Luigi Grisolia, I rituali di iniziazione, il summit del 1969 e la guerra mafiosa

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I rituali di iniziazione,
il summit del 1969
e la guerra mafiosa
di Luigi Grisolia
Città del Sole Edizioni ristampa
un saggio di Sharo Gambino
sulla ’ndrangheta: la prima analisi
dell’organizzazione criminale

È di pochi giorni fa la notizia sconvolgente della collaboratrice di giustizia uccisa e sciolta nell’acido da elementi della ’ndrangheta. Si tratta dell’ultimo dei tanti episodi che nel corso del 2010 hanno fortemente portato alla ribalta nazionale questa organizzazione criminale – da molti osservatori giudicata ormai più potente, soprattutto sullo scenario internazionale, della mafia siciliana –, a cominciare dalla macchina imbottita di tritolo fatta trovare lungo il percorso che avrebbe dovuto compiere Giorgio Napolitano in occasione della visita a Reggio Calabria, gli attentati alla Procura della Repubblica e contro la casa del giudice Salvatore Di Landro nonché delle innumerevoli minacce a diversi giornalisti calabresi che hanno trattato, nei loro articoli, temi giudicati “scomodi” dai boss.

La necessità di tener viva l’attenzione dell’opinione pubblica su tale fenomeno risulta perciò evidente. In effetti, a partire dall’omicidio di Francesco Fortugno nel 2005, ma soprattutto dopo la Strage di Duisburg del 2007, sono stati pubblicati molteplici volumi, sia da editori nazionali che calabresi, e la stessa Excursus ha avuto modo di occuparsi più volte dell’argomento in questi mesi.

Quel che sorprende, è che, tranne qualche eccezione, è servito un fatto altamente sanguinoso e di risonanza internazionale per far cadere l’attenzione degli studiosi sulla ’ndrangheta, quasi come se la sua nascita fosse recente. In realtà, non è affatto così: le origini della ’ndrangheta risalgono, al pari della mafia siciliana, almeno al tempo dei grandi latifondi ottocenteschi.  E non è un caso, visto le simili condizioni socio-economiche di Calabria e Sicilia all’epoca, così come non è un caso che le prime ’ndrine nacquero nel Reggino e nel Crotonese, ovvero in territori caratterizzati dalla presenza di grandi proprietari terrieri. Ciò è ben delineato nel prezioso volume di Sharo Gambino La mafia in Calabria (Prefazione di Paolo Pollichieni, pp. 336, € 16,00), recentemente ripubblicato da Città del Sole Edizioni. Il fatto che il saggio sia comparso nel lontano 1975, per le storiche Edizioni Parallelo 38 di Reggio Calabria, dimostra la grande capacità di saper leggere la società calabrese propria dell’intellettuale vibonese: vinse il Premio “Sila” nel 1976 e rappresenta in assoluto il primo lavoro organico sulla criminalità organizzata calabrese.

Gambino si rende conto subito, e trent’anni dopo l’inchiesta “Olimpia” gli darà ragione, dell’importanza del 1969 per la ’ndrangheta. Infatti, in quell’anno, il 26 ottobre, si tenne un summit sul Montalto, in Aspromonte, interrotto dall’irruzione delle forze dell’ordine, cui parteciparono oltre un centinaio di persone. In quell’incontro, i capi-bastone (ovvero i boss delle ’ndrine), che probabilmente erano sei e riuscirono a dileguarsi nella boscaglia, avevano tentato di organizzarsi per resistere alla “rivolta” dei giovani, che volevano sempre più spazio e anzi tramavano per sbarazzarsi di loro. Gli obiettivi dell’incontro erano in particolare due: valutare l’opportunità di unificare i tre maggiori gruppi mafiosi (ovvero le ’ndrine di Reggio Calabria, San Luca e Siderno), appunto per opporsi meglio ai nuovi affiliati, e lottare contro la polizia con attentati dinamitardi.

