Gallino,Ruffolo,Lazar La difficile difesa del lavoratore globale

SINDACATO. La difficile difesa del lavoratore globale
Data di pubblicazione: 14.10.2010
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Un articolo di Luciano Gallino e due note di Giorgio Ruffolo e Marc Lazar su una questione vitale dei nostri tenpi: il ruolo del lavoro e la sua difesa. La Repubblica, 14 ottobre 2010

LA DIFFICILE DIFESA DEL LAVORATORE GLOBALE
di Luciano Gallino

Divise e oggetto di attacchi estremistici le organizzazioni devono fronteggiare mutamenti sociali che mettono in questione il loro ruolo tradizionale. Nuove tecnologie mestieri inediti contratti atipici. La realtà di oggi sembra porre infiniti ostacoli. Quando le loro rappresentanze sono deboli, le condizioni di vita e le retribuzioni di operai e impiegati peggiorano ovunque

Relitto anacronistico della rivoluzione industriale. Superfluo come soggetto contrattuale: i contratti collettivi di lavoro sono superati. Incapace di rappresentare gli interessi dei lavoratori globali. Questo dicono del sindacato manager e politici, e anche non pochi operai e impiegati. A tutto ciò si aggiungono le divisioni interne e gli attacchi contro alcune organizzazioni. Vediamo allora qualche dato.
Nei paesi dell’Europa occidentale, tra il 1981 e il 2007 i sindacati, Pubblica Amministrazione esclusa, hanno perso in media oltre la metà degli iscritti. Nello stesso periodo la quota dei salari sul Pil è scesa in media di dieci punti. In Italia, dove un punto di Pil vale 16 miliardi, è scesa di dodici.
In Usa, grazie alle politiche antisindacali cominciate con la presidenza Reagan, i salari dei lavoratori dipendenti sono oggi al medesimo livello, in termini reali, del 1973.
In Germania, dove almeno sui grandi temi i sindacati procedono in modo unitario, ed hanno per legge un peso effettivo nel governo delle imprese, il salario netto superava nel 2008 i 20.000 euro. In Italia, dove i sindacati marciano disuniti e nel governo delle imprese contano zero, il salario netto era sotto i 15.000 euro.
Grandi imprese della Ue che intrattengono buone relazioni con i sindacati di casa, quando aprono uno stabilimento in Usa mettono in atto pratiche pesantemente antisindacali. Per dire, assumono stabilmente gli esterni che si sono prestati a lavorare al posto dei dipendenti in sciopero. Motivo? La legislazione sulla libertà di associazione sindacale è arretrata in Usa rispetto alla Ue; per di più molti giudici non la applicano.
Questi dati dicono che nei paesi sviluppati quando i sindacati sono deboli le retribuzioni, insieme con altri aspetti delle condizioni di lavoro, virano al ribasso. Ovviamente nei paesi emergenti va peggio. Qui i sindacati non esistono, o hanno scarso potere contrattuale. Risultato: a parità di produttività e di potere d’acquisto, i salari sono da due a cinque volte più bassi, gli orari assai più lunghi, i giorni di riposo e di ferie ridotti al minimo. Sono anche paesi dove chi sostiene il ruolo del sindacato rischia la vita. In Colombia, solo nel 2006 sono stati assassinati 72 sindacalisti. Nelle Filippine le vittime sono state 70 in quattro anni. Ancora nel luglio scorso, due fratelli, dirigenti del sindacato dei tessili, sono stati uccisi in Pakistan. Le colpe di tutti loro? Chiedevano condizioni di lavoro più decenti per i compagni.
Le cose sono un po’ diverse in tema di capacità del sindacato di rappresentare gli interessi dei nuovi lavoratori: quelli che flottano tra una quarantina di contratti atipici, fanno mestieri inesistenti dieci anni fa, o lavorano soltanto con l’immateriale che scorre sullo schermo del Pc. È vero che tale capacità appare carente. Ma non si può imputarla solo al ritardo dei sindacalisti nel comprendere le nuove realtà produttive. Il fatto è che dette realtà sembrano costruite appositamente per ostacolare il sindacato nel rappresentare gli interessi dei nuovi lavoratori.
Si prenda il caso – che qui si semplifica, ma è reale – di un piccolo elettrodomestico venduto nei supermercati. Le 50-60 parti di cui è composto sono fabbricate in una dozzina di siti posti in dieci paesi diversi, e controllati da multinazionali che hanno sede altrove. In ciascun sito gli addetti appartengono a molte nazionalità diverse. L’assemblaggio finale dell’apparecchio può avvenire in uno stabilimento sito in Umbria o in Puglia, per mano di lavoratori italiani, nigeriani, moldavi, magrebini. Essi fanno capo, pur lavorando insieme, a cinque o sei aziende differenti; inoltre tra di essi si contano una dozzina di tipi di contratti di lavoro diversi. La loro produttività dipende da componenti fabbricati a Taiwan o nel Kerala, e dalla puntualità di viaggio di innumeri aerei, navi container, tir e furgoncini, sui quali quei componenti hanno viaggiato per 30.000 chilometri. In presenza di un simile modo di produrre, per il sindacato “rappresentare gli interessi” dei lavoratori non è diventata soltanto una fatica erculea: non si capisce nemmeno che cosa voglia dire. Che è precisamente il risultato che gli architetti della globalizzazione volevano ottenere.
Quanto ai lavoratori della conoscenza, intesi come coloro che producono valore aggiunto trasformando informazioni in conoscenze e queste in altre informazioni mediante apposite tecnologie, si possono suddividere in due gruppi: quelli che di un sindacato non sentono il bisogno, e quelli che ne avrebbero un bisogno estremo, ma di mezzo ci sono, a impedirglielo, le leggi sul lavoro. Di un sindacato non sanno che farsene i traders, i negoziatori di titoli al computer che guadagnano da centomila euro all’anno in su. Non sentono la necessità di un sindacato le decine di migliaia di informatici che han messo in piedi un’efficiente azienda propria, magari individuale; né i data miners che trovano ogni genere di dato su qualsiasi persona e impresa scavando nei meandri della rete. Restano fuori gli operai del Pc, tipo molti addetti ai call center che l’azienda retribuisce in funzione di quanti secondi riescono a trattenere qualcuno al telefono. Questi avrebbero sì bisogno di un potente sindacato da lavoratori dipendenti, quali in realtà sono; ma il legislatore permette cortesemente all’azienda di applicare loro l’etichetta di lavoratori autonomi “a progetto”, e la tutela del sindacato si fa più complicata e lontana.
DAL TRIONFO AL DECLINO
Il passato glorioso, i problemi attuali
di Giorgio Ruffolo

