto, si è
dimostrato un progetto, a dir poco, non realistico. La seconda, una risposta,
diciamo così, difensiva: marcare una posizione alternativa, con una grande
ambizione e una piccola forza. Non si può essere, troppo a lungo,
anticapitalisti e deboli, antagonisti in pochi. Aprile, il più crudele dei mesi: due
fallimenti, del centro-sinistra e della sinistra, del grande partito di
centro-sinistra e della piccola aggregazione di sinistra.
3. POLITICA MUTA
Qui, un punto teorico-politico, che va affrontato. Si potrebbe chiamare
l’equivoco della rappresentanza. Anzi, il rapporto tra l’equivoco della
rappresentanza e quella che si dice la crisi della politica. Che cosa viene
prima, una crisi di rappresentanza sociale o una crisi di proposta politica?
Che cosa fa più difetto, la rappresentanza o la rappresentazione? Proviamo a
rovesciare il senso comune. E diciamo così: la crisi della politica comincia
non quando la politica non sa più ascoltare, ma quando la politica non sa più
parlare. Certo che bisogna ascoltare, la rappresentanza è essenziale, capire
la società, conoscerla, ma non è tanto la mancanza di questo che sta al fondo
della crisi della politica. Il fondo della crisi della politica è nel crollo di
soggettività politica, nella caduta, relativamente recente, della proposta
soggettiva. La politica non sa più parlare proprio perché non sa più leggere,
non sa più interpretare. E quindi non sa orientare, non sa dirigere. L’equivoco
della rappresentanza è il fatto di assumere il dato così com’è, anche il dato
della società, anche il dato della maggioranza di centrodestra nel paese. Se
lo assumi così com’è, e cerchi di correggere questo, e non ti fai carico invece
di una proposta politica forte, inneschi un processo che va a finire nella crisi
della politica. Prima produci l’antipolitica e poi ti fai carico di rappresentarla.
4. DECIFRARE E TRADURRE
Quando la politica non sa più parlare, allora viene fuori un ceto politico, e un
ceto amministrativo, autoreferenziale, che parla a se stesso e di se stesso,
perchè non sa più parlare al paese, alla società. Questo ceto politico,
impegnato a occuparsi di se stesso, entra nella logica di qualsiasi altro ceto..
Per garantirsi il consenso insegue le pulsioni di massa. Più le rappresenta,
più vince. La politica non è scollata dalla società civile, è incollata ad essa.
Se società civile è il campo degli interessi particolari e degli egoismi
corporati, allora la politica di oggi non la rappresenta poco, piuttosto le
assomiglia troppo. Questa politica è un pezzo di questa società, subalterna
alle leggi di movimento, nazionali e sovranazionali, attraverso cui essa si
autogoverna. Di qui, la crisi di senso dell’agire politico, vero e proprio fatto
d’epoca del nostro tempo. Perché, compito principale della politica non è
dare risposte, è fare domande. E’ la politica che deve interrogare la società, e
il dato che c’è, deve appunto saperlo leggere, decifrare, tradurre, e solo dopo
che lo ha interpretato, può rappresentarlo, ma mai rappresentarlo come
riflesso passivo, mai specchiarlo come si presenta oggettivamente, nel suo
gioco incontrollato di forze.
5. COSTRUIRE IL SOCIALE
Quale, su questo punto, la differenza tra adesso e ieri? In passato c’erano le
grandi classi, che avevano una voce, che parlavano, esprimevano, sì,
interessi, ma grandi interessi, di per sé riconoscibili. In quel caso la politica
era più facilitata a rappresentare, a raccogliere, perché la voce veniva da
potenti aggregati, già autonomamente, in qualche misura, organizzati. Era
meno importante allora leggere e interpretare, era più possibile direttamente
rappresentare. Ma quando le grandi classi si disgregano, e ti trovi di fronte a
una società frammentata, pluralistica, corporativizzata, cetualizzata,
anarchicamente individualizzata, quando non c’è più quindi voce sociale,
aumenta l’obbligo della voce politica. Parlare a questa frammentazione, vuol
dire elaborare una proposta riunificante. Il sociale ormai, nel capitalismo
dopo la classe, va costruito, non va descritto. Produrre legame sociale, e
produrlo attraverso il conflitto, o meglio, attraverso i conflitti, ecco il volto
nuovo della Sinistra, dopo il Movimento operaio. La Destra, nemmeno la
nuova destra, può e sa farlo. Il discrimine è qui. Fare società, ma con la
politica: se deve esserci missione, per la Nuova Sinistra, questa è.