Alle nuove leve fanno gola, come rileva Gambino, i nuovi affari: gli appalti per la costruzione Salerno-Reggio Calabria (se si leggono le pagine dell’autore sull’autostrada, cambiando i nomi delle imprese pare che si analizzi la situazione attuale…), ma anche l’edilizia in generale, le estorsioni, i sequestri. Il libro si apre con il racconto del rituale di iniziazione secondo la testimonianza di Serafino Castagna, arrestato nel 1957, che in un documento autografo, riprodotto anastaticamente nell’Appendice del volume, descrive tutto il cerimoniale con cui la ’ndrina accetta e sancisce l’ingresso (in gergo mafioso rimpiazzo) di un nuovo affiliato. Si tratta di una serie di formule rigide, uguali in tutte le zone della Calabria, domande e risposte poste dal capo ai sergi compagni (ovvero “saggi”, non nel senso intellettuale del termine, ma in quanto capaci di essersi arricchiti, “furbi” insomma) e al futuro rimpiazzato. E le nuove leve si oppongono proprio a parte di questa rigida tradizione, e ad alcune sue regole, la cui origine si perde “nella notte dei tempi”. Proprio perché i tempi sono cambiati.

Scrive infatti Gambino: dal giorno in cui Castagna «ha sollevato il velo sulle ’ndrine rurali rivelandone l’esoterico cerimoniale, la mafia calabrese ha subìto un radicale rinnovamento. Dal mito del “rispetto” è passata all’estorsione razionalizzata, anzi siamo arrivati al racket vero e proprio. Ma non ha abbandonato del tutto la campagna: regola ancora il mercato ortofrutticolo […]; specula sulla produzione olearia […]; specula sulla produzione agrumicola. Oggi l’interesse predominante della ’ndranghita [o fibbia, come definita allora, Ndr] è rivolto verso la città imponendo la propria tassa a bar, alberghi, locali notturni, ristoranti, imprese industriali d’ogni tipo. Quella di Reggio Calabria è la provincia che detiene il primato della criminalità e in cui si sono verificati il maggior numero di attentati: 160 omicidi l’anno e circa 500 lesioni personali, per non contare rapine, furti ed aggressioni». E ancora: «Ai vecchi metodi di intimidazione (il taglio degli alberi, l’azzoppamento degli animali, l’incendio del pagliaio, il furto degli arnesi da lavoro) hanno sostituito il tritolo che fa saltare le bitumiere o danneggia gravemente un edificio. E il regolamento dei conti non si fa più col coltello, lo zaccagno, ma con la lupara, il terribile fucile a canne mozze che spara pallettoni che non perdonano».

L’autore si rende conto, quindi, del fatto che sta avvenendo un cambiamento epocale, il punto di partenza dal quale la ’ndrangheta diventerà quella che è oggi. Sono due, in particolare, gli accadimenti che, ai suoi occhi, e giustamente, confermano la sua intuizione. Nel periodo 1970-1975 in Calabria ci sono ben ventinove sequestri di persona. Prosegue Gambino: il rapimento «rappresenta il nuovo corso imposto dalle giovani leve alla venalità mafiosa calabrese. I vecchi sistemi di arricchimento non soddisfano i giovani leoni, a loro non garba la lentezza con cui gli anziani, nel nome di Osso, Mastrosso e Carcagnosso [1] e con la protezione di S. Michele Arcangelo, pervengono ad accumulare una notevole posizione economica […]. I giovani hanno bisogno di realizzare guadagni rapidi, immediati e sostanziosi allo stesso tempo». Il sequestro di persona, di cui il giornalista descrive personaggi e tecnica, naturalmente con la liberazione a seguito di pagamento di un riscatto, risponde ottimamente a questo bisogno. Gambino, inoltre, racconta anche i rapimenti del periodo, che videro coinvolti commercianti, avvocati, figli di farmacisti, docenti universitari: gente ricca, ovvio.

L’altro accadimento porta una data precisa: 17 ottobre 1974. Quel giorno, don ’Ntoni, al secolo Antonio Macrì, sessantaquattro anni, boss di Siderno, con Giuseppe Nirta di San Luca e Domenico Tripodo di Reggio, componente della trimurra della criminalità reggina (ovvero i tre capi ’ndrine più potenti cui accennavamo), subì un attentato, a cui scampò, restando solo lievemente ferito. Da quel momento, la Calabria conobbe un’incredibile escalation di omicidi, compiuti o tentati, intesi a colpire i vecchi boss, direttamente (come nel caso dello stesso Macrì, ucciso il 20 gennaio 1975, o di Giuseppe Zappia, capo-bastone di San Martino di Taurianova che presiedette il summit sul Montalto, che scampò ai colpi di lupara il 5 gennaio 1975 sparatigli nel pieno centro di Taurianova) o indirettamente tramite l’eliminazione di parenti (come Giacomo Praticò, la cui colpa principale era quella di essere cognato dell’irrintracciabile don Tripodo; quest’ultimo fu arrestato il 21 febbraio 1974 a Villa Literno, nel casertano, dopo, pare, una “soffiata” anonima). Una vera e propria guerra di mafia, secondo Gambino portata avanti dalle nuove leve per sbarazzarsi appunto dei vecchi boss e ancora in atto nel momento in cui il giornalista calabrese scriveva.