Gli inizi sono segnati da lotte impetuose e da repressioni cruente. Poi, con le leggi sociali e lo stato del benessere, diventano una delle grandi istituzioni della democrazia moderna

Nella Roma imperiale i Collegia erano una specie di sindacato nato per proteggere categorie proletarie esposte al rischio di malattie invalidità povertà. Nel Medioevo queste funzioni furono assunte dalle Corporazioni di arti e mestieri. Ma è con la rivoluzione industriale e con i suoi tremendi traumi sociali che sorge, insieme con i partiti politici della sinistra proletaria, il sindacato, parte integrante del movimento operaio, per proteggere la vita la salute e la dignità dei lavoratori.
Ispirandosi al socialismo, ma anche al cristianesimo sociale, il sindacato percorre in poco più di due secoli una triplice grandiosa vicenda storica: l’epoca eroica, quella del potere, quella del declino.
La prima è segnata da lotte impetuose e cruente, nelle condizioni talora terrificanti delle fabbriche e delle miniere descritte in Inghilterra da una Commissione governativa: donne e fanciulli che lavorano da 12 a 15 ore al giorno in condizioni igienicamente spaventose; bacini carboniferi come inferni, la disciplina di una prigione, i bambini picchiati se si addormentano. Le prime leghe operaie sono represse col carcere. I primi scioperi sono stroncati col sangue. Il sindacato nasce nel martirio e cresce con l’ardimento, sfidando la violenza e l’ipocrisia (come quella della pia liberale Henriette Martineau che dichiara: ogni intervento di assistenza pubblica è una violazione dei diritti del popolo).
La seconda è l’epoca del suo trionfo. Attraverso i grandi scioperi, le leggi sociali, lo Stato del benessere il sindacato diventa tra la metà del XIX e la metà del XX secolo una delle grandi istituzioni della democrazia moderna. E anche delle più potenti. Potenza della quale talvolta abusa generando privilegi burocratici e suscitando tensioni inflazionistiche.
La terza è l’epoca del declino, aperta da una controffensiva capitalistica scatenata dalla liberazione dei movimenti internazionali di capitale che rovesciano i rapporti di forza tra le grandi imprese multinazionali e gli Stati nazionali e tra capitale e lavoro.
In Italia, dove l’unità sindacale, raggiunta nel giugno 1944 col Patto di Roma, era stata rotta nell’ottobre 1948 con la scissione della Lcgil (poi Cisl) il sindacato registra le ripercussioni del nuovo corso politico di centro-destra. Si ribadisce la separazione tra Cgil da una parte, Cisl e Uil dall’altra, la prima a intransigente difesa della contrattazione collettiva, le altre alla ricerca di un compromesso tra diritti sociali e pretese capitalistiche motivate dalla pressione della competizione economica. Svanisce la pratica della concertazione tra Governo e sindacati, sostituita da un dialogo che culmina con il Patto per l’Italia del luglio 2002, sottoscritto da Cisl e Uil ma non dalla Cgil, e che segna il massimo di conflittualità tra i sindacati. Una conflittualità poi parzialmente stemperata, sia per senso di responsabilità da parte dei sindacati, sia anche per l’incapacità di un governo più confuso che reazionario, di trarre profitto dal vantaggio acquisito sviluppando una politica delle relazioni industriali degna di questo nome. Conflittualità parzialmente stemperata, dunque, ma sempre latente e pericolosamente riemersa in questi giorni.
Il sindacato, col suo passato glorioso, vive oggi una condizione di ansiosa incertezza in un mondo del lavoro che minaccia di spaccarsi tra precari e protetti, in un mondo economico esposto ai venti della finanza speculativa, in un mondo politico insidiato dall’inconsistenza.
IL DIVORZIO DAI PARTITI
di Marc Lazar

