Attilio Mangano, Chi cavalca l’ONDA?

ATTILIO MANGANO
( CON L’AMARO IN BOCCA) MA CHI CAVALCA L’ONDa?
chi cavalca.jpg

pochi giorni di distanza dallo sciopero generale della scuola, che in teoria
ha rafforzato il sostegno politico all’ONDA ANOMALA del nuovo movimento
ma di fatto ha teso a cavalcarlo per poi gestirne in vario modo la
rappresentanza, il problema della possibile autonomia ( a-partitica) del
movimento stesso riemerge nella sua difficoltà strategica e nella
tendenziale scomposizione fra una” minoranza rumorosa “e una
“maggioranza silenziosa”, esasperato da una impostazione puramente
protestataria che è comunque costretta dai fatti a inventarsi nuove forme di
azione e di iniziativa o a rifluire. Ciò che accomuna nel suo insieme il nuovo
movimento è una paura del futuro, un immaginario politico in cui è attesa con
ansia la disoccupazione e precarietà prossima ventura innescata dalla crisi
economica reale e dalla recessione, ma in fin dei conti basta seguire sulla
cronaca dei giornali gli episodi diversi, le interviste a singoli esponenti, gli
episodi di contrasto interno per constatare le diversità locali, lo scontro
organizzativo di leadership fra gli spezzoni politicizzati che preesistevano (
centri sociali, rifondaz., cobas) e hanno attitudine ed esperienza di
mobilitazione e i nuovi quadri locali, preoccupati di non farsi strumentalizzare.
Piccoli episodi significativi fra gli altri, a Milano a Cadorna grazie a un
megafono dopo la manifestazione i quadri nuovi son riusciti a impedire che
ess a proseguisse come puro scorazzamento per le strade, a Bologna invece
sono stati centri sociali e anarchici a fare fuoco e fiamme contro Beppe Grillo
individuato come bersaglio, a Roma l’episodio ormai famoso dello scontro
fascisti-antifascisti ha confermato come le pressioni tradizionali in direzione
delle logiche di scontro siano molto forti, smentendo nei fatti lo slogan del nè
rossi nè neri- solo liberi pensieri. La preoccupazione del nuovo movimento di
essere ricacciato nel limbo del sessantottismo e dell’estremismo e di
dimostrare una vera autonomia è uno dei problemi con cui misurare la
propria sopravvivenza e cavalcare l’onda nel lungo periodo. La stessa
memoria del 68 insegna come allora NON fu affrontato e risolto, sia per il
fascino delle altre ” scorciatoie” ( compresa quella di andare dagli operai) sia
per la costituzione nel giro di poco dei nuovi ” gruppi-partitini” in grado di
assumere la direzione e di spartirsi la base stessa.D’altra parte è possibile
individuare la presenza di diverse possibilità tattiche: la delegazione che va
a discutere col presidente Napolitano corrisponde a un tipo di scelta politica
che cerca alleanze e interlocutori ma è solo una delle logiche politiche,
quella dell’antifascismo rosso è un’altra. Ma l’altro ordine di problemi è il tipo
di proposta che la sinistra partitica ha tirato fuori, l’idea di una prosecuzione
attraverso la proposta di referendum non è solo un escamotage, è un modo
per riproporre insieme protesta e movimento di coalizione attraverso una
forte simbolizzazione politica, di fare del decreto Gelmini una sorta di nuovo
articolo 18 . come ai tempi di Cofferati., proiettando il movimento sulla
prospettiva di manifestazioni nazionali unitarie sindacati-sinistra- famiglie e
maestre . E’ il caso di citare a questo proposito un intervento del sociologo
Carlo Gambescia sul suo blog che tende a cogliere con acutezza alcune
contraddizioni che a quel punto non riguardano più il movimento ma la
sinistra attuale.