Compresa non solo la pericolosità della ’ndrangheta in sé, ma anche del profondo cambiamento che stava subendo in quegli anni, Gambino diede alle stampe questo volume, nel quale è presente anche un capitolo in cui l’autore traccia un primo profilo di storia della ’ndrangheta, e delle differenze e dei rapporti con la mafia siciliana. Si adoperò sempre per diffondere la conoscenza del fenomeno: scrisse decine di articoli, realizzò un’intervista per la Bbc nonché un ciclo di conferenze in Svizzera. E pubblicò altri due studi: Mafia. La lunga notte della Calabria e ’Ndranghita dossier. Come scrive Pollichieni nella Prefazione, «Molti impiegarono lustri e lustri prima di capire l’evoluzione del pianeta ’ndrangheta ma non Sharo Gambino» [2].

Luigi Grisolia

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] – Secondo la tradizione mitica, nel 1412 i tre cavalieri spagnoli, appartenenti ad una società segreta di Toledo, in fuga dalla loro terra perché avevano vendicato col sangue l’onore offeso, si rifugiarono nell’Isola di Favignana, dove restarono per ben 29 anni ed elaborarono le regole sociali delle organizzazioni mafiose. Quindi Osso si recò in Sicilia e fondò la mafia, Carcagnosso in Calabria e diede vita alla ’ndrangheta e Mastrosso in Campania creando la camorra.

[2] – Il tempo darà ragione alle “certezze” dell’intellettuale calabrese. Gli anni Settanta sono un periodo cruciale per la ’ndrangheta, che tenta anche un allineamento con la destra eversiva (si parlò anche di questo al summit sul Montalto), poi abbandonato. Avviene comunque una ristrutturazione degli equilibri di potere, che pone fine alla prima guerra mafiosa, in particolare attraverso due azioni portate avanti tra il 1974 e il 1977. Da una parte, come detto, l’eliminazione di alcuni boss: Macrì è ucciso nel 1975, Tripodo è accoltellato a morte nel 1976 nel carcere di Poggioreale, mentre nel 1974 e nel 1977 vengono assassinati prima Giorgio e poi Giovanni De Stefano, della cosca di Paolo De Stefano, che assume comunque il controllo di Reggio Calabria al posto della ’ndrina dei Tripodo. Tra l’altro, proprio l’omicidio di Paolo De Stefano nel 1985 scatena la seconda guerra mafiosa calabrese, chiusa dalla pace del 1991. Il secondo accadimento è la decisione da parte delle famiglie più importanti di entrare a far parte delle logge massoniche deviate: «La scelta – scrive Enzo Ciconte – era funzionale all’idea di assicurare uno sviluppo della ’ndrangheta ancorandola a strutture nazionali per farla partecipare a grandi affari economici. Per fare ciò era necessario entrare in diretto contatto con figure sociali – magistrati, militari, servizi segreti, notai, banchieri, economisti, imprenditori, architetti, professionisti vari – con le quali era impossibile avere rapporti alla luce del sole al di fuori della segretezza e dalla riservatezza assicurate dalle logge coperte». Fu un passo importante, che portò la ’ndrangheta a rivedere la sua stessa organizzazione aggiornando le regole e i rituali e creando la “Santa”, ovvero un gruppo di mafiosi al vertice della nuova struttura, i soli legittimati ad avere contatti con le più alte sfere della società.
Cfr. ENZO CICONTE, ’Ndrangheta, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, passim.

(www.excursus.org, anno II, n. 16, novembre 2010)

Luigi Grisolia, I rituali di iniziazione, il summit del 1969 e la guerra mafiosaultima modifica: 2010-11-02T15:45:00+01:00da mangano1
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