Guido De Cataldo,L’epica del Risorgimento è nelle sue contraddizion

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Intervista a Giancarlo De Cataldo magistrato e scrittore, autore di “Romanzo criminale” ha pubblicato in questi giorni “I traditori”

Tra la Londra di Dickens e il West un po’ casereccio di Sergio Leone. Tra spie, briganti, rivoluzionari e nobili, dame dell’aristocrazia e pittori preraffaelliti, camorristi promossi poliziotti e ribelli belli e dannati. Il tutto alla ricerca di quell’epica insieme selvaggia e romantica, disperata e piena di utopia che era già alla base del noto Romanzo criminale. L’ultimo romanzo di Giancarlo De Cataldo, I traditori, mette in scena una parte della storia del Risorgimento, mescolando fiction e realtà storica, e descrive il farsi di una nazione che affronta fin da quei suoi giorni fondativi alcune delle patologie che continuano ad affligerla ancora oggi: dal ruolo della criminalità organizzata allo squilibrio tra Nord e Sud fino alle zone d’ombra che caratterizzano il potere e i suoi apparati di sicurezza.

Un romanzo che racconta il Risorgimento attraverso quello che appare quasi come un paradosso: chi sono gli eroi-traditori al centro di questo libro?
L’idea che il Risogimento sia stato “tradito” caratterizza un filone nobile del pensiero italiano, da Salvemini a Gramsci tanto per capirci. In questo caso però, è vero che sono soprattutto i traditori-eroi a risultare interessanti, riprendendo un po’ la visione di Borges che mostra come a volte le figure di eroi e traditori si confondano e come possano dar vita a atteggiamenti altalenanti tra le due condizioni. Credo che in tutte le lotte di liberazione ci sia stata questa alternanza di elementi. E il Risorgimento fu soprattutto una lotta di liberazione nazionale, fatta da un popolo che non sopportava più di essere governato dallo straniero e dai suoi alleati italiani. In questa lotta rientrano la violenza, le soluzioni estreme, l’eroismo ma, per l’appunto, anche il tradimento, il doppiogiochismo, le spie.

Siamo nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, non c’è il rischio che da sinistra per rispondere alla retorica anti-risorgimentale della Lega si recuperi una retorica patriottarda dietro cui si è sempre celata la destra?
Il rischio c’è, ma credo vada operata una distizione tra la retorica e la mitopoiesi. Mi spiego. La retorica rappresenta un uso propagandistico di un tema o di fatti che possono, almeno in parte essere anche veri, ma che vengono piegati a un uso politico immediato, perdono il loro legame con la Storia perché diventano solamente strumento di controllo. La mitopoiesi è invece la costruzione di una mitologia attorno a fatti veri. Questo tipo di mitologia, o almeno quella che io cerco di coltivare quando scrivo, non si nasconde mai il lato oscuro di ciò che sta raccontando. Non solo non se lo nasconde, ma lo rivendica apertamente. In altre parole, non si può sostenere che l’unità d’Italia sia frutto di un complotto deciso a tavolino e realizzato con l’invasione e l’annessione di un territorio, come raccaonta qualcuno. Fu un fatto che coinvolse anche masse popolari, magari non nella misura che Mazzini e Garibaldi auspicavano, e per cui fu spesa, come accade in ogni evento rivoluzionario, una buona dose di violenza. La retorica ti dice “sull’unità d’Italia, va tutto bene”, la mitopoiesi ti spiega invece che all’origine di quella vicenda ci sono, allo stesso modo, l’eroismo, la violenza e il tradimento.

Tra le chiavi narrative con cui “I traditori” racconta il Risorgimento, c’è quella del conflitto generazionale: un’Europa di giovani si misurava allora con i parrucconi della vecchia aristocarzia?
Quando ho iniziato ad occuprami di quell’epoca storica, a leggere testi e documenti, mi sono imbattutto nelle memorie di Giuseppe Mazzini e mi sono reso conto che quando ha iniziato la sua attività di rivoluzionario aveva solo sedici anni. Garibaldi a vent’anni era già stato condannato a morte e Cavour morì a cinquant’anni, dopo aver contribuito all’unità d’Italia, vale a dire alla stessa età con cui oggi un politico è considerato “una speranza” e uno scrittore “un giovane autore”. Questo per dire che quando parliamo dei protagonisti di quella stagione, parliamo molto spesso di ragazzi. E immergendomi in quelle letture, mi è toranto in mente un libro di storia in cui il ’48, dell’Ottocento, era paragonato al nostro ’68. Evidentemente la nostra ipocrisia è stata tale negli ultimi decenni che abbiamo cancellato e rimosso il ’68 come punto di riferimento e il ’48 delle rivoluzioni in Europa, rivoluzioni delle coscienze prima ancora che atti politici, come lontano termine di paragone di uno stesso processo. Per questo credo sia importante ricordare oggi come il Risorgimento sia stato fatto soprattutto da giovani.

