Giancarlo Pavanello. ( Una digressione) Il romanzo

GIANCARLO PAVANELLO

una digressione
[il romanzo]
[2 aprile 2009]
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quanta importanza si danno i romanzieri famosi, e soprattutto quanta importanza gli danno [danno loro] i recensori e gli intervistatori, i cronisti e i giornalisti, i pubblicisti e i lettori comuni [soprattutto lettrici]. basta che il libro esca da qualche casa editrice “di prestigio” e il gioco acritico è fatto [senza sapere che gli “editors” scelgono solo quello che è vendibile]. si dà per scontato che sia meritevole di attenzione, sia in positivo sia in negativo. ho smesso di leggere narrativa da almeno 25 anni, a parte quella che traducevo, con tutta la produzione dell’autore di cui mi occupavo e dei saggi che lo riguardavano. poveracci, sempre in cerca di spunti e di orecchiature, con l’angoscia di vedere esaurirsi la scorta di temi. frequente era l’esibizione di fasulle malattie mentali, o almeno un resoconto degli anni trascorsi bussando alla porta di uno psicanalista [meglio se di grido], per approntare note e appunti, un diario preparatorio per un nuovo racconto. non alludevo a nessuno, in particolare, ovviamente: erano considerazioni di carattere generale, sostenute dall’esperienza fatta in passato alla ricerca di libri del primo novecento: best-sellers che si trovavano su tante bancarelle, svenduti a 3 mila lire o meno, ossia a 1 euro e mezzo o a un euro, poi finiti al macero. un destino diverso per quelli recenti?

i critici li recensivano, i traduttori li traducevano, gli intervistatori intervistavano l’autore [in ottima forma, la malattia mentale era finita]: così avevano l’impressione di essere al loro livello, mai si sarebbero degnati di scoprire i talenti al di fuori dei solchi tracciati dai Grandi Editori [credevano che solo là venisse coltivato il genio]. ma questo sarebbe stato comprensibile nel caso dei giornalisti stipendiati, dovevano occuparsi solo di quello che gli passava il Padrone [passava loro]. più stupidi quelli che lo facevano gratis [ma, certo, era un modo per sentirsi importanti anche loro, si misuravano solo con personalità di pari grado]

i lettori-donne [ossia le lettrici] erano sempre in prima linea nell’acquisto dei romanzi, se ne faceva una satira anche in passato, basterebbe pensare alle “femmes savantes” di Molière [le saccenti], ma anche prima, fino alla romanzeria settecentesca, o al romanticume ottocentesco di Madame Bovary. nei gruppi di “letture domestiche” la narrativa era la più gettonata, inutile mettere in guardia, come minimo si affermava che il libro era “scritto bene” [invano si segnalava che la scrittura era piana e scorrevole per volontà e per mano dei redattori]. La tradizione dei salotti continuava, in forme nuove: non si poteva più andare da nessuna parte senza che qualche dama psicologa smaniasse per psicanalizzarci, offendendosi se facevamo di tutto per sviare le indagini. gli autori con vere turbe psichiche erano sempre stati molto discreti, o vistosamente stravolti [sporchi, puzzolenti, insopportabili, da tenere alla larga, o reclusi, basterebbe pensare a Dino Campana o a Antonin Artaud]. decisi, inclini a segnalarsi a cose fatte e loro malgrado.

[essendo fuori tema, allegavo una foto, un assemblaggio effimero realizzato nel 2008, ma con testi di anni precedenti, a cominciare dal 1993, come questi, trascritti: “un groviglio di sogni sostituisce una lampada spenta – sono stelle o artigli nella notte illuminati dal tuo sguardo?”]

Giancarlo Pavanello. ( Una digressione) Il romanzoultima modifica: 2009-04-07T17:46:00+02:00da mangano1
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