Ilvo Diamanti, IL 68 è finito, andate in pace

da LA REPUBBLICA 2 novembre 2008
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Il ’68 è finito
andate in pace
di ILVO DIAMANTI

E’ raro che un anniversario acquisti tanta forza quanto, quest’anno, il
Sessantotto. Evocato, di continuo, grazie alle – e a causa delle –
manifestazioni degli studenti universitari contro le politiche del governo.

In particolare, contro la ministra Mariastella Gelmini, il cui decreto, in effetti,
c’entra poco con l’università. Tuttavia, la scuola e soprattutto l’università
stanno al crocevia delle esperienze e delle attese dei giovani. Riflettono e
acuiscono un disagio che ha ragioni lontane. E’ comprensibile, anche per
questo, la tentazione di cercare i segni di una storia che si ripete.
Quarant’anni dopo. Anche se, a nostro avviso, si tratta di periodi difficili da
comparare. Anzitutto, per il contesto sociale e globale che li caratterizza.

Quarant’anni fa la contestazione studentesca giungeva in Italia per contagio
internazionale. Dopo avere infiammato molte importanti piazze e università.
Citiamo, per tutte, le rivolte nei campus universitari USA e il maggio parigino.
Il Sessantotto, in altri termini, fu un passaggio d’epoca internazionale, trainato
da movimenti che attraversavano società, economia, religione, cultura e
politica. Nelle scuole e tra i giovani, però, quella fase assunse un senso
specifico. Marcò, infatti, la frattura generazionale tra figli e genitori.

Dove i genitori – insieme ai professori, ai politici, agli imprenditori (allora
definiti, non a caso, “padroni”), alle gerarchie della Chiesa – evocavano
l’autorità. E venivano, come tali, contestati. Perché il 1968 è, anzitutto, una
rivoluzione antiautoritaria, che ridisegna i ruoli e i rapporti sociali: in famiglia,
a scuola, nel lavoro, nella politica. E innova profondamente i riferimenti etici e
di valore, gli stili di vita, i costumi sessuali.

Gli avvenimenti di questa fase hanno un carattere molto diverso. Si verificano
in un contesto globale di implosione finanziaria ed economica. In Occidente e
in Europa non si scorgono grandi movimenti di protesta. Prevale, invece,
un’insicurezza diffusa, da cui si irradiano spinte populiste e domande
d’ordine. Quanto alla mobilitazione degli studenti in Italia, avviene in uno
scenario molto diverso. I professori: 40 anni fa stavano dall’altra parte della
barricata. Oggi, sono vicini a loro. Ma sarebbe sbagliato parlare di
“complicità”, come denuncia la destra.

Le rivendicazioni di questa fase hanno un’impronta prevalentemente
“difensiva”. Ciascuno rema per proprio conto. I docenti: protestano contro la
marginalizzazione della propria categoria e della scuola. Gli studenti e i
giovani, invece, manifestano contro il furto del futuro. Dovrebbero
prendersela “anche” con i professori (e con i genitori). Ma il governo e questa
maggioranza offrono un buon bersaglio polemico. E per loro è prioritario
manifestare la propria esistenza, anche se “contro”; per sfidare la propria
condizione di generazione perdente e invisibile.

Il richiamo al Sessantotto, quindi, pare poco fondato. Se risuona di frequente
è per iniziativa degli attori politici, in base a ragioni legate al presente.
Guarda al Sessantotto l’opposizione di sinistra riformista e radicale. Per
nostalgia. Ma soprattutto nella speranza che le proteste studentesche si
trasformino, come allora, in movimento. Che il movimento eroda il consenso
del governo. Che incrini l’immagine del Cavaliere invincibile. Che restituisca
alla sinistra, spaesata, la base sociale perduta.

