Giorgio Morale, Avola 2 dicembre 1968

DA Ladimoradeltempo sospeso
(Avola 1968, dal sito Brianza Popolare)

Avola 2 dicembre 1968
di Giorgio Morale

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Su quella statale centoquindici, su quel terreno della Chiusa di Carlo, all’improvviso sparò e sparò la polizia contro i lavoratori scioperanti per il rispetto dei contratti, contro l’ingaggio di mano d’opera in piazza, la prepotenza dei padroni e caporali. Saltarono i muretti, corsero per la campagna dell’inverno, sotto i rami spogli, caddero morti a terra Scibilia e Sigona, caddero i feriti.
(Vincenzo Consolo, L’olivo e l’olivastro)

Da giorni ci domandavamo:
“Si sciopera o no?”.
Il 2 il dilemma fu sciolto dai braccianti. Accolti da grandi applausi, fecero uscire tutti (e noi, fra spintoni e urla, fummo velocissimi). Ricordo ancora come fu tirata giù la saracinesca. Uno schianto: la scuola chiusa. Come negozi e uffici. Chissà per quanto. Senonché si sentirono invocazioni d’aiuto: il bidello era rimasto dentro. La scuola fu riaperta per farlo uscire.
Orazio propose di andare al blocco sulla statale per vedere gli scioperanti. Andammo, per curiosità. Felici di occupare la strada nella sua larghezza e di celebrare ore di inaspettata libertà chiedendo sigarette a destra e a manca.

Man mano che ci avvicinavamo al blocco la folla s’infittiva, i discorsi si facevano più accesi. Circolava l’energia che si crea quando s’incontrano tante persone, tante volontà, tanti gesti. Alcuni scioperanti erano seduti in circolo, per terra; altri erano intenti a spiegare agli automobilisti le loro ragioni. Ai lati della strada, di qua e di là dei muri di sassi, languivano i resti di fuochi notturni. Il cielo era limpido, come a benedire la vacanza, ma l’aria fredda, come a sottolineare i disagi. Le facce stanche, le barbe lunghe. Io ero colpito della padronanza con cui i braccianti tenevano la strada. Tutto si svolgeva come obbedendo a un ordine naturale: questo era possibile, dunque, per difendere un diritto.
Giovani conosciuti in paese come comunisti sembravano nel loro elemento: parlavano con cognizione, formavano crocchi. Si muovevano nella ressa secondo necessità solo a loro evidenti. Si riconoscevano dall’aspetto: larghi maglioni, lunghe sciarpe, lo sguardo e la parola pronti per tutti. Il sindaco e le autorità parlamentavano, evidenziati da un vuoto attorno.

La polizia arrivò mezz’ora dopo che io e Orazio eravamo andati via. Fra gli ulivi si scatenò la battaglia. Il vento spinse i lacrimogeni contro gli stessi poliziotti, che persero la testa: si videro circondati da mille braccianti e aprirono il fuoco.
La notizia volò di bocca in bocca. Nel pomeriggio io e Orazio, increduli che tanto fosse successo dove noi eravamo stati, ci recammo alla sede del partito comunista. Ma non fu possibile entrare. Il dolore e la rabbia formavano un muro spesso di gente fin sulla porta. Sulla strada erano rimaste pallottole e pietre. Si erano contati due morti e due chili di piombo.
L’indomani gli agrari, che da giorni disertavano le riunioni, si presentarono alla firma del contratto. Il giorno dei funerali tutta Avola si vestì a lutto. Il corteo si svolse il 4, sotto la pioggia, fra una selva di ombrelli neri.
Io pensavo ai miei nella terra di nessuno dell’emigrazione, a tante case che si svuotavano per addii sommessi, al via vai nella strada Nord Sud, agli sguardi obliqui di chi restava, che percorrevano tutti i marciapiedi, fermi sulla soglia della disoccupazione.
Pensavo alla tessera della Dc di mio padre, riposta nel cassetto delle cose che non si usano, ma non si buttano.
“Se no, quando tu eri piccolo, non lo facevano lavorare” mi aveva spiegato mia madre.
Ricordai una sera che mio padre tardava più del solito: era stato pagato per affiggere manifesti della DC.
“Se lo incontrano i carabinieri, lo arrestano” diceva mia madre nell’attesa. “Se lo incontrano quelli di un altro partito, lo picchiano”.
Mio padre arrivò che io già dormivo: fui svegliato dalla sua voce. Mio padre raccontò che i manifesti erano tanti: i più li aveva portati a casa. Finirono nascosti nell’ultimo cassetto dell’armadio. Per tanto tempo avevo pensato ad essi con un senso di colpa. Ne guarii quel 2 dicembre.
“Tutta propaganda in meno per la DC” pensai con soddisfazione.

