Marco Belpoliti, Il Doge abitava a palazzo Coca-Cola

da la stampa
4/10/2010

Il Doge abitava a palazzo Coca-Cola

veneizia ducal24e.jpegMARCO BELPOLITI

Dove sono finiti i «persuasori occulti» evocati da Vance Packard alla fine degli Anni Cinquanta in un celebre libro? Da almeno trent’anni i persuasori sono diventati palesi ed estensivi.

Tutto ora nella pubblicità è sempre più grande: XXL. O almeno a Venezia è così. I turisti che nottetempo, dondolati dalle onde della Laguna, comodamente adagiati in gondola, arrivano vicino al Ponte dei Sospiri, chiedono al remigante: «Ma dov’è il Palazzo Ducale?». Al posto dell’edificio storico, uno dei monumenti più visitati del mondo, in uno dei suoi angoli, c’è un cartellone pubblicitario della Coca-Cola, illuminato da fari, a colori sgargianti, rosso e azzurro, che rende invisibile l’intero palazzo.

Se n’era accorto il Fai che già questa estate in un breve comunicato aveva sintetizzato il problema: l’intera zona del Ponte dei Sospiri, le Prigioni, la zona di Sant’Apollonia e il canale sottostante, non erano più leggibili, anzi addirittura invisibili, a causa di un’imponente copertura pubblicitaria. Nello stigmatizzare il fatto, il Fondo dell’Ambiente ricordava che la manutenzione degli edifici storici, in una città così delicata, investita dal turismo di massa, come Venezia, era un fatto necessario, mentre oggi le amministrazioni non dispongono più di fondi adeguati; ci vogliono ovviamente degli sponsor. Tuttavia l’installazione appare così eclatante e abnorme da superare ogni limite.

Ora arriva un intervento autorevole, e internazionale, dei direttori di alcuni dei maggiori musei europei e americani, lettere pubblicate da riviste di settore, architetti, e opinion leader, tutte sollecitazioni che chiedono ragione di questo sfregio al patrimonio artistico italiano al ministro Bondi. Tom Kington, che sul «Guardian» ha raccontato la vicenda, ha ribattezzato il Ponte dei Sospiri con l’omofono, in inglese, Ponte dei Segni, e così ha evocato, forse inconsapevolmente, Jean Baudrillard e la sua «economia politica del segno». Il filosofo francese scriveva oltre trent’anni fa che nella società contemporanea la pubblicità gioca liberamente senza regole; la sua forza infatti risiede non tanto sulla capacità di persuasione, come Packard e gli altri studiosi ritenevano, bensì sul fatto che «ci libera dalla tirannia di tutti i giudizi, consegnandoci al piacere immediato di un puro défilé di immagini che non ci obbliga più a niente». La pubblicità, Small, Medium o Extra Large che sia, appare «al di là del vero e del falso, come la moda è al di là del brutto e del bello, come l’oggetto moderno, nella sua funzione di segno, è al di là dell’utile e dell’inutile».

Considerazioni che appaiono ancora valide. Venezia, con la sua storia e la sua malinconica e inesausta bellezza, ce lo fa oggi capire. E nonostante che il turismo di massa l’abbia trasformata in un parco tematico, il telone disteso sull’angolo di Palazzo Ducale tra cieli azzurri, nuvole bianche e sole che nasce radioso da una inconfondibile bottiglietta di Coca-Cola, ci ricorda che ci sono segni e segni. Quelli della Venezia di pietra, degli archi, delle colonne, dei merletti di marmo e delle policromie, ci piacciono, nonostante tutto, di più di quelli della pubblicità scoppiettante di un famoso brand di una multinazionale delle bibite.

Marco Belpoliti, Il Doge abitava a palazzo Coca-Colaultima modifica: 2010-10-05T15:55:03+02:00da mangano1
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