Sergio La Chiusa, Piove sempre sul bagnato

Da IL RIFORMISTA, 10 GENNAIO 2009
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Piove sempre sul bagnato” di Giorgio Mascitelli
[Giorgio Mascitelli, Piove sempre sul bagnato, Coniglio Editore, 2008]

di Sergio La Chiusa

Nei pressi della Stazione Centrale di Milano, un senzatetto riceve da uno sconosciuto due banconote da cinquecento euro, come segno d’ammirazione per la sua vita libera.
A partire da questo evento inatteso, il barbone comincia il suo vagabondaggio per la città per comprarsi un cappotto nuovo per l’inverno, convinto com’è di essere finalmente “ammesso al popolo delle compere”. Passando attraverso una serie di peripezie tragicomiche, ripetutamente respinto, intercettato e cacciato dai negozi e dai centri commerciali, imparerà invece che “in alcuni casi, contrariamente alle leggi implacabili del profitto, il denaro puzza per una sorta di proprietà transitiva” e persino l’evento miracoloso deve inscriversi all’interno delle norme che regolano le relazioni sociali.
Riceverà un posto letto in un dormitorio, pasti caldi, elemosine, ma tutti i suoi tentativi di essere “ammesso al popolo delle compere” si riveleranno fallimentari.

La sua libertà, in virtù della quale ha ricevuto in omaggio mille euro, è così illusoria che gli è negato persino il diritto di fare la spesa in un supermercato: nemmeno le cassiere s’arrischiano a cambiare le banconote a un tipo così poco raccomandabile, e non possono niente nemmeno gli atti di carità, come quello della signora che prende la spesa abbandonata alla cassa e gliela riporta in strada. Il barbone si sentirà anzi vittima di una vera e propria persecuzione quando scoprirà che il costoso Barbaresco scelto con tanta cura è stato sostituito con un volgare vino da quattro soldi, e sarà preso da una specie di furore metafisico: “il Rosatello regalato da Maria Francesca in luogo del Barbaresco da lui richiesto con regolari denari era un insulto di un mandante anonimo e collettivo di cui Maria Francesca nella sua compassionevole simpatia era solo l’esecutore inconsapevole”.

La sua massima aspirazione allora non sarà più comprarsi un utile cappotto per l’inverno, come aveva pensato in principio, ma concedersi le migliori bottiglie di vino, perché ogni uomo ha diritto a trattarsi da signore almeno una volta nella vita; ed è così che troverà una meta cui tendere, un’idea che, seppure totalmente irragionevole, può dare un senso e una direzione: raggiungere la rinomata cantina Bertini, un’enoteca di vini pregiati che si carica nella sua mente di significati simbolici e salvifici. Al punto che si convince che solo lì potrà cambiare il denaro, e quindi ottenere l’utile, il cappotto, passando per la via dilettevole del vino. La ricerca ostinata della cantina assume così il valore di una specie di personale ricerca del Graal. Ma nemmeno il Bertini, che gli offrirà il godimento supremo di una bottiglia di Barolo del millenovecentottantotto e di un raffinato calice da degustazione, accetterà in cambio i suoi denari. “torno al barbone gravitano una serie di personaggi minori che compendiano con i loro caratteri e le parti che si ritrovano a recitare le miserie della nostra società dei consumi. Tra questi, l’Altichieri, che non appena ottiene un nuovo incarico di lavoro, s’indebita e compra a rate una vettura nuova e costosissima: “era verde, con alettoni e luci superflue, e Altichieri gongolava tutto come un giovane padre che mostra l’erede appena nato al mondo intero”; e, ancora più significativi in quanto modelli di un conflitto sociale che paradossalmente sembra risolversi in una lotta tra poveri, il Remellini e il piacentino tracheotomizzato: uno impegnato nell’attività d’assistenza ai senzatetto presso la Stazione Centrale, e l’altro nelle ronde notturne nella stessa stazione, uno che sloggia gli scarti della società e l’altro che li soccorre, ed entrambi votati a una missione sociale che trova la sua sola ragione d’essere proprio nella presenza stessa del senzatetto, che per Remellini arriva addirittura ad assumere il valore simbolico del barbone con la B maiuscola, “il barbone che tiene su di sé il senso simbolico di tutti gli altri barboni”.

Mascitelli pone il suo sguardo critico sulle miserie prodotte dalla società dei consumi, ma nonostante metta in scena il risultato di una sconfitta collettiva, il tono della narrazione non è mai impietoso: persino i più meschini personaggi Mascitelliani sono osservati con l’indulgenza amara di chi in fondo sa di essere inevitabilmente parte della stessa commedia sociale; e così è come se da un lato ci mostrasse la mediocrità, il conformismo e le sue più pericolose derive, e dall’altro tenesse sempre in mente l’alibi sociale, il paesaggio entro cui tutti i personaggi sono costretti a ricavarsi il loro minimo spazio vitale: la società dei consumi, il potere invisibile della speculazione, i pescecani dell’economia e della finanza, la mancanza di un orizzonte di senso collettivo; e allora la lotta per una sopravvivenza dignitosa, la ricerca di un senso individuale, possono pure passare per l’acquisto di una vettura o per la degustazione di un vino nobile, un modo illusorio di sentirsi individui nella totale perdita di orizzonti comuni.

In “Piove sempre sul bagnato” il vuoto di una Milano sempre più cinica è riempito solo dalla presenza pervasiva della pubblicità degli estintori Matador che s’introduce in ogni scorcio visivo, copre ogni spazio libero, s’intromette in ogni intervallo di tempo senza incontrare alcuna resistenza, perché ormai l’immaginario è così colonizzato che la sua prepotenza risulta persino naturale, mai messa in discussione, e così compare con cadenza regolare e con effetto via via sempre più comico: sui tabelloni luminosi della stazione, sui giornali, sui cartelloni, sui monitor dei computer, sugli schermi dei cellulari, sui volantini distribuiti dagli studenti per strada, sui tram: “aprì gli occhi e vide passare un lungo tram bianco con un’immensa scritta “Estintori Matador: solo il fuoco della passione può resistergli” e si vedeva la foto di due negri che giocavano a spruzzarsi addosso il contenuto dell’estintore e sullo sfondo le periferie in fiamme”. Una specie di motivo conduttore che cuce le scene e in un certo senso il tessuto sociale in cui si collocano i personaggi. Fino alla scena parossistica del “Matador Day” in cui per tutta Milano sfilano ragazze in minigonna con gli estintori in mano.
La mutazione antropologica immaginata da Bianciardi negli anni del miracolo economico, con il protagonista de “La vita agra” che, messi da parte i suoi ideali e i suoi sogni rivoluzionari, aspira solo all’acquisto di un apparecchio televisivo a rate per rilassarsi prima dell’annullamento nel sonno, in “Piove sempre sul bagnato” è ormai alle spalle, cosa compiuta, e ci si muove in uno scenario ormai disastrato.
Organizzando il suo omaggio al Joseph Roth della “Leggenda del Santo Bevitore”, Mascitelli ha composto una parabola ironica e amara sulle miserie del nostro tempo.

Sergio La Chiusa, Piove sempre sul bagnatoultima modifica: 2009-01-12T22:47:00+01:00da mangano1
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