Sebastiano Burgaretta, I fatti di Avola

Dal Saggio storico di Giuseppe Astutoavola1.jpg
[…] Con questo lavoro, Burgaretta ci consegna una ricostruzione precisa e articolata sull’eccidio di Avola, e in generale sulle lotte operaie e bracciantili del biennio 1968-69 avvenute in provincia di Siracusa. Certo a partire da quegli anni molti progressi sociali sono stati compiuti, molte libertà politiche sono state conquistate e poi difese, lo spazio della partecipazione popolare alla cosa pubblica è aumentato. Ma via via che questo processo duro e faticoso si apre la strada, pur fra lotte aspre e fra le insidie del ritorno al passato, è lecito interrogarsi sul significato di quelle battaglie, sugli obiettivi raggiunti e sui problemi indicati, ma che attendono una soluzione. E se è vero che la contraddizione dello sviluppo italiano degli anni Settanta e Ottanta consiste, ancora, nelle particolari condizioni del Mezzogiorno e nella forte disoccupazione, allora la riflessione su quegli eventi acquista ulteriore legittimità.
Il libro di Burgaretta risponde proprio a questa esigenza. L’autore, attraverso una ricerca scrupolosa e puntuale, ha ricostruito i drammatici giorni di Avola e il tragico epilogo. Per fare il punto sui fatti e per comprenderne la dinamica ha utilizzato tutte le fonti esistenti, dalla stampa dell’epoca agli atti parlamentari e alle interviste dei protagonisti. Burgaretta ci consegna “una memoria ordinata” (direbbe Giarrizzo) di quegli eventi, che servirà, come ha scritto l’autore, “a farli conoscere ai giovani che non sanno alcunché di quegli avvenimenti, a ricordarli a chi facilmente dimentica”. E in una fase nella quale la domanda di conoscenze storiche va via via crescendo, gli studiosi dell’Italia repubblicana troveranno in questo volume elementi utili per approfondire questo periodo così difficile della nostra storia, contrassegnato da episodi drammatici come quello di Avola, ma anche carico di sollecitazioni e tensioni della società civile che chiedeva un profondo rinnovamento politico e sociale.
La ricostruzione degli avvenimenti, dall’inizio della lotta bracciantile fino al tragico epilogo, le reazioni nel paese dopo l’eccidio, l’atteggiamento del governo e della magistratura sono i punti fondamentali attorno ai quali si articola il lavoro di Burgaretta. Sulle reazioni nel paese si è accennato. Per quel che riguarda la dinamica degli avvenimenti, dalla esposizione dell’autore appare netto che l’intervento fu voluto e che in nessun modo si può parlare di legittima difesa da parte della polizia.
Come è noto, con la lotta che i braccianti iniziano nel novembre 1968 si rivendica la parificazione delle due zone salariali in cui è divisa la provincia di Siracusa, miglioramenti economici e l’introduzione di una normativa volta a consentire nelle aziende il controllo delle applicazioni contrattuali. Mentre gli aspetti economici della vertenza non costituiscono un serio ostacolo al componimento della stessa, viceversa si manifesta subito da parte degli agrari una ostilità preconcetta sulla parte normativa, che le organizzazioni sindacali hanno concretizzato nella istituzione di commissioni comunali paritetiche e nel controllo sulla esecuzione dei contratti.
Di fronte alle resistenze degli agrari a trattare su questi punti della vertenza, lo sciopero si protrae per alcuni giorni e fino a quando il prefetto di Siracusa, dietro le pressioni del movimento sindacale e di esponenti della classe dirigente siracusana più vicina ai lavoratori, convoca di nuovo le parti. Ma per ben due volte i rappresentanti degli agrari non si presentano alle trattative. In questo clima matura la decisione dello sciopero generale del 2 dicembre e poi lo scontro alle ore 14 sulla statale 115.
