Gim Cassano, Fazio e Saviano a “ Vieni via con me ”: la caduta della città di Mahagonny.

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Fazio e Saviano a “ Vieni via con me ”: la caduta della città di Mahagonny.
di: Gim Cassanostampa

Fazio e Saviano a “Vieni via con me”: la caduta della città di Mahagonny.

Tempo fa, mi venne in mente “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”, l’opera di Bertold Brecht e Kurt Weill, dove Mahagonny è la città dell’estremo degrado morale, nella quale  tutto è consentito grazie al denaro, la maggior colpa è quella di non possederne, ed ogni mezzo è lecito pur di procurarsene; alla fine, la città crolla dissolta dalle fiamme. Questa sorta di città ideale al contrario, nella quale si intrecciano tutti i vizi che, lungi dal restar privati, diventano ragione costitutiva della città, mi era apparsa come una appropriata metafora dell’Italia berlusconiana.

Oggi, la mia sensazione è che stiamo arrivando all’ultimo atto.  Non ancora sul piano politico; ma il fatto nuovo è che, dopo anni, nessuna persona, di destra, sinistra o centro che sia, riesce più a credere in cuor suo che questo signore possa dare altra rappresentazione di se stesso che quella di una patetica nullità abbarbicata ai propri interessi ed al proprio delirio di onnipotenza. Sta diventando percezione comune, e non solo da parte dei dichiarati avversari politici del premier, la sua ferma convinzione che potere, denaro, menzogna, indifferenza morale, possano eternamente consentirgli ogni cosa: la difesa di propri interessi sulle cui origini vi è ben più che un velo d’ombra, lo sfuggire alla giustizia in un numero incredibile di processi, il fisco su misura, l’illegale potere televisivo, l’uso privato della politica estera, lo stravolgimento a fini personali delle istituzioni repubblicane, l’uso della religione come merce di scambio, la confusione tra funzione pubblica ed interessi privati, l’uso del corpo delle donne, la nomina della propria corte e del proprio harem a ricoprire rilevanti funzioni pubbliche. Il tutto, come in un’antica corte orientale, in un intreccio inestricabile di baratti di interessi, di personaggi che appaiono e scompaiono in ruoli diversi e tra loro incompatibili: quelli di amico-amica, di faccendiere, di consulente, di nominato a rilevantissime funzioni politiche ed istituzionali.

E l’altra sera (lunedì 9 novembre),  assistendo alla trasmissione di Fazio e Saviano “Vieni via con me”, su RAI 3, abbiamo tutti avuto netta la sensazione di assistere alla fine di un ciclo. Si percepiva una fresca aria di liberazione, quasi che i conduttori si sentissero essi stessi più liberi rispetto al passato di dire e di far pensare, in un’aria di allegria quale da tempo non si sentiva. E, in effetti, non esiste un paese al mondo in cui il premier ed il sistema che lo circonda possano essere dipinti, fondatamente e nell’ilarità generale, come in quella trasmissione è stato, senza che ciò possa significare altro che il tempo è scaduto.

E, quasi contemporaneamente, che facevano governo e maggioranza?
Con grottesco tempismo, è stata varata un’ulteriore tranche del “pacchetto sicurezza”, contenente norme per limitare la prostituzione su strada, sancendo così che il mestiere più antico del mondo, in questa Italia, illegale per strada, è invece legale solo ad Arcore ed a Villa Certosa.
Un ministro della Repubblica è andato a raccontare frottole alla Camera ed al Senato a proposito del fermo della signorina Ruby, affidata su pressioni del sultano ad una igienista dentale (dello stesso), premiata con l’elezione in Consiglio Regionale, e successivamente indagata per favoreggiamento della prostituzione (sempre ad Arcore).
Ed è proseguita la solita litania sul diritto del premier a passare le serate come meglio crede, ed a far quel che vuole in casa sua. Giustissimo. Ma non quando si usano voli di stato per il trasporto di allietatori ed  allietatrici delle serate del premier; non quando vi vengono impegnate le scorte; non quando, mentendo, si interviene su una Questura per tirar fuori dai guai una signorina che potrebbe poi dire cose sconvenienti; non quando si vuol parlare in nome dei “valori irrinunciabili” di un mondo cattolico del quale interessano solo i voti; non quando si fa approvare una legge proibizionista su quelle stesse droghe delle quali, si vocifera, a corte si fa uso. E non, soprattutto, quando la deboscia della corte, come oramai appare chiaro a tutti, diventa sistema che coinvolge alti “servitori” dello Stato e si manifesta per un verso come lo strumento di alcuni per entrare nelle grazie del premier fornendo la materia prima all’utilizzatore finale, e per l’altro verso, come il modo di misurare il grado di favore che il sultano riserva a questo o a quello, concedendo o meno la partecipazione ai bunga-bunga.
In quanto al premier, all’ “utilizzatore finale”, quale egli fu definito dal suo avvocato con un termine grottesco e distruttivo, quanto ineccepibile giuridicamente, oramai non prova più neanche a mentire, e sbatte in faccia all’Italia che lavora il suo “meglio passione per le donne, che gay”. E quali donne, e quale genere di passione?