Questo Sessantottismo minimalista si scontra con un Antisessantottismo ben
più ambizioso e consapevole, espresso dalla destra al governo. Ben più
determinata della sinistra a fare i conti con l’eredità di quella stagione. Lo ha
chiarito bene la ministra Gelmini, subito dopo l’approvazione del decreto: “Si
torna alla scuola della serietà, del merito e dell’educazione”. Dando, quindi,
per scontato che oggi nella scuola non vi siano serietà, merito ed
educazione, la ministra riporta il calendario indietro di quarant’anni. E
riafferma i valori della tradizione. Scanditi dai provvedimenti – altamente
simbolici – assunti nei mesi scorsi.

Il voto in condotta: la disciplina. Gli esami di riparazione, il ritorno dei voti: la
selezione e il merito. I grembiulini, il maestro unico: l’autorità.
La volontà di fare i conti con il Sessantotto è espressa, senza perifrasi, anche
dal ministro Maurizio Sacconi (intervistato da Vittorio Zincone, sul Magazine
del Corriere della Sera): “Il sessantottismo è il male oscuro, il cancro di
questo Paese”. Una metastasi prodotta “dall’Università corporativa figlia della
sinistra degli anni Settanta”.

Parallelamente, l’Antisessantottismo investe altri puntelli dell’identità di
sinistra. Il sindacato unitario e in particolare la Cgil. Valori come la solidarietà
e l’egualitarismo. Per contro, aderisce al discorso etico elaborato e predicato
dalla Chiesa di Benedetto XVI, teso a marcare i confini della verità definiti
dalla fede cattolica. A papa Ratzinger, non a caso, si ispirano molti esponenti
politici e culturali della destra (anche se non solo). Cattolici e laici. Atei devoti
e credenti disciplinati.

Ma il nucleo dell’Antisessantottismo coincide con il ritorno dell’autorità, delle
istituzioni e delle figure che lo interpretano. Da ciò la polemica contro i
professori, i maestri e, in fondo, i genitori (sessantottini). Incapaci di
comportarsi davvero da padri, maestri e genitori. Simboli
dell’antiautoritarismo da sconfiggere.
Non si tratta, peraltro, di un discorso nuovo. In Inghilterra, Tony Blair, alcuni
anni fa, si espresse apertamente contro l’eredità sociale e culturale del
Sessantotto.

In Francia, un anno e mezzo fa, Sarkozy, appena eletto, impostò il suo piano
di riforme proprio sulla scuola. Il ritorno all’autorità perduta venne,
simbolicamente, sottolineato dall’obbligo imposto agli studenti di alzarsi
all’ingresso degli insegnanti.
Tuttavia, in Italia, questa polemica oggi appare strumentale. Non c’è partita fra
le due diverse letture, perché il Sessantottismo è appassito, insieme ai suoi
miti e ai suoi eroi. Si pensi al sindacato, diviso, il cui consenso è sceso a
livelli minimi fra gli operai. E resiste solo fra i pensionati. Si pensi al
solidarismo e all’egualitarismo: parole indicibili. Si pensi al disincanto dei
genitori e dei professori. Loro, i primi a sentirsi sconfitti.

Mentre il ritorno dell’autorità – di ogni autorità – è ostacolato non da ideologie
e da teologie della liberazione, ma, anzitutto, dalla scomposizione
corporativa della società, frammentata in mille interessi organizzati, chiusi,
gelosi e irriducibili. Si pensi alla rivoluzione dei costumi e della morale
sessuale, oggi presidiati dal consumismo e dal “velinismo di massa” diffuso
dai media. In particolare dalle tivù del Cavaliere.

Gli studenti che manifestano nelle scuole e nelle università, dunque, non
debbono preoccuparsi troppo del Sessantotto. Semmai, del Sessantottismo e
– ancor più – dell’Antisessantottismo. Conviene loro, per questo, marciare da
soli. Liberarsi di padri, maestri e professori. Ma anche di coloro che li
esortano a liberarsi di padri, maestri e professori. E cerchino di guardare
avanti. Il loro futuro – incerto – non è quarant’anni fa.

Ilvo Diamanti, IL 68 è finito, andate in paceultima modifica: 2008-11-02T17:36:00+01:00da mangano1
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