Jervis, I miei conti con Basaglia

da LA REPUBBLICA 4 settembre 2008

INTERVISTA DI LUCIANA SICA A JERVIS

247103093.jpgEsce “La razionalità negata”, un discorso su psichiatria e antipsichiatria
che discute la cultura degli anni Settanta
-Il libro è costruito in forma di dialogo con lo storico della medicina
Gilberto Corbellini
-“Il mio Manuale contrapponeva ai miti antipsichiatrici qualche nozione
sensata”
-“Andai a Gorizia nel ´66 affascinato dalla sua personalità, ma avevamo
opinioni diverse”}

di {{Luciana Sica}} (la Repubblica, 04.09.2008)

Le aggettivazioni sono tutte al negativo: «vaga, poco chiara, generica». E
poi, per trent´anni l´abbiamo chiamata legge Basaglia, ma sbagliando. Non
perché l´avremmo dovuta indicare più correttamente con il numero “180” – e
ai numeri siamo sempre un po´ ostici, si sa. Il punto è un altro: si doveva
chiamare con un altro nome! Il vero padre di quella legge – «fatta
all´italiana» – non sarebbe Basaglia, ma un medico psichiatra, un
parlamentare democristiano: a Bruno Orsini si deve «la formulazione e la1672133930.jpg
promulgazione» della celebre normativa che ha cancellato i manicomi.

«Lo sanno tutti!», si sorprende Giovanni Jervis, in questa intervista.
«Tutti quelli che se ne sono occupati, ne sono perfettamente a conoscenza.
Orsini ha raccolto le esigenze di cambiamento, certe idee che avevano
conquistato un largo consenso nell´opinione pubblica, ma la sintesi è stata
sua, e Basaglia non era mica d´accordo, lo ha detto subito, non gli piaceva
per niente l´ispirazione generale favorevole alla medicalizzazione,
considerava la psichiatria una disciplina sbagliata e oppressiva proprio per
un eccesso nell´impostazione medico-biologica – quella che aveva permesso
i
peggiori abusi. Per dire, Basaglia non avrebbe mai voluto strutture
psichiatriche come i reparti negli ospedali: immaginava piuttosto “un
network di appartamenti anti-crisi”… Lui e il movimento antipsichiatrico
erano violentemente contrari all´interpretazione del problema psichiatrico
in termini medici – per loro era piuttosto una questione politica. Al
contrario, l´impostazione di Orsini era del tipo: basta con i matti che
turbano l´ordine pubblico, questa è gente che ha disturbi, insomma sono
malati e come tali vanno trattati…».

“Jervis contro Basaglia”? Messa così, non si coglie il senso del nuovo libro
di Giovanni Jervis che si presta poco a una lettura tanto riduttiva, a una
semplificazione così sciatta, anacronistica e anche un po´ brutale,
restituendo l´immagine di un duello con un´ombra (il grande psichiatra
veneziano è morto nell´estate del 1980 a cinquantasei anni, per un tumore al
cervello). È un{ pamphlet} – senz´altro discutibile e decisamente destinato
a far discutere – che Jervis firma con Gilberto Corbellini, un cinquantenne
storico della medicina, e infatti si presenta sotto forma di dialogo: si
chiama {{La razionalità negata}} – sottotitolo “{Psichiatria e
antipsichiatria in Italia}” (esce giovedì 11 da Bollati Boringhieri, pagg.
174, euro 12).

Corbellini svolge un ruolo d´interlocutore dello studioso settantacinquenne,
autore di saggi importanti che spesso hanno come oggetto temi sociali e
politici, oggi più coinvolto nel mestiere di analista, dopo aver lasciato
molto tempo fa la psichiatria “attiva” e nel 2005 l´insegnamento
universitario alla “Sapienza” di Roma. È Corbellini, nelle ultime righe
dell´introduzione, che incoraggia «a prendere consapevolezza dei danni,
delle sofferenze e dei ritardi che una serie di irragionevoli controversie
ideologiche stanno causando da quasi mezzo secolo alla vita civile
italiana». Un invito genericamente rivolto a chi si occupa delle
innumerevoli varianti del disturbo mentale, ma anche – e forse soprattutto –
«a politici e intellettuali». Sia per la questione che si solleva – gli
ideologismi che indubbiamente hanno segnato la nostra storia recente – sia
per i destinatari della riflessione inevitabilmente rapida, in ballo c´è
qualcosa di più di una valutazione più o meno condivisibile della legge
Basaglia. L´impressione generale è quella di una presa di distanza
nettissima, radicale, inequivocabile da un certo clima politico e culturale
in cui si era sempre e comunque “con” o “contro” qualcuno o qualcosa.

Professor Jervis, la sua ripulsa degli anni Settanta è priva di sfumature:
sembra viscerale, oltre che razionale… È vero?

«Certo, e per molte buone ragioni: ho maturato un giudizio negativo di
quella stagione per quel suo gusto dell´astrattezza, la tendenza al
trionfalismo e alla retorica, i settarismi, le contrapposizioni, gli
schematismi, ignorando totalmente la realtà fattuale, il rigore
dell´analisi, la previsione delle conseguenze di azioni o anche solo di
parole… Una stagione incline alla violenza – non solo verbale, come
sappiamo – intrisa anche di romanticherie vagamente spiritualiste, di
confusi esistenzialismi, d´improbabili sperimentazioni, e molto più spesso
di eccessi tutt´altro che innocui… Del resto, sappiamo anche come le
follie collettive possano essere terribilmente normali».

{{La razionalità negata}} fa vistosamente il verso a {{L´istituzione
negata}}, il famoso volume collettaneo uscito nel ´68 da Einaudi. Il
sottotitolo di quel libro era “Rapporto da un ospedale psichiatrico”, e
infatti si raccontava la straordinaria esperienza di Gorizia. “A cura di
Franco Basaglia” era l´unica dizione che appariva in copertina. Come mai
non
figurava anche il suo nome?

«Perché era giusto così. Perché Basaglia era il vero artefice di
quell´esperienza, era lui il capo dell´équipe. In quegli anni io ero
consulente della casa editrice Einaudi e andai a Gorizia nel ´66 – avendo
già in mente il progetto di quel libro – affascinato dalla personalità di
Basaglia, uomo di grande intelligenza, con uno sguardo sulle cose
penetrante, perspicace, spiritoso, spregiudicato in senso buono. Non si può
dire che avesse un buon carattere, non era sempre facilissimo andare
d´accordo con lui, ma non era mai una persona mediocre. In ogni caso io non
l´ho idolatrato e molto presto è venuto fuori che avevamo opinioni diverse –
mai però c´è stata una lite tra noi. Del resto, il mio maestro era già stato
Ernesto De Martino, l´antropologo della devianza: non mi sono mai
considerato un allievo di Basaglia, e di fatto non lo ero».

{L´istituzione negata} ha un successo enorme e Basaglia diventa di colpo
una
star. Lei che ha ammirato il modello goriziano “razionale e moderato”, nello
stile delle comunità terapeutiche britanniche, detesta invece il movimento
antipsichiatrico degli anni Settanta che in Italia avrà un indiscusso capo
carismatico: Franco Basaglia, appunto. È questo a rendere il vostro rapporto
sempre più ambivalente?

«Basaglia era un uomo ambizioso, sanamente ambizioso, e fino a quel
momento
con una vita professionale un po´ frustrata perché lui avrebbe voluto fare
la carriera universitaria e inoltre non amava né Gorizia né i goriziani. Ma
lui, uomo di forte carattere, lì aveva fatto una scommessa: voleva
trasformare in un´esperienza-pilota quel vecchio ospedale retrivo in un
angolo periferico d´Italia – con pochi mezzi, senza l´appoggio delle
amministrazioni locali, con un paio di medici che lo spalleggiavano. E
quella scommessa, lui l´ha vinta. Dopo, nulla è stato più uguale a prima, di
fatto Basaglia è stato un po´ travolto dal successo, dal culto della sua
personalità e dalle ubriacature ideologiche di quegli anni».

Certi suoi modi di fare non lo nobilitano: ad esempio, il rapporto piuttosto
autoritario con gli infermieri, a volte con gli stessi medici… Ma che
senso ha dissacrarne il mito tirando fuori questi aspetti un po´ meschini
della personalità?

«Io non li considero meschini, perché Basaglia – per quanto egocentrico –
non era mai un uomo volgare. Piuttosto apparteneva a una famiglia abituata
a
comandare. Le racconterò un aneddoto: un giorno andammo insieme a
prendere
la sua macchina, nel garage accanto alla stazione di Venezia. Per qualche
ragione la sua auto gliel´avevano spostata, in un posto non suo e comunque
molto meno prestigioso. Lui si era scocciato, e non poco. “Noi”, mi disse in
quell´occasione, “certi privilegi sociali, abbiamo il difetto di prenderli
un po´ per dovuti”…».
Nel ´75, da Feltrinelli, esce il {Manuale critico di psichiatria}. Piace
molto quel suo libro, ma a Basaglia no. Perché?

«Il mio {Manuale} contrapponeva ai miti antipsichiatrici qualche nozione
sensata, neppure troppo originale, spiegava che parole come delirio,
allucinazione, psicosi non sono designazioni arbitrarie ma fenomeni
tragicamente reali. Per Basaglia, era un´operazione culturale sbagliata: il
punto è che non accettava volentieri nessun comprimario, dire che era un
accentratore è dire niente. Se uno pubblicava una cosa per conto suo, era
automaticamente diffidente».

Il suo {Manuale} rispecchia in pieno un certo linguaggio degli anni
Settanta, è un libro “contro le istituzioni, contro la scienza borghese,
contro le gerarchie e l´autorità”, in cui neppure manca quella frase-simbolo
per eccellenza: “ciò che è personale è politico”. Oggi, ne La razionalità
negata, lei dice “ammettiamolo, siamo tutti cambiati, anche noi
studiosi…”. Ammetterebbe di essere cambiato un pochino più di altri?

«Il discorso politico è sempre rimasto al centro dei miei interessi, ma
prima del Sessantotto credevo di più nel mondo della politica e dopo, mano a
mano, com´è accaduto anche ad altri, sempre meno. Io ero un po´ filocinese,
ma non sono mai andato a un´assemblea o a un corteo, non sono mai stato
un
militante, un organizzatore, un uomo d´apparato… Io ero un intellettuale
conficcato nei libri, m´interessava la psicoanalisi seppure con molte
riserve, e non disperavo di finire all´università, come poi è accaduto.
Sapevo perfettamente che l´esperienza della psichiatria “attiva” sarebbe
stata a termine, e lo dissi subito a Basaglia nel ´66: io vedevo il mio
futuro come quello di un clinico e di uno studioso… Sì, lo ammetto: ho
molto annacquato il vino politico, ma chi non l´ha fatto?».

Lei e Corbellini menate fendenti in più direzioni: sono attaccati, quasi
ridicolizzati non solo gli antipsichiatri, ma anche tutti quelli che anche
oggi non disdegnano la letteratura e la filosofia per la comprensione della
“follia”, tenendo magari poco conto delle categorie nosografiche o delle
ricerche epidemiologiche. L´intellettuale per il quale lei mostra la più
totale idiosincrasia è Michel Foucault: è stato davvero un cattivo maestro?

«Di Ronald Laing, non lo direi mai: lo definirei senz´altro un
antipsichiatra, ma anche un poeta, un mistico, un rinnovatore, uno
spontaneista, uno che navigava su territori politico-culturali rarefatti.
Foucault invece è stato proprio un cattivo maestro: uno che generalizzava
molto e analizzava pochissimo, con il grave demerito di aver idealizzato la
devianza sociale. È vero che non è stato il solo, ma lui l´ha fatto in modo
particolarmente convincente. Non per me, comunque».

Torniamo all´oggi, con l´aiuto dei dati che fornisce Corbellini nelle ultime
pagine del libro. Particolarmente sconfortanti sono quelli che confermano in
modo inequivocabile l´eccessivo peso del settore privato nella cura dei
malati. Nel Sud – si legge – i letti privati sono addirittura il doppio di
quelli pubblici. Ma se in questo Paese regna il malaffare, se le Regioni
privilegiano le cliniche convenzionate piuttosto che rafforzare le strutture
territoriali pubbliche, Franco Basaglia cosa c´entra?

«Assolutamente niente. Se oggi la psichiatria continua a zoppicare, se
l´assistenza ai malati è ancora quella che è, i motivi vanno fatti risalire
alle derive della politica e della cultura, ai fallimenti delle Regioni,
alla vulgata di certe idee antipsichiatriche. Non a Franco Basaglia, che ne
è del tutto innocente… Questa è l´Italia».
__._,_.___

Jervis, I miei conti con Basagliaultima modifica: 2008-09-04T20:20:00+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo

20 pensieri su “Jervis, I miei conti con Basaglia

  1. Ritengo che questo articolo, pur partendo da un’esigenza comprensibile, di completare il discorso di Basaglia, non proponga molto, se non un pragmatismo di tipo anglosassone e una revisione della legge 180, che è un spinta propulsiva e non regressiva a migliorare le strutture, alla comunità aperte, agli alloggi individualizzati con responsabili di cura. E’ un problema che nessuno vuole affrontare seriamente, perchè il disturbo psichico è il rimosso della nostra società. Eppure l’alloggio individualizzato con persone che fanno un patto di cura e usufruiscono dell’alloggio, costa quanto una persona in comunità, dove regredisce con gli altri con grave handicap. E’ un progresso sulla linea di Basaglia. Ma Jervis cosa propone di avanzato?

  2. Andrebbero discusse su qualche iornale serio questi nuovi progetti, come quello Prisma di Perugia della Città del Sole e fatto un servizio su Trieste. Consiglio di prendere il dvd di Stefano Rulli Un silenzio particolare, in cui quando Matteo parla di voler tornare a casa, parla dell’alloggio individualizzato, con persone che fanno un patto di cura. Il Progetto gli ha permesso di lavorare e di viaggiare. Tutto nel dvd, pluripremiato e validissimo fil. Io ho una figlia che soffre di disagio emotivo e credo che migliorerebbe in una situazione del genere. Ho bisogno di un pò di visiilità perchè si realizzi anche in Campania.

  3. Ma non c’è mai un articolo o una serie di servizi sul disagio mentale e i servizi disponibili per quelli che soffrono a trent’anni dalla legge Basaglia. Questo di Jervis non è utile. Sarebbe opportuno farne anche sulla Rai o sulla 7. O almeno, fatelo voi. Non si può lasciare sempre nel cerchio chiuso, nel ghetto dell’improvvisazione le persone con disagio mentale. La gente ne ha paure e li rinchiude da secoli. E’ ora di parlarne. Seriamente. ..Non si può parlare di progresso se in Italia, tranne che a Trieste e a Perugia, tutto è affidato nelle mani di comunità private e religiose, di cui io ho visto qualcosa e non mi piacciono. Vogliamo cambiare? Usciamo dal Medioevo.

  4. Il libro mi sta piacendo molto e mi aiuta a riflettere su una realtà davvero complessa ed in movimento (anche se lentamente, soprattutto da noi) piena di cose da fare.
    I miei complimenti e ringraziamenti a Jervis e Corbellini da uno psichiatra quarantenne

  5. Mi dispiace , ma non sono d’accordo. Non si torna indieto . Dopo l’approvazione della legge Bsaglia, si dovevano creare strutture, fare progetti. Nelle parole stesse di Basaglia c’erano molte indicazioni e speranze che non sono state prese in considerazione. I progetti individualizzati di alloggio , al contrario delle cliniche e delle comunità raffazzonate, costano molto meno e permettono alla persona con disagio mentale di reinserirsi nella società(leggere con attenzione il Progetto Prisma , della fondazione Clara sereni). E si vada a vedere il DSM di Trieste diretto da Peppe dell’Acqua. Il libro di Di Vittorio, Foucault e Bsaglia, illustra bene la situazione di allora e le premesse per oggi. Perchè seguire vecchie strade?. Per la stgmatizzazione del malato?o Per spendere più soldi. O per tornare ai lager?

  6. E cominciamo bene , anche con qualche argomento di cui non si parla
    mai! Il rimosso della società occidentale: il disagio psichico. A
    che punto siamo a trent’anni dalla legge Basaglia? Quali sono le
    strutture i progetti, istituzionali e non ,per coloro che soffrono
    del male oscuro, di cui non si parla? Eppure ci sono,purtroppo, più
    di 110 proposte di revisione della legge Basaglia!Si torna ai
    lager, all’emarginazione. Finora il silenzio, il cerchio chiuso
    della solitudine e dell’emarginazione, adesso si vuole tornare ai
    lager! Parliamone con Peppe Dell’Acqua, direttore del DSMdi
    Trieste, con Munizza, Galimberti, Clara Sereni e la sua fondazione,
    il filosofo Di Vittorio, che ha scritto un libro su Foucault e
    Basaglia,e tanti altri. Facciamo un bel documentario su Trieste e
    Perugia, realtà all’avanguardia,mentre il sipario cala sul Sud, e
    anche su Roma. Il documentario, fatto da Pierluca Rossi, fa gola a
    Sky. Infatti Sky compra i suoi documentari. Adesso c’è anche
    l’intervista a Jervis su Repubblica del 4/9, che polemizza con la
    legge Basaglia.A Gad Non mancano le conoscenze di filosofi,
    scienziati,operatori, per fare un bel dibattito sociale, politico e
    culturale, come se ne sono fatti sugli extracomunitari, sulle donne
    etc Alziamo ancora il livello, come in quelle trasmissioni.
    Parliamo anche di noi, delle nostre angosce, delle nostre paure,
    dello specchio oscuro, in cui talvolta non riusciamo a guardarci.
    Ascoltiamo anche il grande Borgna, sul rapporto tra follia e arte.
    E poi vediamo se anche ‘i matti’ non devono avere una stanza tutta
    per loro, come consigliava Virginia Woolf. E allora,, hai il
    coraggio o temi che gli ascolti calino. Non credo, anzi…
    E sul mio blog . http://www.dopodinoi.wordpress.com, devo inserire ancora
    Van Gogh, ,Nietzsche, Schubert, Trakl, Kafka etc. E non
    dimentichiamo Bergmann (Come in uno specchio), Rulli’ Un silenzio
    particolare’… Qual è il confine tra poesia e follia? Non sarebbe
    male, ma c’è tanto, tanto da dire.Non c’è solo la intuizione
    sensibile, la conoscenza sensoriale, ma anche l’intuizione
    fenomenologicaa che ci consente di cogliere l’essenza profonda e
    nascosta degli oggetti. Si deve giungere a una conoscenza
    categoriale della realtà che fa emergere le realtà essenziali e
    categoriali. Queste vengono colte con maggiore immediatezza dagli
    artisti folli.

  7. Ho la netta sensazione che – in maniera molto prudente e abile – si stia aprendo una campagna per l’abrogazione delle faticose conquiste legate alla legge Basaglia di cui quest’anno si celebra (speriamo non ultimo!), l’anniversario, il trentesimo.
    Facendo, oltretutto, affidamento sulla superficialità che a volte, indotti anche dall’incalzare dei tempi rapidi di pubblicazione, coinvolge giornalisti seri e stimati.
    Si fa perno sulla cosiddetta pericolosità sociale del malato mentale e sulla insostenibilità (ovvia) da parte delle famiglie, spesso, a convivere con familiari gravemente disturbati, in una vergognosa, diffusa, “normale” latitanza dei servizi pubblici, operanti in attuazione della legge 180 solo in alcune aziende sanitarie, un po’ sparse sul territorio nazionale, con alcune buone e valide esperienze anche al Sud.
    E si mescolano le cose, per montare l’allarme pubblico, in modo che, sull’induzione di una nuova paura sociale, si possano mandare poi avanti quei progetti di legge vergognosi che per ora giacciono silenziosi in parlamento.
    Facciamo un esempio. Si dice che dopo l’introduzione della legge 180, sono stati oltre 3.000 i suicidi di malati mentali. Detta così (e appunto così si dice!) apparirebbe una particolare pericolosità – per sé e per gli altri – dei malati mentali, senza tener presente, peraltro, che questo è il numero complessivo dei suicidi soprattutto nei primi anni successivi al 1978 e che spesso i suicidi non sono malati mentali espliciti, ma semplicemente depressi, che spesso non hanno neanche avuto occasione di ricorrere a specifiche cure mediche. Ricordate il recente caso del commercialista di Verona? Ma dire che i malati mentali si suicidano – sottintendendo anche: se non riescono a uccidere se stessi, uccideranno senz’altro chi gli sta vicino – è un’operazione infame, che però prepara il terreno, culturalmente, a far sì che le future discussioni in parlamento avvengano con una prevalente opinione pubblica già benevolmente predisposta.
    Ci è caduto anche il buon Augias.
    Nella sua rubrica di lettere su Repubblica, quella dello scorso 6 dicembre, pubblica, è vero, una lettera indignata della dottoressa Dolores Carli psicologa in una asl di Roma. Indignata perché tra l’altro Augias definisce la psichiatria pubblica “rudimentale”, mentre la psicologa più esattamente la definisce “povera”, difendendo le capacità e l‘impegno suo e dei suoi colleghi. Augias se la cava nella risposta citando due lettere da lui ricevute: una che lamenta il carico sulle famiglie e, ancor peggiore, una lettera di Claudio Alvagnini, sostenitore della definizione di Jervis della legge Basaglia, come legge nefasta.
    Se passa il messaggio (che Augias pubblica senza alcun commento) che la 180 è nefasta, ovvio che debba essere abolita!
    Ma ci cade anche l’Unità, quella che nel suo numero dello scorso 3 dicembre doverosamente dà ampio spazio al convegno di Lucca per il centenario della nascita di Mario Tobino. Ma, acriticamente dando spazio solo a Michele Zappella, gli consente di far passare un altro “opportuno” e “utile” messaggio, quello, cioè che “in questo contesto anche la legge 180 va riesaminata con mente libera da pregiudizi e da demagogie”. Ma qual è il contesto cui Zappella si riferisce? È quello della necessità di “organizzare un territorio, spesso poco attrezzato alle esigenze del malato, con strutture diurne e di ricovero che ne migliorino la qualità della vita, lo rendano autonomo dalla famiglia d’origine e liberino quest’ultima da un peso eccessivo”.
    Ma allora, santiddio!, se il contesto e le necessità sono queste – e lo sono – non va rivista, ma va attuata la legge 180.
    Tra l’altro, si ignora che molte strutture territoriali hanno molte soluzioni comunitarie e personalizzate, che appunto sottraggono alla famiglia il compito dell’assistenza diretta. Ma, proprio nell’attuazione della legge 180, cercano e sperimentano nuove soluzioni, costruite sull’individuo, sulla persona, sul suo progetto di vita, come il progetto Prisma della Fondazione La città del sole, di Clara Sereni e Stefano Rulli, di cui s’è dibattuto in un recente convegno a Perugia e di cui l’Unità (unico giornale nazionale) ha dato ampia notizia lo scorso 29 novembre.
    O si vogliono ripristinare misure di contenzione del malato?
    Sono state presentate due proposte di legge, una a firma dell’on. Ciccioli (Pdl-An) e l’altra a firma del senatori Carra, Bianconi e Colli (Pdl). Tendono entrambe a rafforzare e prolungare il ricovero coatto. In quella del Senato, si ripropone un processo di rimanicomializzazione, correlando il dissenso, non validamente espresso dai malati di mente, con un intervento obbligatorio finalizzato al controllo soprattutto comportamentale dei malati stessi, controllo che, quando non possa ottenersi mediante idonee “terapie”, deve essere attuato in termini di custodia, con un ragionamento, del tutto manicomiale, per cui se i comportamenti malati non sono “guariti” dal trattamento, allora s’impone la prosecuzione di quello stesso trattamento (già risultato inefficace!) tenendo il malato rinchiuso. “Dove non arrivano le cure (così in un commento al disegno di legge, trascritto dal sito del senato, come le precedenti considerazioni) arrivano dunque i muri di recinzione, ovviamente solo ai fini di una pretesa tranquillità sociale”.
    Quindi di nuovo i manicomi, con l’alibi di Tobino!
    Ha scritto Peppe Dell’acqua: “Riconoscere a Tobino la formidabile profondità letteraria con la quale descrisse la follia, il delirio, le passioni amorose, le storie, la guerra, la drammatica esistenza delle donne e degli uomini ritratti nei suoi libri non è affatto difficile e superfluo. Ma non pensiamo si possa celebrare nello stesso modo il Tobino medico che scrive di manicomi e di psichiatrie”.
    Già.
    Perché è davvero affascinante il legame intimo tra lo scrittore e i “suoi” malati, ma questo non giustifica alcun tentativo di ristabilire, quanto meno per ora solo in parte, la contenzione manicomiale.
    Allora mi sembra proprio che siamo alle soglie di una nuova battaglia politica di libertà, che questo governo vuole ulteriormente restringere.
    Cosa fa l’Unità? L’imparziale registratore delle varie posizioni, come oggi con la pubblicazione di una lettera di Dell’Acqua o una bella e tutt’intera pagina sul convegno di Torino, in cui si discute del rapporto tra il pensiero di Basaglia e il pensiero filosofico?
    Basta, per un giornale come il vostro, farsi neutrali informatori di ciò che comincia ad accadere, o non è anche necessario una più strutturata attenzione, magari con un Osservatorio permanente, che ci consenta di non essere – ancora e sempre – presi alla sprovvista, mentre tutto il centrodestra lavora alacremente per attuare il programma berlusconiano?
    Grazie e saluti.
    Manlio Talamo

  8. segnalo in aggiunta il testo di BUCCI su Basaglia e la filosofia del 900, lo spazio per commenti è sempre disponibile e mi auguro inoltre che arrivino anche articoli da pubblicare, non solo commenti.

  9. leggo con immenso stupore le bestialità di tal malnio talamo: ” faticose conquiste legate alla legge Basaglia”
    QUALI SAREBBERO ?
    aver massacrato migliaia di poveri matti ?
    aver abbandonato al dolore e alla disperazione le loro famiglie ?
    aver fatto vincere una ideologia cretina secondo la quale i matti non esisterebbero se la società non li facesse diventare tali ?
    V E R G O G N A T I tu e tutti i basagliani, grazie a voi l’Italia è lo zimbello del mondo anche in questo campo

  10. non so chi sia il poco gentile interlocutore critico ma credo sia ben poco informato sulla storia di un modello culturale e terapeutico che ha avuto la sua funzione di battistrada e di cui ha senso discutere degli stessi eventuali limiti emersi nel corso del tempo alla luce di una analisi molto più attenta di quella formulata dal mio critico

I commenti sono chiusi.