Marco Bardazzi,L’America profonda

da LA STAMPA
12/10/2010 –
L’America profonda che crede in Dio
ma non in Obama
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Una manifestazione del popolo dei Tea Party

Un’analisi del popolo che affolla i Tea Party
MARCO BARDAZZI

Tom Henderson ha 60 anni e due bypass, lavora in una fabbrica di utensili in plastica e gira con una vistosa fibbia da cowboy sopra i jeans. Ha combattuto in Vietnam, ha sperimentato ogni possibile droga, poi è «rinato» in Cristo e ha rinunciato alla marijuana, ma non al bourbon «Jim Beam» («Dio proibisce di ubriacarsi, non di bere», è il suo credo). Nel suo salotto di casa a Winchester, in Virginia, la è Tv perennemente accesa sulla FoxNews di Rupert Murdoch. Il prossimo 2 novembre, Tom farà probabilmente un colpaccio: insieme a milioni di altri americani che gli somigliano, toglierà Camera e Senato ai Democratici di Washington e lascerà Barack Obama a battersi nei prossimi anni con un Congresso controllato dai repubblicani.

I vari Tom Henderson di quella che viene di solito descritta come l’America «profonda», continuano a essere l’incubo dell’altra America, quella degli intellettuali, della gran parte dei media, di Hollywood e dei progressisti di ogni tonalità. È l’inquietudine che emerge anche dalle 230 pagine di un saggio di Joe Bageant, La Bibbia e il fucile, di cui Bruno Mondadori pubblica l’edizione italiana. Tom è tra i protagonisti del libro, amico d’infanzia dell’autore a Winchester e come lui reduce dal Vietnam. Ma insieme a gran parte dei concittadini, Tom nel corso dei decenni si è spostato a destra, finendo agli antipodi rispetto a Bargeant, un giornalista e blogger (il suo www.JoeBageant.com è già stato visitato 30 milioni di volte) che negli Usa odierni può venir catalogato di estrema sinistra, per le posizioni marxiste e i sogni di lotta di classe.

Il microcosmo di Winchester offre a Bageant – tornato a casa dopo decenni di viaggi – la possibilità di analizzare un’America che resta un enigma per il resto del Paese e scandalizza noi europei. È il mondo dei bianchi poveri, i rednecks e i white trash, che amano impugnare lattine di birra e carabine, guidano furgoncini scassati con la musica country a tutto volume, vivono in case mobili e di tanto in tanto hanno la tentazione di bruciare un Corano. È un mondo operaio che trent’anni fa si stufò di un presidente democratico, Jimmy Carter, che accusava loro e buona parte del paese di essere responsabili della crisi dell’epoca. Ne nacquero i cosiddetti Reagan Democrats, capaci di spingere alla Casa Bianca un ex attore che parlava di ottimismo e ripeteva che il governo «non è la soluzione ai vostri problemi: il governo è il problema». Dieci anni fa, divenuti nel frattempo evangelici e cristiani «rinati», mobilitarono le chiese per spingere alla vittoria George W.Bush. E oggi invadono con sedie pieghevoli e cappellini da baseball i prati delle adunate del Tea Party, il movimento conservatore che ha offerto nuova linfa ai repubblicani spompati nel 2008 da Obama.

È un popolo che fa inorridire le redazioni dei quotidiani di New York e Los Angeles, incapaci di decifrarlo senza ridurlo a stereotipi e macchiette. Lo conferma lo stesso Bageant: «Mi ha detto un direttore di giornale di New York, progressista e bravissima persona: “È come se la tua gente avesse qualcosa di esotico, come se venisse dallo Yemen o giù di li”». Bageant però non riesce a sua volta a spingersi oltre, offrendoci una panoramica di «taleban cristiani» invasati di religione e interpretando tutto come un problema di educazione. Come dire: se avessero studiato, voterebbero a sinistra. La realtà è più complessa, come sanno anche quegli europei che per motivi di studio o lavoro hanno frequentato l’America «profonda». Se oggi da quelle parti monta la rivolta contro Obama, dopo la cauta apertura di credito di due anni fa al «presidente nero», è perché c’è una larga fetta dell’elettorato americano che non vuole un aumento della presenza del governo federale nelle loro vite. Se la passano male, magari sotto la soglia di povertà, ma preferiscono cavarsela da soli con l’aiuto delle loro chiese (spesso bizzarre), piuttosto che con il welfare federale.

Insieme alla classe media che vive nei sobborghi, rappresentano una maggioranza negli Usa. E come la middle class sono assolutamente incomprensibili per la cultura dominante radicata nelle grandi città affacciate sui due oceani. È il motivo per cui anche il cinema e la letteratura ormai da tempo raccontano non solo i rednecks, ma anche la classe media dei sobborghi solo per stereotipi, che finiscono per condizionare l’immaginario collettivo di noi europei. Ecco così che le aree suburbane dove vivono la maggioranza degli americani divengono luoghi di angosce, depressioni e perversioni, come in «American Beauty» e «Revolutionary Road» del regista Sem Mendes (non a caso, un britannico). Sono periferie abitate da personaggi incomprensibili, per esempio, a un newyorchese come quello interpretato da Larry David in Basta che funzioni, l’ultimo film di Woody Allen. Oppure si trasformano in aridi agglomerati umani dove niente di positivo può accadere, come nell’ultimo romanzo di Jonathan Franzen, Freedom.

È l’effetto di quello che David Brooks, editorialista di punta del New York Times e autore di saggi sulla classe media americana, ha definito «il dogma della Quieta Disperazione»: lo stato patologico in cui, ad avviso degli autori più acclamati, vivrebbero gli americani che non abitano le grandi città. Ma è una visione ridotta della realtà, avverte Brooks, «un cul-de-sac intellettuale» in cui restano intrappolati anche autori sensibili come Franzen. Un approccio che impedisce di andare oltre la superficie, per cercare di intuire se non ci sia qualcosa di più «profondo» nello stile di vita dell’America «profonda».

Marco Bardazzi,L’America profondaultima modifica: 2010-10-14T10:44:34+02:00da mangano1
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