“Qualche riflessione sulla manifestazione romana contro il decreto Gelmini”

Iniziamo con una battuta. Cattiva.
Se Berlusconi nel 2007, avesse organizzato a Roma, nell’ arco di una
settimana, due manifestazioni “oceaniche” contro il governo Prodi, il
centrosinistra si sarebbe rivolto all’Onu, per chiedere un intervento dei caschi
blu contro due nuove marce fasciste su Roma.
Ma cerchiamo di essere lucidi e seri.
La manifestazione di ieri è per un verso un successo “di massa”, ma per l’altro
rappresenta una decisa normalizzazione imposta “dalla élite” del
centrosinistra. O per dirla tutta: un azzeramento e sconfitta dell’ “Onda” e di
ogni volontà collettiva di cambiamento “sistemico”, o comunque “forte”. E non
solo nel mondo scolastico e universitario.
Una vera e propria controrivoluzione politica e sindacale, iniziata con
l’espulsione violenta da piazza Navona, di quegli studenti di destra che
invece si proponevano, una tantum e seriamente, di volare oltre la destra e la
sinistra. Un progetto che nei giorni precedenti, sembrava aver affascinato e
caratterizzato (e non solo in chiave di borghese culto dell’ apoliticità) lo stesso
movimento degli studenti anti-Gelmini. E invece no: ha avuto la meglio il
solito opportunistico collante antifascista. Per fare la gioia dei Fioroni, dei
Veltroni, dei Di Pietro, delle Bindi e compagnia cantante. E, dulcis in fundo, di
Epifani. A capo di un sindacato ultramoderato, la Cgil, che non è stato finora
capace di prendere una posizione chiara e netta contro l’introduzione nella
legislazione italiana sui contratti di lavoro della cosiddetta flessibilità, così
cara alla Confindustria.
Notare un cosa: mentre a piazza del Popolo si cantava l’inno di Mameli;
intonato dagli stessi che nei giorni precedenti si erano opposti a celebrare
tout court il 4 Novembre, il Ministero della Pubblica Istruzione veniva
circondato, “anche” dagli studenti della sinistra più aggressiva. Come dire,
nella ricostituita unità del centrosinistra, c’è spazio per tutti dal sindacalista in
piedpoul ai lanciatori di (falce e) martello … Sfogatevi un po’ ragazzi… Quel
che conta è l’esclusione di coloro che, guarda caso, aspirino, una tantum e
sul serio, a volare oltre la destra e la sinistra all’insegna di un tonante e
azzeccatissimo ” Né rossi né neri, solo liberi pensieri”.
Quanto al centrosinistra ministeriabile, sul che cosa fare effettivamente – a
parte un improbabile referendum – poi si vedrà: ci penseranno, una volta
tornati al potere Bersani, Padoa-Schioppa, gli economisti de Lavoce.info…
Oppure chissà la Discesa in Terra del nuovo Messia Americano Barack
Obama…
La tragedia di “questo” centrosinistra è che sembra essere d’accordo, al suo
interno e con il “popolo” di sinistra, solo quando deve dire no a Berlusconi.
Dopo di che sotto gli slogan nulla…
Non la proposta di un provvedimento, chiaro e netto, contro il numero chiuso,
contro la flessibilità, oppure per contrastare seriamente gli incidenti sul
lavoro. Per quale ragione? Perché si dovrebbe mettere in discussione il
capitalismo, o quanto meno la sua deriva speculativa e aggressiva nei
riguardi dei lavoratori. E non lo si vuole fare – e questa è una tragedia nella
tragedia, per ogni vero riformista – neppure nei termini infrasistemici di una
socialdemocrazia classica.
Notare un’altra cosa: il “partito” di Repubblica, da sempre nelle grazie di certo
capitalismo italiano con facciata riverniciata a sinistra e portafoglio a destra, si
è fatto in quattro per promuovere la ricostituita unità antifascista: da Di Pietro
ai piccoli Lenin della birra sociale.
Tuttavia l’opportunismo politico non caratterizza soltanto il centrosinistra.
Dall’altra parte – il centrodestra – si risponde in chiave di bieco moderatismo
politico… E’ di oggi la dichiarazione di Maroni di voler far sgomberare con la
forza le scuole occupate. Naturalmente, per solleticare e soddisfare, al tempo
stesso, gli istinti peggiori di una destra forcaiola. Che pure esiste.
Chi ci salverà dagli opportunisti di destra e di sinistra? Chissà, forse un
rinnovato e coraggioso grido: “Né rossi né neri, solo liberi pensieri”…
Lasciamo perciò che risuoni alto e forte, almeno nelle nostre, individuali,
coscienze politiche.”
Asprezze e battute corrosive a parte, il problema continua a essere quello
indicato da Lucia Annunziata e dalla direttrice de ” L’Unità” quando hanno
scritto che ” gli studenti non c’erano” alla manifestazione di Veltroni. Nè lo
sciopero della scuola indetto dalle organizzazioni sindacali nè la proposta
velleitaria e impraticabile giuridicamente di Di Pietro ha risolto qualcosa:
occorrerà parlarne ancora e a lungo, per capire la distanza abissale che
intercorre tra la vecchia logica della coalizione anti-BerlusconI e una politica
riformista che sia in grado di cambiare davvero le cose.