Perché si è allentato il legame con la politica. La svolta storica è avvenuta tra gli anni ‘70 e ‘80 Le mutazioni del capitalismo, il cambiamento dell’organizzazione del lavoro, l’offensiva liberista hanno drasticamente ridotto il loro potere negoziale

I sindacati proclamano la loro indipendenza, ma hanno sempre intrattenuto rapporti con la politica. Legami forti, organizzativi, organici, umani, univano i sindacati ai grandi partiti socialdemocratici, ad esempio nella Repubblica federale tedesca, nella Svezia o nell’Inghilterra del dopoguerra. Questi stessi sindacati erano gli interlocutori privilegiati dei poteri pubblici per distribuire i frutti – abbondanti – della crescita secondo due modelli principali. In Nordeuropa, la negoziazione e il compromesso erano largamente praticati, senza escludere le azioni collettive. La zona “eurolatina”, come nel caso della Francia e dell’Italia, era caratterizzata da una grande frammentazione sindacale e da una forte conflittualità sociale.
Gli anni ‘70 e ‘80 rappresentano una cesura storica. Le mutazioni del capitalismo, il cambiamento dell’organizzazione del lavoro, le mutazioni delle strutture di produzione, la spinta dell’individualismo, l’offensiva liberista, le nuove forme di gestione delle risorse umane, la rapida accelerazione della globalizzazione e l’unificazione dell’Europa hanno colpito i sindacati. Le iscrizioni sono diminuite, il loro potere si è ridotto, le loro capacità di negoziazione e di mobilitazione si sono assottigliate. Di conseguenza, sono cambiati anche i rapporti con la politica.
I legami tra i partiti socialdemocratici e i sindacati si sono allentati. I partiti, in Svezia, in Germania o in Inghilterra con il New Labour di Tony Blair, hanno voluto emanciparsi dai sindacati per potersi rivolgere agli elettori borghesi di centro. Le loro politiche di austerità e modernizzazione del welfare, la loro volontà di introdurre nuovi temi, ad esempio l’ecologia, il loro tentativo di adattarsi ai comportamenti dell’epoca, più individualistici e consumistici, hanno provocato delle tensioni con i sindacati. Da parte loro, questi ultimi hanno cercato di adattarsi offrendo dei servizi, formulando proposte costruttive, aprendo trattative sia dentro le imprese che con i governi, coordinando le loro azioni a livello europeo e interessandosi ad altri argomenti. Sindacati e partiti ormai sono molto più autonomi. Ma dopo la crisi del 2008 e le ripetute sconfitte della sinistra europea, i secondi, constatando la disaffezione dei ceti popolari, tornano ad avvicinarsi ai primi. Ed Milliband ha vinto la sua battaglia all’interno del Labour grazie ai sindacati.
Questa autonomizzazione e questa maggiore responsabilità dei sindacati sono stati oggetto di contestazione ed è iniziato un processo di radicalizzazione politica. In Germania, una parte della Dgb e il sindacato del settore dei servizi Ver.di sono molto legati alla Linke, mentre in Francia il sindacato Sud, comparso nel 1981, è vicino a tutti i partiti collocati alla sinistra del Partito socialista.
Indeboliti, invecchiati, ripiegati sul settore pubblico, i sindacati continuano ad assolvere a un ruolo di difesa e di protezione sociale e a esercitare un’influenza indiretta sulla politica. Dopo il 2008 hanno ritrovato il sostegno di una parte degli europei, che pure non aderiscono ai loro appelli allo sciopero. È quello che succede attualmente in Francia rispetto alle pensioni, dove Nicolas Sarkozy è deciso a imporre la sua riforma ma sembra aver perso la battaglia dell’opinione pubblica. Con il rischio di pagarne lo scotto alle presidenziali del 2012.
Traduzione di Fabio Galimberti

Gallino,Ruffolo,Lazar La difficile difesa del lavoratore globaleultima modifica: 2010-10-16T15:50:38+02:00da mangano1
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