Christian Donelli, Intervista a Chiara Cretella

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dal blog inutileonline
Christian Donelli, Intervista a Chiara Cretella
20/05/08

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Controcultura e canone accademico, letteratura e arti visive, politica e femminismo: Chiara Cretella, scrittrice, critica letteraria, collabora alla cattedra di Letteratura Contemporanea del Dams di Bologna come Cultore della materia, è caporedattrice della rivista di poesia e studi di genere Le voci della Luna, scrive per riviste e quotidiani nazionali, ha pubblicato Gli insetti sono al di là della mia compassione (Pendragon) e Annunciazione in Metropolitana (Fazi), oltre ad una lunga serie di saggi, testi critici, prefazioni e traduzioni. A 31 non ci sta ad essere considerata una giovane autrice e critica e contesta l’immobilismo culturale italiano che porta a considerare i giovani artisti solo come una “patologia da curare”.

Università e cultura underground: può esistere un legame solido tra le due realtà? Quali suggestioni (artistiche e professionali) sviluppi collaborando come Cultore della materia al Dams?

I legami tra i due settori sono praticamente quasi inesistenti oggi, specialmente in campo letterario. Pochi avventurosi accademici mettono il naso fuori dalla cultura morta del canone, figuriamoci parlare di underground (anche l’atlante che ho curato sulle controculture dell’Emilia-Romagna è infatti difficile da inserire nei programmi d’esame). Sommovimenti critici in questo senso vengono più dai sociologi o dagli antropologi, che infatti cerco di frequentare il più possibile. Anche il Dams sotto questo punto di vista è abbastanza lacunoso, terribile visto che in passato è stato una fucina di associazionismi di giovani talenti. Quello che imparo non lo imparo dall’Università ma dagli studenti a cui faccio esami, sono loro che mi insegnano i nuovi slang, i loro gusti sempre in mutamento, le comunità nascenti, la creatività nel vestire che al Dams è sempre stata una connotazione importante di diversità. Amando molto la storia del costume e del design i nostri rimandi sono proficui, può capitare che parlando di avanguardie si arrivi a discutere di un taglio di capelli o della texture psichedelica di un abito. Cerco di avvicinarmi il più possibile ai loro interessi, l’importante non è studiare ma percepire il ragionamento come metodo applicabile nella vita.

Metamorfosi, trasformazioni di identità e di corpi. In Annunciazione in metropolitana il gotico scende su una Milano attuale ma totalmente decontestualizzandola: sembra di essere in un ’77 che profuma d’Ottocento e di Rainer Maria Rilke.

Di ’77 – di cui mi sono occupata per molti anni dedicando al fenomeno diversi studi – credo ce ne sia poco o nulla nel mio testo. Le ambientazioni sono tutte ottocentesche e derivano dal mio Dottorato di ricerca su Camillo Boito, architetto, critico d’arte, scrittore e direttore dell’Accademia di Brera per mezzo secolo, fino ai primissimi anni del Novecento. Dunque l’idea era di riportare in vita la Scapigliatura, che può anche essere considerata come la prima avanguardia italiana. L’ipotesi di un Tarchetti contemporaneo, tutto dedito al culto della morte poiché politicamente scorretto nel declamare la decadenza di un Risorgimento incompiuto, mi sembrava molto attinente con la nostra epoca di restaurazione. Gli altri rimandi più che a Rilke vanno all’area francese, prevalentemente a Sade, Gautier, Anatole France, Villiers de l’Isle-Adam.

Sei caporedattrice della rivista letteraria Le voci della Luna: come ti accosti all’analisi di lavori di giovani autori, essendo tu stessa molto giovane per il panorama della critica italiana?

Ti ringrazio ma a 31 anni non mi sento e non sono giovane, semplicemente l’Italia è dominata dalla gerontocrazia. Pensa che un quaranta-cinquantenne oggi è ancora chiamato un giovane scrittore! In realtà questo nasconde un immobilismo allucinante, tributo che l’estero non paga. Cosa può capire un critico settantenne – come molti ce ne sono oggi – delle ultime espressioni giovanili? Molto poco, gli sfuggono la lingua, il contesto, gli strumenti e i supporti informatici, una marea di cose insomma. Tutte cose ovviabili comunque, se gli anziani imparassero dai giovani invece di fare finta che essi siano una semplice patologia da curare o di farli permanere forzatamente in un precariato e in uno stato che considerano di minorità intellettuale.
Personalmente faccio critica da quando avevo venti anni, Le voci della Luna è stata la prima associazione in cui sono entrata ma nel frattempo nel corso degli anni ho scritto per moltissime riviste e anche quotidiani, senza contare che il lavoro accademico è esclusivamente un lavoro critico. Non ho dunque nessun problema ad accostarmi, specialmente dopo il Dottorato che mi ha fornito una solidità di categorie critiche che si sono sedimentate sul parallelo lavoro di scrittura creativa, ai giovani autori. L’unico problema sui giovani è l’estrema difficoltà nel trovare cose convincenti e innovative, in quanto personalmente cerco una poesia che non sia intimista ma propriamente di impegno politico, oppure “confessionale” in quanto strumento di analisi di genere. Tutte cose che sembrano sconosciute alla letteratura della mia generazione e a quelle successive. I motivi sono variegati e complessi, impossibile accennarne in questa sede.
Per questo in realtà negli ultimi anni la maggior parte dei testi che ho scelto di prefare per editarli nelle “Voci” sono stati spesso dei celebri nomi della nostra poesia – ad esempio nell’ultimo numero ho pubblicato gli inediti di Enzo Minarelli, Giovanni Fontana, Laura Pugno –. Per la rivista curo anche la parte iconografica. Scelgo un giovane autore underground che illustrerà tutto il numero e gli dedico un articolo critico. Per quel settore non faccio nessuna fatica invece a trovare artisti interessanti, molto davvero geniali anche quando sono ancora in erba. La redazione poi – siamo una rivista di studi sulla poesia e sulla letteratura femminili e sui femminismi –, è molto preparata e sparsa in tutta Italia, così abbiamo sempre tante novità da tutto il territorio nazionale – ad esempio abbiamo edito molti testi in dialetto – ma tanto traduciamo di inedito anche dall’estero.

Hai studiato le espressioni artistiche nei movimenti di contestazione: in che modo l’arte può essere rivolta? Matteo Guarnaccia crede che l’arte sia in grado di rappresentare, sempre, una “scheggia impazzita”.

Guarnaccia, che è stato uno dei primi che ho conosciuto e intervistato quando ho iniziato a studiare le controculture, è secondo me uno dei più fecondi illustratori italiani. Non capisco perché le case editrici si ostinino a scegliere delle grafiche così deludenti, ridicole, romantiche nel senso più deleterio della parola. Questa idea poi, che sia sempre necessario mettere una foto in copertina e non un disegno, trovo sia castrante e controproducente, abbiamo una fucina di giovani illustratori in Italia tra i migliori del mondo che non trovano lavoro se non nei pochi libri per bambini! Anche il mio testo era un romanzo illustrato, ma l’editore ha rifiutato le splendide tavole e la copertina che avevo scelto. Questo già risponde alla domanda che mi fai: l’arte, se è vera arte è sempre rivoluzionaria poiché è un esercizio dell’intelligenza e un rovesciamento della logica del potere.
Questo spiega perché le gallerie sono piene di immondizia commerciale. Gli artisti veri, come i veri attori e gli scrittori di talento, sono tenuti a latere della grande distribuzione. Non sono producenti alla logica culturale di questo capitalismo che tutto ingoia e rivende, soprattutto gli spiccioli d’avanguardia e di controcultura, pensa solo al Rap, ma questo sta avvenendo anche per molta street art.

Valerio Evangelisti, come nasce la collaborazione con il grande scrittore. Trovi un’analogia con le sue modalità di scrittura?

Collaboro a Carmilla con interventi per lo più sociali o letterari. Io e Valerio, oltre all’impegno politico, abbiamo in comune l’interesse per la storia, lui come studioso di formazione, io come base da utilizzare per la critica letteraria e per un romanzo storico che sto iniziando a scrivere. Devo dire che ho letto prima i suoi saggi storici, l’ho utilizzati nei miei studi sui movimenti politici a Bologna, per questo poi gli ho chiesto un breve saggio sul ’77 da inserire nell’Atlante dei movimenti culturali. Anche a lui interessa l’Ottocento, con un taglio però sempre politico che riguarda gli scrittori e il loro rapporto col Risorgimento, mentre io lavoro molto sull’estetica. Scrisse una recensione a Una nobile follia proprio mentre stavo iniziando a seguire come correlatrice la mia prima tesi di laurea su Tarchetti. Mi illuminò il fatto che ricordasse, lui così lontano per gusti e formazione, un piccolo grande classico dimenticato del nostro Ottocento letterario.
L’analisi delle rappresentazioni della morte, che studio da qualche anno, credo sia un altro fronte che a Valerio possa interessare. Altro filone che mi accomuna ai suoi studi – seppur con fini diversi – è la ricerca sul fantastico. Io studio quello tra Sette e Ottocento, ma anche quello surrealista, ed insieme lavoro sul perturbante legato alle iconografie ed epifanie femminili. Un progetto complesso in cui cerco di far convergere una lettura femminista.
A questo punto capisci che Carmilla non poteva che attrarmi come Mircalla.

Come ti sei avvicinata alle scritture carcerarie?

Studiando il ’77 sono arrivata alla repressione e alle leggi speciali, da lì il passo è stato breve. Ho approfondito per un po’ il terrorismo rosso degli anni Settanta e ho scoperto che in carcere molti – quasi tutti – hanno scritto dei libri. Questi testi non sono stati fin’ora analizzati come opere letterarie ma solo come documenti di un’epoca, neanche come documenti storici. Vedere in definitiva come l’esperienza politica abbia potuto incrociarsi con la letteratura è stato interessante e innovativo. A loro è ancora negata la parola, perché saranno sempre e solo quello che sono stati, ma Barbara Balzerani o la Colotti sono grandi scrittrici, così come è degno di essere studiato come classico il testo struggente di Naria – ormai introvabile e mai più ristampato – o come è importante esercitarsi criticamente sulla riflessione raffinatissima dello stile di Curcio. Un tabù della critica che è ridicolo e che fa ancora parte della rimozione politica su quegli anni. Ma la critica accademica è poi sempre stata così, si accorge solo 50 anni dopo di quello che le succede sotto il naso.

Un artista, uno scrittore, un poeta.

Scusa ma li declino in un’artista, una scrittrice e una poetessa: Artemisia Gentileschi, Rachilde, Anne Sexton.

Christian Donelli, Intervista a Chiara Cretellaultima modifica: 2008-07-16T17:35:19+02:00da mangano1
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