Attilio Mangano, Chi cavalca l’ONDA?ultima modifica: 2008-11-01T18:02:00+01:00da mangano1
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4 pensieri su “Attilio Mangano, Chi cavalca l’ONDA?

  1. Sarà l’inveno incipiente, sarà, forse, la pioggia di questi giorni, sarà pure l’umore nero, ma questa analisi di Mangano proprio ‘non mi convince’ – per usare un eufemismo. Ma come? Ora che finalmente possiamo dire che “qualcosa si muove” (a sinistra, ed era ora!!) ricadiamo nella nostra atavica tradizione del “facciamoci del male”? E no, caspita!! Se è vero che l’inverno berlusconiano non è – e non sarà – ancora ‘finito’, tuttavia nuovi spazi di agibilità conflittuale (e di merito) si stanno aprendo! Altro che “politica riformista in grado di cambiare davvero le cose”! Ma stiamo scherzando? Conflitto, antagonismo, fuoriuscita da logiche mercatiste, riscoperta delle soggettività operaie e precarie, invece! Di questo ora c’è assolutamente bisogno! (Capirai Attilio che non è il ‘narcisismo’ a muovere queste note, quanto la convinzione che quando le masse pensano, l’intellettuale ‘muore’ – e, comunque, lunga, lunghissima vita al
    tuo Pensiero).

  2. caro Massimo, sembra che siano in arrivo altre novità, una specie di ritiro non ufficiale dei tagli e di rinvio di altre decisioni. Ha vinto l’Onda? O si sta entrando in una fase pù complicata di trattative, mediazioni, di cui non è ancora chiaro l’andamento. Certo rimane ridicola la proposta di un referendum per il grembiulino. Ho deciso di aggiungere nuovi post per discutere e anche per documentarsi.

  3. Prendete alla lettera i giovani che protestano
    Una università in cui fa carriera solo chi merita

    di Francesco Alberoni

    Nel 1968 gli studenti occupavano le università perché — dicevano — i nostri docenti non insegnano le cose importanti, ignorano le ingiustizie del mondo, il razzismo, la guerra del Viet Nam, ed allora saliamo noi in cattedra al loro posto.

    Con l’occupazione possiamo coinvolgere nella grande mobilitazione rivoluzionaria i distratti, gli indifferenti e gli apatici. La maggior parte dei componenti del movimento studentesco erano marxisti, e si consideravano l’avanguardia della rivoluzione che avrebbe creato un mondo nuovo. Alla fine degli anni Settanta il movimento rivoluzionario era finito, ma gli studenti di sinistra hanno continuato la pratica di occupare la scuola all’inizio dell’anno per indirizzare politicamente i compagni. Quest’anno, con il decreto Gelmini, le occupazioni sono scattate come riflesso condizionato. Ma poi le cose sono cambiate.