Gli aspetti più interessanti di questa parte del volume sono le interviste ai testimoni. Per capire l’atteggiamento e gli umori che serpeggiano negli ambienti dell’apparato statale è opportuno far riferimento alle dichiarazioni di alcuni protagonisti di quelle vicende. “Ad un determinato momento, – afferma l’on. D’Agata – mentre trattavamo in prefettura e si stava arrivando al dunque, il prefetto fu chiamato al telefono da Roma. Non parlò davanti a noi, si allontanò e si fece passare la comunicazione dall’altra parte. Poco dopo ritornò con atteggiamento cambiato di punto in bianco: mentre prima aveva una posizione mediatrice e tendeva a far raggiungere un accordo alle parti, dopo la telefonata diventò collaterale e di sostegno alle posizioni di intransigenza degli agrari. Non ricordo se in quella riunione o in quella successiva minacciò di far intervenire i militari, non più la polizia, i militari”. Di carattere analogo è la dichiarazione del sindaco di Avola del tempo, on. Denaro, il quale era presente a quella seduta: “L’impressione che io ebbi,… quello che avvenne fu a causa di una telefonata (al prefetto) venuta dall’alto, proprio forse dal ministro Restivo, in seguito alla quale il prefetto fece allontanare dal gabinetto il colonnello dei carabinieri e il questore, cambiando tattica”.
L’atteggiamento ambiguo e ostile della prefettura e degli organismi statali verso i lavoratori verrà richiamato più volte anche nel corso del dibattito parlamentare. Il deputato comunista Antonino Piscitello, che era stato presente agli avvenimenti, nel suo intervento dirà che fin dall’1 dicembre era stata segnalata telegraficamente al ministro del Lavoro la drammatica situazione della zona e che egli “era riuscito ad avere assicurazione da parte del prefetto di Siracusa che la polizia non sarebbe intervenuta”.
Giustamente Giarrizzo rileva che “la decisione politica di cui il prefetto di Siracusa fu strumento interpretò anticipandole scelte reazionarie quali erano maturate in settori decisivi dell’apparato statale e della classe politica italiana”. E poi conclude domandandosi se la reazione di destra, e cioè le motivazioni e gli obiettivi della cosiddetta “strategia della tensione”, non vadano ricercati nelle vicende di questi mesi e nella crisi politico-sociale in atto nel paese. “La prova generale, – continua Giarrizzo – come è noto, sarebbe stata ad un anno preciso da Avola la strage di Piazza Fontana: è arbitrario proporre che le radici di quel radicalismo di destra abbiano tratto succhi ed alimento da iniziative di repressione e di scontro, proposte all’opinione pubblica come ‘errori’?” (Giarrizzo, Nota introduttiva).
Si tratta di suggerimenti e riflessioni, sui quali non si può non convenire. Ma chi voglia approfondire la storia del Mezzogiorno e della Sicilia, ed in particolare la storia delle campagne e del movimento contadino, non può non interrogarsi sul significato e sull’importanza delle lotte bracciantili del 1968, di cui i fatti di Avola assumono ormai un carattere periodizzante. In che senso queste lotte innovano rispetto alla tradizione del movimento contadino siciliano e da quale contesto economico-sociale traggono alimento?
(da Sebastiano Burgaretta, I fatti di Avola, Editrice Urso)

Giorgio Morale, Avola 2 dicembre 1968ultima modifica: 2008-12-02T18:42:00+01:00da mangano1
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