6. DISAGIO E PAURA
C’è un’ondata di destra, che arriva, con il solito ritardo in Europa, dall’America
di Bush, proprio mentre lì va forse declinando. E’ una febbre da rivoluzione
conservatrice in tono minore, che attacca i corpi malandati dei nostri sistemi
politici. Lo schema è quello tradizionale: la paura come risposta al disagio.
Perché la paura non è la causa scatenante, la causa scatenante è il disagio,
di società, di umanità, e quindi di civiltà. La paura è un rimedio mobilitante
per chi non ha difese, e dunque le cerca, per chi non ha sicurezza del futuro e
dunque cerca sicurezza almeno nel presente. La destra corrisponde di più e
meglio al lato oscuro dell’animo umano, e la sinistra ha i Lumi ma da tempo li
tiene spenti. Una tesi politica, controcorrente, da sostenere con buone ragioni
potrebbe dire così: la destra vince perché non c’è la sinistra. E’ una tesi
dimostrabile empiricamente, ultimi dati elettorali alla mano, nel paese Italia e,
soprattutto, in quell’evento simbolico che è la caduta di Roma: non ha
sfondato il centro-destra, è franato il centro-sinistra. La verità da cominciare a
dire è che il centro-sinistra non ha futuro se non si riorganizza intorno a una
Grande Sinistra.
7. IL CONVITATO DI PIETRA
C’è un retroterra di questo discorso,che funge un po’ da convitato di pietra di
tutti i nostri pensieri. Dice questo: la destra vince, perché il capitalismo è forte.
Sta forse esaurendosi il ciclo neoliberista e sta forse riguadagnando spazio il
ruolo delle politiche pubbliche, e c’è da capire dove cadrà l’accento, se sul
passaggio di crisi o sul passaggio di ristrutturazione. La sfida è a livello
globale, e sarebbe bene non lasciare alla destra tutta intera la denuncia degli
effetti perversi della globalizzazione mercatista. Il capitalismo è forte perché
riesce a tenere ancora insieme innovazione di sistema, democrazia politica
ed egemonia culturale. Un blocco di potenza che ha permesso fin qui a
proprio favore due, e due sole, soluzioni di governo: o un centro-destra forte o
un centro-sinistra debole. La virtuosa alternanza nei sistemi bipolari o
bipartitici, modello Westminster, ha questo vizietto di fondo. In queste
condizioni, non c’è spazio né per una politica di pura gestione né per una
politica di mera contestazione. C’è posto solo per una guerra di posizione, di
media durata. La difficile situazione economica impatterà con il governo
politico della destra. E l’emergenza, che sembrava dover essere istituzionale,
magari sarà di più sociale. La storia-mondo, poi, è un campo di imprevedibili
eventi, se non la si guarda con la pappa del cuore, ma la si afferra con la
lucida intelligenza di una politica-mondo. Qui c’è un terreno favorevole per la
sinistra, se saprà essere meno Proteo e più Anteo, se saprà di meno apparire
in tante forme e di più ritrovare la sola terra da cui ricava la propria forza.
8. SINISTRA, CHI SEI?
Bisogna dire: il popolo della sinistra ha il diritto di avere, per sé, una forza
politica. E poi dire: l’Italia, per stare in Europa e nel mondo ha bisogno di una
sinistra. Non di una piccola sinistra, residuale, testimoniale, arroccata nei
passati simboli e nelle antiche identità, ma di una Grande Sinistra, moderna,
critica, autonoma, autorevole, popolare. Non si può concedere che l’anomalia
italiana si ripresenti oggi nella forma dell’eccezione di un paese senza una
grande forza politica che rivendichi con orgoglio questa funzione, nel nome,
nei fatti, nei valori. Il problema di oggi non è: che cosa è sinistra, ma chi è
sinistra. Più che conoscere, si tratta di andare a ri-conoscere il popolo della
sinistra. Ma, anche qui, riconoscere non vuol dire rappresentare, vuol dire
costruire, o meglio, ricostruire un campo di forze, in grado di portare un
progetto di trasformazione, strategicamente pensato e tatticamente agito.
Fondare un popolo: questo il Beruf – vocazione/professione – della politica,
quando non è chiacchiera ma discorso, non immagine ma idea, non
affabulazione ma organizzazione.