    Trovandosi a discutere fra di loro e con gli insegnanti, sulla scuola, sulle prospettive di lavoro, sulla crisi economica, partecipando o ascoltando i dibattiti alla televisione o sui blog — nonostante gli slogan e le formulette gridate — gli studenti hanno incominciato ad esaminare criticamente la scuola italiana e se stessi. È la prima volta che succede. Scoprono una università arretrata dove c’è clientelismo, professori che mettono in cattedra figli, amanti, compagni di partito e di confraternita. Dove i vincitori dei concorsi sono decisi anni prima. Dove c’è un numero assurdo di corsi di laurea: una immensa e costosa macchina erogatrice di stipendi e slegata dalla realtà produttiva.

    E molti ragazzi, fuori o dentro i cortei di protesta, oscuramente percepiscono che ci vorrebbe una vera riforma che renda tutto più efficace ed efficiente: materie, insegnamento, ricerca, concorsi, laboratori, studi più rigorosi e preparazione al lavoro. Cose che, in realtà, non ci sono perché né loro, né i loro genitori, né i docenti, né i sindacati le hanno mai realmente volute. Comunque non si è mai presentata una occasione simile tanto per il governo come per l’opposizione di mettere rapidamente fine ai principali mali della scuola e della università. Basterebbe prendere alla lettera quello che gli studenti dicono di volere e darglielo. Una scuola pubblica seria e a pieno tempo, così smettono di gironzolare per le strade. Una università in cui fa carriera solo chi merita e dove insegna solo chi è veramente competente e capace. Anche voi, Rettori, prendeteli alla lettera, prima che cambino idea.

    03 novembre 2008

  4. DA LA STAMPA 3 novembre
    LUCA RICOLFI, L’università, i tagli, il consenso

    Fino a un paio di settimane fa Berlusconi si vantava di avere il 72 per cento
    dei consensi. Da qualche giorno, invece, forse complici le due grandi
    manifestazioni di fine ottobre promosse dal Partito democratico e dai
    sindacati, nel governo si stanno facendo strada atteggiamenti più guardinghi.
    Pare che Bossi sia preoccupato dei tagli ai bilanci degli atenei e che
    Berlusconi si stia chiedendo se bloccare la Gelmini, congelando i
    provvedimenti sull’università attesi per i giorni prossimi.

    I timori di Berlusconi sono basati sui sondaggi, che in effetti non vanno troppo
    bene per il governo. La luna di miele con gli elettori sembra finita e
    l’opposizione pare recuperare qualche punto nelle intenzioni di voto degli
    italiani. A quanto pare Berlusconi teme la piazza, mentre Veltroni spera di
    continuare a cavalcarla. Lo stop del premier alla Gelmini e agli interventi
    sull’università sembra una mossa pensata apposta per togliere
    all’opposizione il cavallo su cui sta per montare. Tutto chiaro, a prima vista: il
    movimento degli studenti sta procurando i primi grattacapi seri al governo, e
    così finisce col rianimare l’esangue partito di Veltroni. Ci sono alcune
    complicazioni, però.

    Prima complicazione: è bene distinguere tra consenso assoluto e consenso
    relativo.

