Nick Hornby, Quei giudizi dissacranti

Copyright Nick Hornby 2009
2009 Ugo Guanda Editore S. p. A., Viale Solferino 28, Parma Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Traduzione di Silvia Piraccini

(11 aprile 2009)

L’anticipazione da “Shakespeare scriveva per soldi” raccolta-diario di acquisti e recensioni sui testi di altri
Quei giudizi dissacranti firmati Nick Hornby
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Tra nomi amatissimi, felici scoperte e stroncature inaspettate
di NICK HORNBY

Il problema della lettura è che non finisce mai. L’altro giorno ero in una libreria a sfogliare un volume che si intitolava più o meno I 1001 libri da leggere prima di morire (e, senza far nomi, devo dire che il compito imposto dal titolo è impossibile per definizione, visto che almeno quattrocento dei libri indicati ucciderebbero comunque), ma da lettura nasce lettura – è proprio questo il punto, no? – e uno che non devia mai da un elenco prestabilito di libri è già intellettualmente morto. Pensiamo ai guai in cui mi hanno messo i saggi di Orwell. Anzitutto c’è la sua estesa e interessante riflessione su Tropico del Cancro di Henry Miller, un romanzo che, lo confesso, avevo liquidato come robaccia datata; George mi ha persuaso del contrario, così l’ho comprato. Poi, parlando dei saggi di Orwell con un amico, sono venuto a conoscenza dello strabiliante Napoli ’44 di Norman Lewis, un libro che, come mi pareva suggerire il venerabile amico, poteva tener testa come minimo a qualsiasi saggio orwelliano. (Ma sì, perché fare il timido? Il venerabile amico era Stephen Frears, tuttora meglio conosciuto, mi piace pensare, come regista di Alta fedeltà, oltre a essere fonte infinita di buoni consigli di lettura).

Credo che abbia ragione. Il problema dei saggi di Orwell è che oggi sono quasi tutti assolutamente inutilizzabili – e da quando ho cominciato a tenere questa rubrica, è forse la prima volta che non riesco a immaginare un qualsiasi americano di mia conoscenza avventurarsi nella lettura di un libro che ho letto.
(…)

Se vogliamo fare a Orwell la gentilezza di trattarlo da scrittore contemporaneo, uno le cui osservazioni hanno un senso per noi oggi come nel 1940, l’ultima frase non può che suscitare ilarità: quanti diciassettenni geniali conoscete che possano aver dato un’occhiata a Un ragazzo dello Shropshire e averlo trovato “di superficiale efficacia”? Così Orwell, anche quando parla di cose che sa che non sono durate nel tempo, non riesce a prevederne la scomparsa assoluta, completa, dalla scena culturale. Come faceva a sapere che il diciassettenne medio avrebbe avuto più probabilità di assaggiare un rene di sua sorella che la poesia di Housman? Non era colpa sua. Mica sapeva che sarebbe arrivato 50 Cent.

In un saggio dal titolo Ricordi di libreria, sulla sua esperienza lavorativa in un negozio di libri di seconda mano, Orwell osserva che i tre autori più venduti durante il suo periodo di servizio erano Ethel M. Dell, Warwick Deeping e Jeffrey Farnol. “Ovviamente a leggere i romanzi della Dell sono esclusivamente donne” – be’, certo, lo sapevamo tutti – “ma donne di ogni tipo e di ogni età, e non soltanto, come ci si aspetterebbe, malinconiche zitelle e le grasse mogli dei tabaccai”. Ah, che tempi quelli in cui i romanzieri di successo potevano contare sulle grasse mogli dei tabaccai per la metà dei loro introiti. Oggi i tempi sono molto più duri (e più magri). Quante volte avrei voluto dire alle mogli taglia zero dei tabaccai che non li volevo, i loro soldi schifosi, e purtroppo ho dovuto tener chiusa la bocca perché ho una famiglia numerosa da mantenere.

Una delle frasi più sconcertanti, però, la troviamo in Dentro la balena, il lungo saggio sullo stato della letteratura, pubblicato per la prima volta nel 1940, che comincia con la critica di Henry Miller. “Dire “accetto” in un’epoca come la nostra equivale a dire che si accettano i campi di concentramento, gli sfollagente, Hitler, Stalin, le bombe, gli aeroplani, il cibo in scatola, le mitragliatrici, i colpi di Stato, le epurazioni, gli slogan, il sistema Bedaux, le maschere antigas, i sottomarini, le spie, gli agenti provocatori, la censura sulla stampa, le prigioni segrete, l’aspirina, i film di Hollywood e gli assassini politici”. Non si possono accettare, per esempio, il cibo in scatola, i film di Hollywood e l’aspirina senza accettare Stalin e Hitler? Mi sa che io sono uno di quei codardi che avrebbero invaso prontamente la Polonia, se quello era un modo per procurarsi un paio di pastiglie per alleviare gli strascichi di una sbornia. E che c’è di male nel cibo in scatola, sul quale quei ragazzi là insistevano tanto? (Ricordate la poesia Slough, di John Betjeman? “Venite, bombe, e fate a pezzi / quei freschi spacci illuminati / carne, latte, frutta, ortaggi / mente, fiato, tutto inscatolato”. Certo, è vero che la frutta fresca è più sana. Ma voglio sperare che, con il beneficio del senno di poi, Orwell, Betjeman e compagnia bella riconoscerebbero che Bergen-Belsen e le epurazioni stanno ben più in alto di un bel barattolo di pesche sciroppate nella lista degli orrori di metà Novecento.
(…)

Alcune frasi invece sono geniali. Sentite questa, tratta dal suo saggio su Dickens: “Al romanziere di successo, la gente chiede una sola cosa: che continui a scrivere e riscrivere sempre lo stesso libro, dimenticando che chi scrivesse due volte lo stesso libro non saprebbe scriverlo nemmeno una volta”.

Nick Hornby, Quei giudizi dissacrantiultima modifica: 2009-04-14T16:17:00+02:00da mangano1
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