9. LAVORO E SAPERE
La nuova e antica centralità: dare forma politica al pluriverso del lavoro. Ci
vuole un’idea politica di lavoro, anzi, di lavoratore. Dopo l’esperienza storica
del movimento operaio, in che modo la persona che lavora, uomo e donna in
modo differente, può avere in quanto tale, non solo come cittadino, una
funzione politica? Come i lavoratori associati possono contare politicamente?
In che modo, per quali vie, con quali forme, possono esprimere un progetto di
modello sociale, di sistema politico, di egemonia culturale? E, anche qui, chi
sono oggi i lavoratori? C’è questo ceto medio acculturato di massa, che è
diventato un po’ la caricatura del blocco storico per il centro-sinistra: perché è
isolato e lontano dal resto della società reale. Ha una parte alta, che va verso
le professioni, una parte bassa che va verso il precariato, a volte le due
condizioni si congiungono. E’ prezioso lavoro della conoscenza, un decisivo
pezzo di lavoro immateriale, con in mano il futuro di sviluppo del paese. Va
ricongiunto al lavoro materiale, al lavoro manuale, che c’è anche quando
manovra le macchine, al lavoro operaio, salariato. Il lavoro sans phrase,
direbbe Marx. Ma qui ne va della dignità della sinistra il farsi carico e porre
rimedio a questa disperata solitudine operaia, che si esprime, come abbiamo
visto in tanti modi, a volte sconcertanti, che vanno riconosciuti, non giudicati.
Solo assolvendo politicamente a questo compito si può riaprire il discorso sul
nuovo «mondo del lavoro». Lavoro e sapere, si dice oggi. Più la differenza
del lavoro femminile. Il lavoro autonomo, di prima e seconda generazione,
che va ricongiunto al lavoro dipendente, garantito o precarizzato. Così come
il centro urbano va ricongiunto alle periferie metropolitane. Non è possibile
accettare come un destino il rovesciamento di consenso che si è verificato tra
questi spazi di territorio e in questi luoghi del sociale. Non è possibile. O
altrimenti essere di sinistra non ha più senso politico. Ecco la vera missione
di un forte partito della sinistra: recuperare il senso della propria funzione, nel
«fare popolo» come «soggetto politico». Ricongiungere, riannodare e
stringere il nodo tra campo sociale e forza politica.
10. IL VECCHIO CHE AVANZA
Diceva Brecht: sul muro sta scritto “viva la guerra”/ chi l’ha scritto, è già
caduto. Adesso si dice: non si può tornare indietro. Chi lo ha detto, ha già
messo un piede nel vuoto. Il nuovo a tutti i costi restaura il vecchio che
avanza. Abbiamo avuto a nostre spese, qui e ora, una lezione da manuale.
Calcoliamo bene le mosse, prendiamoci il tempo necessario. Ma non
escludiamo a priori il fatto che a volte è necessario fare un passo indietro per
saltare in avanti.
11. TRACCE DI CIVILTA’
Intendiamoci su questo. Non si tratta di mettere insieme i pezzi della vecchia
sinistra. Sarebbe un’operazione fuori tempo e senza spazio. Il vecchio
bisogna sempre che sia quello dell’avversario, mai il nostro. Tutte e due le
tradizioni, quella comunista e quella socialdemocratica, sono esaurite. Ma
non si creda che sia allora viva, per i bisogni della sinistra, la tradizione
liberaldemocratica. Il partito del popolo della sinistra è oltre tutta intera questa
storia. Le componenti popolari si sono sfaldate, ma le loro culture in senso
lato, cioè le tracce di civiltà, che esse hanno depositato nella storia del nostro
paese, sono lì, in attesa di essere riconosciute,valorizzate, riorganizzate e
riunificate con le nuove culture, con i nuovi grumi di civiltà: le esperienze di
organizzazione con le esperienze di movimento, il socialismo con il
femminismo, il cattolicesimo sociale con i diritti della persona, il lavoro
salariato con l’ambientalismo politico, la cultura del conflitto con la cultura
della pace. Tutto questo, insieme, è popolo della sinistra. E può diventare
partito del popolo della sinistra. Non è un blocco, è un campo. Non si
comporrà da solo. Bisogna comporlo. Ci vuole decisione politica e pensiero
forte. Ma, ecco: non si deve scherzare con i propri riferimenti, pratici e teorici.
Altrimenti, si diventa un’altra cosa.

Centro Studi per la riforma dello Stato, UNDICI TESI DOPO LO TSUNAMI. PROTEO O ANTEO?ultima modifica: 2008-06-15T17:44:04+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo