L’Onda avanza o declina? Per discuterne

TRE ARTICOLI DIVERSI PER DISCUTERE

Piccole enormità      di Gabriele Polo ( IL MANIFESTO 19 marzo)
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( …)Non è successo nulla di anomalo rispetto all’esistente, semplice applicazione di
una politica rinchiudente, quella che smorza e impedisce ogni slancio pubblico,
ogni tentativo di partecipazione che vada oltre la digitazione del telecomando.
Ogni fantasia. Concordemente con lo stato depressivo del paese. Talmente
depressivo che persino chi lo guida si dice un po’ schifato da ciò che fa. Ma,
poi, continua a farlo.

Fossimo un po’ meno abituati a questa routine diremmo che ieri a Roma è successo
un fatto enorme, per quanto in dimensioni ridotte. Perché se la libertà è appesa
agli atti amministrativi – ai protocolli sul traffico – essa non esiste più.
Soprattutto se ciò che ieri è avvenuto alla Sapienza si colloca in continuità
con quel che è successo a Bologna e Pisa ad altri studenti o agli operai di
Pomigliano.

«Statevene a casa», in buon ordine, o – al massimo – «fate solo ciò che vi
dicono di fare»:…..

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E’ ancora un’onda anomala?
di Marco Cedolin – 19/03/2009

Fonte: Il Corrosivo di Marco Cedolin onda1.jpg

 (…) A parte gli scontri alla Sapienza, che si sarebbero certo potuti evitare interpretando il protocollo in modo meno rigido, la sensazione lasciata da questa giornata in cui la protesta studentesca è tornata a fare parlare di sé, è quella di un’Onda molto ridimensionata tanto nella partecipazione quanto nelle prospettive, rispetto al movimento che lo scorso autunno riempiva le piazze al grido di “né rossi né neri ma liberi pensieri”. Dopo gli incidenti di Piazza Navona dello scorso Ottobre, creati ad arte dai molti che temevano gli effetti di una protesta forte ed unitaria del mondo studentesco affrancata dal controllo dei partiti politici, la lotta degli studenti ha iniziato infatti a perdere mordente.
Da un lato è venuto meno il valore aggiunto di una lotta inclusiva in grado di travalicare le appartenenze politiche e le divisioni ideologiche. Dall’altro è mancato quello stimolo ad allargare gli orizzonti della protesta, ben oltre la contestazione del decreto Gelmini e la difesa dei diritti del personale docente. Stimolo che risultava prerogativa imprescindibile per consentire all’Onda di maturare nuove consapevolezze, aprendosi verso l’esterno ed aumentando la qualità della contestazione, fino ad arrivare al vero nocciolo del problema. Un problema costituito non tanto dalle “innovazioni” e dai tagli messi in atto dalla Gelmini (per quanto deprecabili possano essere) quanto da un modello di sviluppo che ha deteriorato il mondo del lavoro fino al punto d’ingenerare un sistema che “sforna” e continuerà a sfornare schiere di laureati destinati a diventare disoccupati o lavoratori precari, senza avere la possibilità di mettere a frutto la conoscenza che hanno acquisito nel corso dei loro studi.
Il crollo della partecipazione, affogata nel riemergere delle differenze e dei distinguo, e la mancanza di una dimensione propria, affrancata dalle rivendicazioni di partiti e sindacati che difendono il proprio status quo, ha trasformato la dirompente protesta studentesca d’autunno in un qualcosa d’impalpabile. Un’Onda non più anomala, bensì inquadrata all’interno dei meccanismi della politica, funzionale, come lo è stata oggi, agli interessi di quella CGIL che a suo tempo sottoscrisse proprio la legge 30 grazie alla quale molti di questi ragazzi riceveranno in dono un futuro da precario.

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  DA  la stampa
20/3/2009

LA RECITA ANTIFASCISTA 

DI  MIGUEL GOTOR

Ieri a Torino, tre ore di lezione, la finestra spalancata sull’incipiente primavera, la Mole alle spalle, alle spalle della Mole il profilo delle Alpi. E da quella finestra sale lungo l’aria frizzantina una voce megafonata, che disturba e incuriosisce al tempo: «Fuori i fascisti dall’università!». Cosa succede? 