In presenza di una sfera privata che diventa necessariamente pubblica, visto il rilievo del personaggio e di chi lo circonda, e vista la sistematicità dei fatti, sostenere che tutto ciò non debba esser motivo di scandalo e non se ne debbano trarre le necessarie conclusioni, significa accettare che questi comportamenti assurgano al rango di modelli culturali dell’età berlusconiana.
A questo, gli italiani per bene si ribellano, non per moralismo, ma per la necessaria coerenza tra quel che si propone, richiede, od impone ai sudditi e quel che il sultano e la sua corte pratica, convinti che essi possano anche esser rappresentati da una figura di cui non condividano le opinioni politiche, ma non da chi ha imposto leggi e fisco ad personam, condotto una politica estera personale e rivolta a privilegiare rapporti preferenziali con Paesi di dubbia qualità democratica, tali da creare più di un imbarazzo alla nostra diplomazia, lasciato che venisse distrutta la coesione morale, sociale e territoriale del Paese e, non ultima cosa, fatto sì che non apparisse infondata la descrizione di “mignottocrazia” affibbiata al Paese, con tutto quel che ciò comporta.

La trasmissione di Fazio e Saviano, ed il successo che essa ha avuto, ha rappresentato, nell’immediato e semplificato linguaggio televisivo, l’evidenziazione dell’acquisizione di una generale consapevolezza di questo senso di disgusto e ribellione. In questo senso, essa è il simbolo di un punto di svolta. Non è la fine, ma l’inizio della fine. Come la mattina del 26 Luglio del 1943, gli italiani si sono sentiti non ancora liberi, ma sicuramente più liberi.

Certo, questa non è politica: la politica deve ancora fare i suoi passi, probabilmente incerti, contorti e pieni di contraddizioni. Ma, per fare un esempio, non deve sfuggire come lo stesso Bossi, sino a ieri il più netto avversario (ampiamente ricambiato) di Fini, si sia affrettato a cercare una via d’intesa proprio con quest’ultimo; il che potrà anche non sortire alcun risultato, ma certo rappresenta la preoccupazione della Lega di venir trascinata in un abbraccio mortale col cavaliere, a difesa di posizioni indifendibili di fronte al suo stesso elettorato. In sostanza, il tentativo di dialogo di Bossi con Fini significa proprio l’accettazione da parte della Lega della necessità di dare quel segno di discontinuità che Fini aveva richiesto. La discussione, ed il disaccordo tra i due appare essere più sulla misura e l’entità della discontinuità richiesta che non sul fatto che questa sia necessaria.
Ed il cavaliere sa bene che le sue sorti, per la prima volta da molto tempo, dipendono da altri, e che può sfuggire a questo accerchiamento solo buttando all’aria tutto ed andando ad elezioni, in condizioni che certamente per lui non sono le più facili. 

Gim Cassano (12-11-2010)

Gim Cassano, Fazio e Saviano a “ Vieni via con me ”: la caduta della città di Mahagonny.ultima modifica: 2010-11-13T15:16:46+01:00da mangano1
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