P.Giannino, La conquista della felicità

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La conquista della felicità

Quali sono i capisaldi delle religioni occidentali? Quali le fondamenta su cui sono state costruite le varie chiese? Credo si possano sintetizzare in questi due punti:

 

 

2.jpeg1. L’origine del mondo

2. La natura effimera della vita

Ora, per quanto concerne il primo, la comunità scientifica ha da tempo recepito la teoria del Big Bang. Certo, restano ancora ignote le “condizioni iniziali” del fenomeno. Ma un dato è ormai acquisito: l’origine dell’asse temporale coincide con tale evento. Lo scrive in modo inequivocabile Stephen W. Hawking nel suo best seller Dal Big Bang ai buchi neri:

“Si può dire quindi che il tempo ha avuto un inizio col Big Bang, nel senso che i tempi anteriori non potrebbero semplicemente essere definiti in alcun modo. […] Si potrebbe immaginare che Dio creò l’universo nell’istante del Big Bang, o addirittura successivamente, in modo tale da dare l’apparenza che ci fosse stata una grande esplosione primigenia, mentre non avrebbe alcun senso supporre che l’universo sia stato creato prima del Big Bang”.

D’altra parte se ne era già occupato sant’Agostino, quando, rispondendo a una domanda su cosa facesse Dio prima della creazione, disse che il tempo era una proprietà del mondo creato da Dio… Ora, io non escludo l’eventualità di un intervento divino, tuttavia non posso condividere il metodo di addurre argomentazioni trascendenti per spiegare dei fenomeni che sono oggetto della ricerca scientifica e che forse un giorno accetteremo come del tutto naturali, allo stesso modo in cui accettiamo che la Terra non è piatta e non coincide col centro dell’universo.

Per quanto riguarda il secondo punto, mi sovviene un’immagine tipica del nostro sud: le chiese gremite sempre di persone anziane. In effetti, a una certa età la promessa della vita eterna può apparire allettante… Probabilmente io non andrò in paradiso. Ma la cosa non mi spaventa. Al contrario, sarei terrorizzato dall’idea di dover vivere eternamente, seppure in una condizione di perenne beatitudine. Io considero la vita esaustiva (perdonatemi l’ardire), nel senso che non riesco a condividere la necessità (e neanche il desiderio) di un suo prolungarsi oltre la morte. L’esistenza è un’opportunità fantastica, per quanto fugace, in cui noi abbiamo la possibilità di crescere, studiare, esplorare il mondo, fare arte… amare. Io credo che ogni uomo, prima di terminare il suo percorso, dovrebbe porsi la domanda: Ho sfruttato al meglio le occasioni straordinarie che mi ha offerto la vita?, anziché perdere tempo a chiedersi cosa accadrà dopo. Se la risposta sarà positiva, qualcosa di buono rimarrà di lui e altri proseguiranno il suo cammino. Del resto perché temere il proprio annichilimento? Abbiamo forse qualche brutto ricordo della nostra condizione precedente la nascita? Ciò di cui è ragionevole aver paura è la malattia, il dolore… tutti quegli eventi che potrebbero impedirci di seguitare a svolgere le attività che amiamo e ci gratificano. È un’eventualità che dovremmo tenere in conto, se non altro perché, a meno di finire anzitempo, prima o poi ci toccherà invecchiare. Ma ci sono dei vecchi che hanno vissuto intensamente sino alla fine e alcuni hanno saputo realizzare in tarda età delle cose egregie (Bertrand Russell fondò – ultranovantenne – l’omonimo tribunale contro i crimini di guerra americani nel Vietnam). Ci sono dei medici ammalati di cancro che continuano sino alla fine a compiere la loro missione…

A questo punto cerco di entrare nel vivo della questione. La vita è per sua natura fatta di contrasti: piaceri e sofferenze, speranze e delusioni, amore e odio… Ed è nel contrasto che ha senso apprezzare i propri momenti di felicità. Certo, sono fugaci. Ma chi può dirsi costantemente felice? Il folle? L’artista? Il mistico? Forse la felicità è data dalla fuga, dall’estraniamento, dall’incoscienza? Può dirsi felice il folle?

Quando sono entrata

tre occhi mi hanno raccolto

dentro le loro sfere,

tre occhi duri impazziti

di malate dementi:

allora io ho perso i sensi

ho capito che quel lago

azzurro era uno stagno

melmoso di triti rifiuti

in cui sarei affogata.

Alda Merini, la poetessa de La Terra Santa… E l’artista non è certo più felice degli altri uomini. I suoi momenti creativi possono distoglierlo per alcuni istanti dalle vicissitudini quotidiane. Ma subito dopo è probabile che ricada nel dolore più nero, perché in lui il contrasto della vita è ancora più accentuato che negli altri. Il mistico è forse quello che più si avvicina a una condizione di felicità duratura. Ma il suo stato deriva da una scelta di elevazione spirituale e quindi da una rinuncia – più o meno consapevole – a vivere la vita. Mi ricorda vagamente l’idea della felicità secondo Leopardi, relegata nei momenti dell’attesa… Del resto, molti partono dall’assunto che l’infelicità nasca dalla presa di coscienza conseguente al peccato originale. Cioè partono dall’equazione: felicità è incoscienza. Probabilmente non hanno letto un libro di quelli che possono perfino cambiarti la vita: La conquista della felicità di Bertrand Russell. Il filosofo-matematico fornisce una serie di consigli pratici su come vivere evitando di angustiarsi più di quanto l’esistenza e i suoi accadimenti non richiedano. La sua condanna contro i sensi di colpa trasmessi da una cultura non laica è netta. E non si riferisce soltanto al peccato originale, ma a tutta una serie di comportamenti del vivere quotidiano che potrebbero rappresentare cause di infelicità indotta da sensi di colpa eccessivi. Guardiamo all’attenzione posta dalla chiesa cattolica rispetto alla vita sessuale dei fedeli e al modo in cui condanna, ancora oggi, i rapporti non finalizzati alla procreazione… Poi, Russell fornisce dei suggerimenti su come raggiungere l’ambito traguardo. E il lettore scopre che la felicità è dietro l’angolo. Basta davvero poco: svolgere con passione il proprio lavoro; evitare di cadere nella trappola dell’invidia, che alligna soprattutto negli ambienti lavorativi; trovarsi una compagna o un compagno da amare… Bertrand Russell scrisse molti altri saggi, fra cui il noto: Perché non sono cristiano. A me piacerebbe scriverne uno dal titolo: Perché vorrei essere cristiano. Semplicemente perché il Cristo Maestro (sulla presunta divinità non mi esprimo) ci ha lasciato un metodo infallibile per essere felici: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Il Nazareno ce lo disse venti secoli fa e noi ancora oggi facciamo finta di non saperlo, abbarbicati sulle roccaforti dei nostri egoismi… incapaci di contenere questa competizione selvaggia che uccide l’uomo. Ecco perché stimo i preti di strada più dei teologi e degli asceti, coloro che spendono l’intera vita per aiutare i reietti, gli emarginati, gli ultimi… Ecco perché vorrei essere un buon cristiano. E vivrei felice anche senza il paradiso.

Pasquale Giannino

P.Giannino, La conquista della felicitàultima modifica: 2010-06-08T15:21:33+02:00da mangano1
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