La lezione è finita, raggiungo l’uscita di Palazzo Nuovo e assisto a una scena da raccontare: lungo le scale dell’ingresso, un manipolo di ragazzi – ugualmente vestiti – si spinge come se stesse giocando a rugby. Chi è al megafono batte il tempo, incitando la sua mischia antifascista a resistere alla pressione di quella fascista che cerca di entrare nell’università: ondeggiano, si strofinano i visi schiacciati l’uno con l’altro, sembrano tanti piccoli robot che mimano un duello, una giostra medievale. Non c’è cattiveria, c’è ideologia; non c’è violenza, c’è gusto della citazione. La scena dura una ventina di minuti, senza che nessuno dei contendenti voglia veramente affondare il colpo, ma solo esserci, vivere un’emozione e soprattutto filmarla. Ciò mi sorprende: in entrambi i gruppi, le seconde linee tengono ben levati in alto i telefonini per testimoniare dal loro punto di vista la verità dell’assalto e raccontare le proprie ragioni. La realtà non sembra lì, è nel film che stanno riprendendo e domani pubblicheranno su YouTube.

Intorno, lungo la strada, centinaia di studenti e alcuni passanti osservano la scena da lontano come se anche loro stessero guardando il film di un film.

I poliziotti in borghese, ne conto almeno una decina, controllano premurosi la scena da vicino, come degli arbitri di boxe che devono evitare colpi sotto la cintura. All’improvviso, da via Po, irrompe una squadra di celerini, armati come tanti Goldrake, che decide di mettere fine alla baruffa; qualcuno ha stabilito che quei ragazzi si sono sfogati abbastanza. La temperatura per un istante cresce, i poliziotti forzano il blocco senza usare violenza e consentono ai fascisti di entrare nell’università. Gli antifascisti hanno l’imperdibile occasione per urlare contro le forze dell’ordine, ma, a guardarli bene, si ha l’impressione che quello sia soltanto un intermezzo atteso che prepara il secondo tempo della recita. Infatti, non appena la celere sale le scale non c’è alcuna forma di resistenza, lo striscione cala per incanto e si apre il varco, le forche caudine che i fascisti dovranno percorrere. 

Ma non è finita. Il manipolo di intrusi si chiude in un gabbiotto trasparente, dove normalmente vengono dati gli statini agli studenti, e lì staziona asserragliato: fuori un centinaio di ragazzi li assedia, gridando e picchiando sulle porte, i poliziotti in borghese, cresciuti di numero, sono sparpagliati ovunque. Eppure, non c’è tensione. La scena è ancora più grottesca della precedente: i fascisti sembrano prigionieri dentro un acquario, ma ridacchiano tra loro perché sanno che si tratta di un finto assedio: tutto è ritualizzato, esangue, ovattato. A loro interessa recitare la parte delle vittime, agli altri affermare il proprio ruolo di guardiani dell’ortodossia antifascista.

Finalmente, dopo circa due ore, i fascisti escono protetti da due cordoni di polizia, inseguiti dal coro dei rivali che celebrano il loro contrattato trionfo urlando: «Hasta la victoria siempre!». La recita è finita, il megafono si spegne e ciascuno sente di avere compiuto la propria missione quotidiana. Tutti, compreso il ministro Brunetta, che seguendo il ritmo delle agenzie di stampa, non esita a definire i ragazzi dell’onda dei «guerriglieri che vanno trattati come tali». Non sa di cosa sta parlando, ma gli interessa la formula prepotente che verrà ripresa come uno slogan dalle televisioni. In realtà, sulla testa di questi studenti – i fascisti, gli antifascisti, ma soprattutto la maggioranza che li osservava stupiti – si sta giocando un’altra partita, quella del consenso su un progetto di smantellamento dell’università pubblica tra tagli di risorse e concorsi bloccati: Brunetta lo sa e soffia sul fuoco, ma purtroppo sotto la cenere c’è solo un video su YouTube. 

L’Onda avanza o declina? Per discuterneultima modifica: 2009-03-21T16:19:00+01:00da mangano1
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