PEPPE GIUDICE, E’ nella II Repubblica la radice del declino della sinistra italiana.

E’ nella II Repubblica la radice del declino della sinistra italiana.

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Sono reduce da una aspra polemica sul concetto di “sinistra senza aggettivi” che non condivido. Ora cercherò di spiegare meglio tale posizione inquadrandola nella mia lettura della fortissima crisi della sinistra che ne ha prodotto un azzeramento di fatto.

In modo sintetico tenterò di spiegare tale crisi come uno dei risultati più evidenti del periodo della II Repubblica.

In realtà la II Repubblica non ha cancellato solo il PSI ma di fatto tutta la sinistra ed ha privato i lavoratori italiani di una vera rappresentanza politica.

Nella fase finale delle I Repubblica la sinistra politica in tutte le sue componenti (dal PSI a DP) aveva circa il 45% dei voti (più o meno nella media europea); questo il risultato delle politiche del 1987.

Nelle elezioni del 1996 (quando l’Ulivo vinse – ma la Lega non era alleata con il cd) la sinistra registrava il 30% dei consensi. In nove anni si era perso il 15% (oltre 5 milioni di voti).

Naturalmente la scomparsa del PSI ha inciso in modo determinante, ma vi sono altri dati da esaminare attentamente.

Nelle elezioni del 1992 (ultime con il sistema proporzionale puro) si recò al voto oltre il 90% dell’elettorato. In Italia vi era la percentuale più alta d’Europa di partecipazione al voto. Nelle elezioni del 1994 (prime con il maggioritario “Mattarellum”) la percentuale calò di 7 o 8 punti. In più ci fu un boom di schede bianche e nulle.

Sintomo evidente che un pezzo importante di elettorato non si riconosceva nei partiti della II Repubblica.

Nel 2006 l’anno della vittoria al “fotofinish” di Prodi con l’Armata Brancaleone dell’Unione, la sinistra era intorno al 25%. In venti anni (facciamo riferimento all’87) la sinistra perde il 20% dei consensi. Facciamo presente che nel resto d’Europa la sinistra supera mediamente abbondantemente il 45%. C’è una anomalia impressionante.

Ma perché si giunge a tanto? Indubbiamente la fine di una delle componenti storiche della sinistra come il PSI incide moltissimo. Una parte consistente dell’elettorato socialista (parlo di elettorato non di militanti) va verso l’astensionismo: almeno questo dicono i pochi studi fatti a proposito. Certo una altra parte va a Forza Italia (ma non nel numero spesso sbandierato). Ma si perde anche un pezzo consistente dell’elettorato del PCI – verso l’astensione ma talvolta verso la lega e la stessa Forza Italia. Se dai sondaggi preelettorali fatti prima delle regionali risulta che il 42% degli operai votano PDL e solo il 21% per il PD, vuol dire che un pezzo consistente della ex base elettorale sia del PCI che del PSI vota a destra.

Fatto è che eliminato dalla scena il PSI (del resto quel partito non poteva comunque sopravvivere nello stesso modo dopo il 92) non vi è stata nessuna forza in grado di rappresentarne la cultura politica. Il PDS poteva e doveva farlo se voleva salvare la sinistra.

Ma nel PDS è prevalsa la scelta del nuovismo ; di collocarsi di fatto più a destra della tradizione socialdemocratica ed in rapporto di subalternità verso il centro post-democristiano e verso un segmento dei poteri forti. A contrastare tale deriva non poteva farlo una sinistra antagonista, rappresentata da Rifondazione, a vocazione minoritaria e protestataria, povera di voto operaio, e ricca di militanti molto lontani da quella rappresentazione di “intellettuale collettivo” cara a Gramsci: insomma agit-prop con quozienti intellettivi non entusiasmanti che ripetono pappagallescamente slogan triti e ritriti. Ma allo stesso tempo in questa sinistra antagonista matura anche un gruppo di intellettuali innovatori e di larghe vedute sostenuti da Fausto Bertinotti che si dimostra come il leader più intelligente e colto della sinistra degli ultimi 15 anni (e che con il suo carisma mediatico riesce a portare a RC molti più volti di quelli che ne avrebbe presi senza la sua leadership).

In tal modo si delinea lo scenario delle “due sinistre” (che poi Bertinotti ha rinnegato): una che fa il “lavoro sporco” al governo (privatizzazioni, flessibilità) – i DS e l’altra che protesta nelle piazze. Una deriva deleteria che accentua la già forte crisi della sinistra.

La II Repubblica si è fondata sulla costituzione materiale del liberismo economico: la sinistra di governo ne è stata subalterna; la sinistra antagonista è stata incapace di costruire un progetto limitandosi a gestire la protesta contro la sinistra moderata.

Questa deriva porta alla distruzione della sinistra. Il PD e l’Arcobaleno due disegni politici senza identità e senza respiro strategico coerente ne sugellano la fine. Della buffonata della Costituente Socialista di Boselli meglio non parlarne.

Quindi ora il problema è di ricostruire la sinistra alla radice. E’ un problema che non potrà essere risolto nel breve periodo, ha bisogno di un orizzonte di largo respiro. Se Vendola dice di andare oltre SEL ha ragione. Non perché SEL debba sparire ma perché essa non può certo essere l’approdo di un progetto ricostruttivo della sinistra italiana. Se essa divenisse un partitino del 3% che magari soddisferebbe le esigenze di in micro-ceto politico o di un militantismo senza idee che punta a diventare anche esso micro-ceto, non servirebbe a niente e farebbe un favore ad un PD in profonda crisi.

La grande fluidità della situazione politica dà ragione alla strategia di Vendola: costruire un centrosinistra radicalmente alternativo al paradigma ulivista-scalfariano a favore di un sinistra-centro con una sinistra protagonista ed a vocazione maggioritaria legata al socialismo democratico europeo (che comporta chiaramente il superamento del PD ed il suo dichiarato fallimento). Sono proprio Bertinotti e Vendola che nei fatti ripropongono la centralità della questione socialista come profilo identitario ed orizzonte strategico della sinistra. Se si scarta di fatto l’idea del partito minoritario e di pura testimonianza, è solo nel PSE (un PSE che sta evolvendo a sinistra) che il nuovo soggetto che vogliamo costruire troverà collocazione. Il soggetto di una sinistra non espressione né di un riformismo debole e subalterno, né di una vocazione minoritaria che chiama a raccolta tutti i frustrati ed i rompicoglioni permanenti. Un partito che non si fa per dare rappresentanza ad un ceto politico o ad un militantismo autoreferenziale, ma perché serve a quella parte di società a cui ci rivolgiamo. In una fase di profonda crisi del capitalismo con tutte le sue drammatiche ricadute non serve una sinistra di testimonianza; serve una sinistra in grado di affrontare e risolvere i problemi in una dimensione europea.

I socialisti non possono stare con il PD. Devono stare nella prospettiva alternativa di cui oggi Vendola si fa interprete. Noi con la Lega dei Socialisti saremo della partita. In questa fase può dare un maggiore contributo alla sinistra un laboratorio politico che un piccolo partito.

PEPPE GIUDICE

PEPPE GIUDICE, E’ nella II Repubblica la radice del declino della sinistra italiana.ultima modifica: 2010-05-15T15:51:53+02:00da mangano1
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