    Il consenso assoluto per uno schieramento (di governo o di opposizione) è la
    differenza fra la percentuale di elettori che ne giudicano positivamente
    l’operato e la percentuale di elettori il cui giudizio è negativo. Il consenso
    relativo di uno schieramento rispetto all’altro, invece, è la differenza fra i
    rispettivi consensi assoluti. Ebbene, la stranezza del momento politico attuale
    è che oggi stanno diminuendo sia il consenso assoluto verso il governo, sia
    quello verso l’opposizione. La sfiducia complessiva degli italiani nell’azione
    politica, di destra e di sinistra, sta tornando a livelli altissimi, a un passo dal
    record toccato l’anno scorso, ai tempi della Casta di Stella e Rizzo e del
    «vaffa-day» di Grillo. Quanto al consenso relativo, nelle ultime settimane sta
    premiando l’opposizione, ma solo perché tra maggio e settembre era scesa a
    un livello così basso che le è ormai difficile perdere ulteriori colpi, mentre il
    governo ha ancora uno «spazio di caduta» ragguardevole, visto che solo ora
    sta uscendo definitivamente dalla luna di miele. Di qui il progresso nelle
    intenzioni di voto registrato dagli ultimi sondaggi. Nonostante tale progresso,
    tuttavia, il consenso relativo dell’opposizione resta tuttora inferiore a quello di
    qualche mese fa, al momento del voto. Nulla, per ora, autorizza a credere
    che, se si rivotasse oggi, il risultato dell’opposizione sarebbe migliore di
    quello di aprile. Insomma: il governo ha ragione di temere la piazza, ma
    l’opposizione si illude se pensa di avere il consenso necessario per
    egemonizzare la protesta.

    Seconda complicazione: non è detto che bloccare le misure sull’università sia
    una buona idea, né dal punto di vista del governo né da quello degli studenti.
    Allo stato attuale, infatti, bloccare il riordino dell’università non significa
    cancellare i tagli – che sono scolpiti nel marmo della legge finanziaria fin dal
    giugno scorso – bensì rinunciare a «modularli», ossia a differenziarli secondo
    criteri ragionevoli. Se non si fa nulla, i tagli restano, e restano «uguali per
    tutti», quindi assolutamente iniqui date le enormi differenze nel livello e nel
    tipo di inefficienze dei vari atenei sparsi per la Penisola. Se invece si fa
    qualcosa, si può provare ad aprire sul serio la partita della lotta agli sprechi e
    alle malversazioni, che almeno a parole accomuna tutti: studenti, docenti,
    rettori, politici di destra e di sinistra.

    Ciò appare tanto più necessario se si riflette sul fatto che esiste una
    fondamentale differenza fra le inefficienze della scuola e quelle
    dell’università. L’inefficienza del sistema scolastico è solo molto
    marginalmente dovuta a gestioni dissennate delle risorse pubbliche, dal
    momento che il grado di autonomia e di discrezionalità degli istituti è molto
    limitato. L’inefficienza del sistema universitario, invece, è innanzitutto la
    conseguenza di un pessimo uso dell’autonomia che la legge assegna agli
    atenei. Ci sono atenei che, pur con tutti i difetti e i limiti della nostra
    corporazione, hanno fatto un uso relativamente virtuoso dell’autonomia loro
    concessa, ci sono atenei che ne hanno fatto un uso dissennato (e qualche
    volta persino criminoso). Ecco perché i cosiddetti tagli lineari, o uguali per
    tutti, sono molto più iniqui nell’università che nella scuola.

    Naturalmente la strada della lotta agli sprechi richiede da parte di tutti un
    minimo di buona volontà e ragionevolezza. Gli studenti dovrebbero capire
    che tagli severi ma selettivi e ben studiati sono nel loro interesse. Il governo
    dovrebbe valutare se lo scalino del 2010 (700 milioni di euro in meno) non
    sia troppo ripido, e al tempo stesso varare una serie di «patti di stabilità»
    pluriennali, convogliando verso gli atenei virtuosi una parte dei fondi negati
    agli atenei spreconi. Il Pd dovrebbe incalzare il governo, richiedendo che una
    parte delle risorse risparmiate siano reimmesse nel circuito dell’università,
    favorendo il reclutamento dei giovani studiosi e aumentando (anziché
    diminuendo) i fondi per il diritto allo studio. Sono certo che non succederà.
    Ma sono altrettanto certo che, se mai succedesse, l’opinione pubblica ci
    starebbe e restituirebbe alle forze politiche un po’ del rispetto che hanno
    perduto.

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