Tra le figure a cui si pensa immediatamente quando si parla del Risorgimento, lei ha scelto di raccontare quella di Giuseppe Mazzini, a prima vista meno vivace di quella di Garibaldi. Cosa ha trovato in lui?
Intanto Mazzini era un personaggio estremamente contraddittorio, ricco di ambibuità e proprio per questo interessante. Era profondamente religioso, direi addirittura mistico, al punto che quando cerca di organizzare nel 1853 una rivolta a Milano che prevede l’eliminazione simultanea di tutti i comandanti militari austriaci e dei loro attendenti, vale a dire la morte di qualcosa come cinquecento persone in un momento solo per scatenare l’insurrezione, definisce il tutto come “un vespro”, una preghiera, e nelle sue memorie ne parla in effetti come se si trattasse di un atto di fede. Allo stesso modo quando partecipa ai tre mesi di governo della Repubblica romana nel 1949, ordina che non siano toccati i preti, mentre altri repubblicani come lui avrebbero volentieri saccheggiato le chiese, ma prepara una costituzione nella quale compie due atti profondamente rivoluzionari, e non solo per quell’epoca: vieta qualunque ingerenza del Papa negli affari civili e estende alle donne il suffragio universale. E’ lui il primo tra i grandi rivoluzionari dell’Ottocento a considerare le donne come soggetti a pieno titolo della politica. Inoltre, quest’uomo che è passato alla storia come cupo, solitario e triste era in realtà profondamente affascinante, amava la musica e, durante il suo esilio a Londra, incantava le signore della nobltà inglese a cui chiedeva poi di finanziare l’acquisto delle armi necessarie a quella che per lui era la “rivoluzione italiana”. Era un uomo di grande complessità, capace di passare da un saggio su Buddha e l’induismo a una lettura di Shakespeare, a un proclama politico a una lettera con cui organizzava il regicidio di un tiranno.

Lei ha sempre spiegato che all’origine di “Romanzo criminale” c’è stato il suo lavoro di magistrato e il fatto che imbattendosi nella storia della Banda della Magliana si è chiesto perché non se ne fosse tratta una qualche epica narrativa. Il processo che ha portato alla stesura de “I traditori” è dello stesso tipo?
Sono un vecchio salgariano, un appassionato di Sergio Leone, sono sempre stato affascinato dalle persone che mutano nel corso della loro vita, quelli che nascono santi e muoiono peccatori, e viceversa. Perciò credo che le contraddizioni siano l’essenza stessa dell’epica, così anche in questo caso sono partito dalle figure di confine, dall’atteggiamento ambiguo di questo o quel personaggio per immaginare questa mia epica “criminale” del Risorgimento.

E come in “Romanzo criminale”, oltre agli eroi e ai traditori, o tutte e due le cose insieme, sembra di scorgere la mano di chi, nell’ombra, cerca di tirare i fili di quanto accade. A conclusione del romanzo, una di queste figure esclama “Commedia, e non tragedia: questa è l’Italia”…
Sì, non c’è un personaggio storico preciso a cui attribuire questo ruolo, ma studiando un po’ si capisce come spionaggio, “dossieraggio” come si dice oggi, e provocazioni di ogni sorta la facevano da padrone anche all’epoca. Gli austriaci in particolare infiltravano gli ambienti rivoluzionari, ma Mazzini riuscì più volte anche a fare il contrario, vale a dire a infiltrare che si era infiltrato nel suo entourage. Così ancora oggi non si riesce a capire come alcuni segreti siano potuti cadere nelle mani dell’avversario.

Guido Caldiron

Guido De Cataldo,L’epica del Risorgimento è nelle sue contraddizionultima modifica: 2010-11-24T14:23:45+01:00da mangano1
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Un pensiero su “Guido De Cataldo,L’epica del Risorgimento è nelle sue contraddizion

  1. Trovo sia che sia coraggioso indagare nei lati bui della storia per fare chiarezza sul fenomeno che ci ha portato ad essere una nazione, sia che sia pericoloso e la nostra è una democrazia fragile che ha già mostrato la tendenza a nascondersi nel mito del duce per avere sostegno. Però è vero che per produrre un vaccino bisogno toccare il bacillo che porta il male. Noi poi diciamo che il male è male perchè non ci porta il bene che vogliamo o perchè è proprio oggettivamente il male? Oggi saremmo più felici in un latifondo gestito da pochi potenti e a economia agricola? Indaghiamo sul carattere di Mazzini o di Garibaldi o diamo fiducia a quegli scritti coevi nei quali gli intellettuali si esprimevano e auspicavano una Italia unita e libera e ci credevano proprio, “custa l’on che custa”?

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